Antonio Carbone “MAPS out.Trascritture Visive”
A cura di: Maria Vinella
Transcritture visive
“Quando si tratta di arte, la miglior cosa è non usare parole”. In opposizione all’ideologia misticheggiante divenuta corrente dall’Ottocento in poi, nel Novecento si è andata sempre più affermando la concezione secondo cui la comprensione del fatto artistico non possa procedere in modo semplice e diretto ma necessiti di sforzi notevoli sul piano linguistico e verbale. Oggi il grado della comprensibilità dell’arte contemporanea non è più commisurabile con la coerenza del vedere, poiché noi vediamo quel che sappiamo. E quando non sappiamo …
Ormai l’animal symbolicum di Ernst Cassirer ha perso ogni orientamento sensibile manifestando chiaramente la propria boria linguistico-culturale, fatta di incrostazioni sature di teorie affondate e di frammenti fossili di memorie confuse. Il rischio di un’annoiata appercettività insegue il sentire delle nostre capacità recettive compromesse.
E l’arte? E l’artista? L’artista sfida, rinnova, reinventa, sposta, scombina, definisce l’inciampo, apre allo sguardo obliquo, supera confini, apre territori, disperde ogni compostezza, rompe ogni schema.
Anche Antonio Carbone – con la recente ricerca presentata al pubblico con la mostra “Maps out. Transcritture visive” – altera le monotonie percettivo-visive con scritture immaginative che si manifestano attraverso il gesto-segno-traccia. Tramite varie sperimentazioni estetiche e linguistiche, l’artista riflette su inusuali concetti di scrittura e sovrascrittura manipolando la materia, lo spazio, le forme-figurazioni. Il luogo dell’azione creativa è la superficie cartacea, lavorata, scolpita, incisa. Il cammino che la mano percorre sulla carta diventa corpo e passo di un pensiero che configura il tempo e lo spazio dell’esistenza. Quello stesso spazio-tempo dell’esistenza che secondo Merleau-Ponty è l’unica realtà conosciuta direttamente.
Dal punto di vista storico, questa ricerca di Antonio Carbone mostra similitudini con i processi artistici connessi alle tecniche della parola messe in atto dal cubismo, dal costruttivismo, dal futurismo, dal dadaismo, sino alle ricerche verbo-visive compiute nel clima delle neoavanguardie. La parola chiave di tutto è la carta, materiale indispensabile per scrivere, stampare, comunicare, trasmettere. Disegnare e fare arte. Materiale nobile che non è materia prima ma è prodotto della civilizzazione. Generata da composizioni svariate, ricavata dal legno o da altre fibre vegetali, fatta da stracci o da fabbricazioni che tengono conto di volta in volta di materie speciali, dosate sapientemente con collanti additivi, coloranti per assorbire o respingere inchiostri o altro, è poi ben impastata, trattata, colorata, gommata, impregnata, stampata, crespata, piegata, perforata, sfilacciata. Utilizzata in senso artistico per la grafica o per l’acquarello, la carta riesce a porre in atto differenti processi di mediazione caratterizzati dalla funzione materiale o strumentale, dalla funzione comunicativa o espressiva. Lo sviluppo storico-sociologico di tali diverse funzioni, sulla scorta di esempi dell’approccio asiatico o europeo, ne dimostra la molteplicità sia in senso teoretico-comunicativo sia in senso teoretico-segnico.
Come accade nelle carte di Antonio Carbone. In esse viene posta in luce la problematica di una ra-presentazione costruita intenzionalmente che dà forma alla frattura tra arte e realtà in modo radicale, interrompendo completamente il rapporto con qualsiasi vero, per simulare un altro dal vero fatto di narrazioni che valgono per se stesse senza rinviare a niente. Scritture dove la riduzione degli elementi linguistici ad elementi figurativi diventa necessaria per dar vita a una nuova realtà visibile, un visibile velato che non ci permette di vedere con il nostro sguardo ma pretende il filtro degli occhi dell’autore-artista.
Nei lavori qui presentati, possiamo individuare due percorsi. Il primo comprende opere completamente bianche realizzate con la tecnica della rilievografia su carta (rosaspina-fabriano e carta venezia artigianale); il secondo gruppo di opere, sempre su carta, raccoglie sperimentazioni effettuate con la tecnica della rilievografia unita ad interventi segnici e di scrittura monocromatica.
I tracciati incisi sulla carta evocano percorsi di scritture criptiche e appunti di mappe mentali realizzati con strumenti di metallo che, come spiega l’artista, con misurate e attente pressioni consentono di graffiare e creare rilievi o cavità: “Con dei punzoni, sempre in metallo, incido lettere dell’alfabeto simulando scritture. Scritture prive di alcun contenuto. Nei lavori con interventi cromatici, questi sono realizzati con la stessa tecnica usando carta copiativa che trasferisce l’inchiostro solo per il segno impresso.”
Come ha scritto Laura Turco Liveri, la liricità poetica e musicale degli studi condotti in questi ultimi anni segna un traguardo importante del percorso creativo di Carbone; nelle sue opere “Gli intervalli lineari, rappresentati dagli andamenti segnici e dall’affioramento di figure geometriche composte dal pulviscolo dei segni in libertà, spartiscono il foglio in zone precise e al contempo, grazie a un tonalismo monocromatico variamente accentuato, consentono di attraversare tridimensionalmente, in profondità e longitudinalmente, lo spazio immaginario creato dal bianco del foglio […] Perciò la saturazione e lo spessore delle linee sono vari e variamente frastagliati […] Se fosse possibile tradurre sinesteticamente in musica quest’orchestra compositiva, percussioni ed archi predominerebbero sia nella tecnica esecutiva sia nel risultato estetico…” (De rerum humanis. I tracciati a secco di Antonio Carbone, testo critico della mostra “I segni del tempo”, Studio ArteFuoriCentro, Roma 2017).
Queste transcritture visive, puramente concettuali, simili alle scritture di strappi su carta di Lucio Fontana o alle estroflessioni su carta a mano di Enrico Castellani, sembrano compiere l’ultimo passo per liberare la narrazione.
Così, dalle costellazioni in movimento di segni e scritture, nel silenzio della superficie accolta dalla carta si confondono le identità precarie di caratteri alfabetici, suoni onomatopeici, ritmi acustici, in un disagio percettivo foriero di nuove esperienze ottiche.
Maria Vinella
“Quando si tratta di arte, la miglior cosa è non usare parole”. In opposizione all’ideologia misticheggiante divenuta corrente dall’Ottocento in poi, nel Novecento si è andata sempre più affermando la concezione secondo cui la comprensione del fatto artistico non possa procedere in modo semplice e diretto ma necessiti di sforzi notevoli sul piano linguistico e verbale. Oggi il grado della comprensibilità dell’arte contemporanea non è più commisurabile con la coerenza del vedere, poiché noi vediamo quel che sappiamo. E quando non sappiamo …
Ormai l’animal symbolicum di Ernst Cassirer ha perso ogni orientamento sensibile manifestando chiaramente la propria boria linguistico-culturale, fatta di incrostazioni sature di teorie affondate e di frammenti fossili di memorie confuse. Il rischio di un’annoiata appercettività insegue il sentire delle nostre capacità recettive compromesse.
E l’arte? E l’artista? L’artista sfida, rinnova, reinventa, sposta, scombina, definisce l’inciampo, apre allo sguardo obliquo, supera confini, apre territori, disperde ogni compostezza, rompe ogni schema.
Anche Antonio Carbone – con la recente ricerca presentata al pubblico con la mostra “Maps out. Transcritture visive” – altera le monotonie percettivo-visive con scritture immaginative che si manifestano attraverso il gesto-segno-traccia. Tramite varie sperimentazioni estetiche e linguistiche, l’artista riflette su inusuali concetti di scrittura e sovrascrittura manipolando la materia, lo spazio, le forme-figurazioni. Il luogo dell’azione creativa è la superficie cartacea, lavorata, scolpita, incisa. Il cammino che la mano percorre sulla carta diventa corpo e passo di un pensiero che configura il tempo e lo spazio dell’esistenza. Quello stesso spazio-tempo dell’esistenza che secondo Merleau-Ponty è l’unica realtà conosciuta direttamente.
Dal punto di vista storico, questa ricerca di Antonio Carbone mostra similitudini con i processi artistici connessi alle tecniche della parola messe in atto dal cubismo, dal costruttivismo, dal futurismo, dal dadaismo, sino alle ricerche verbo-visive compiute nel clima delle neoavanguardie. La parola chiave di tutto è la carta, materiale indispensabile per scrivere, stampare, comunicare, trasmettere. Disegnare e fare arte. Materiale nobile che non è materia prima ma è prodotto della civilizzazione. Generata da composizioni svariate, ricavata dal legno o da altre fibre vegetali, fatta da stracci o da fabbricazioni che tengono conto di volta in volta di materie speciali, dosate sapientemente con collanti additivi, coloranti per assorbire o respingere inchiostri o altro, è poi ben impastata, trattata, colorata, gommata, impregnata, stampata, crespata, piegata, perforata, sfilacciata. Utilizzata in senso artistico per la grafica o per l’acquarello, la carta riesce a porre in atto differenti processi di mediazione caratterizzati dalla funzione materiale o strumentale, dalla funzione comunicativa o espressiva. Lo sviluppo storico-sociologico di tali diverse funzioni, sulla scorta di esempi dell’approccio asiatico o europeo, ne dimostra la molteplicità sia in senso teoretico-comunicativo sia in senso teoretico-segnico.
Come accade nelle carte di Antonio Carbone. In esse viene posta in luce la problematica di una ra-presentazione costruita intenzionalmente che dà forma alla frattura tra arte e realtà in modo radicale, interrompendo completamente il rapporto con qualsiasi vero, per simulare un altro dal vero fatto di narrazioni che valgono per se stesse senza rinviare a niente. Scritture dove la riduzione degli elementi linguistici ad elementi figurativi diventa necessaria per dar vita a una nuova realtà visibile, un visibile velato che non ci permette di vedere con il nostro sguardo ma pretende il filtro degli occhi dell’autore-artista.
Nei lavori qui presentati, possiamo individuare due percorsi. Il primo comprende opere completamente bianche realizzate con la tecnica della rilievografia su carta (rosaspina-fabriano e carta venezia artigianale); il secondo gruppo di opere, sempre su carta, raccoglie sperimentazioni effettuate con la tecnica della rilievografia unita ad interventi segnici e di scrittura monocromatica.
I tracciati incisi sulla carta evocano percorsi di scritture criptiche e appunti di mappe mentali realizzati con strumenti di metallo che, come spiega l’artista, con misurate e attente pressioni consentono di graffiare e creare rilievi o cavità: “Con dei punzoni, sempre in metallo, incido lettere dell’alfabeto simulando scritture. Scritture prive di alcun contenuto. Nei lavori con interventi cromatici, questi sono realizzati con la stessa tecnica usando carta copiativa che trasferisce l’inchiostro solo per il segno impresso.”
Come ha scritto Laura Turco Liveri, la liricità poetica e musicale degli studi condotti in questi ultimi anni segna un traguardo importante del percorso creativo di Carbone; nelle sue opere “Gli intervalli lineari, rappresentati dagli andamenti segnici e dall’affioramento di figure geometriche composte dal pulviscolo dei segni in libertà, spartiscono il foglio in zone precise e al contempo, grazie a un tonalismo monocromatico variamente accentuato, consentono di attraversare tridimensionalmente, in profondità e longitudinalmente, lo spazio immaginario creato dal bianco del foglio […] Perciò la saturazione e lo spessore delle linee sono vari e variamente frastagliati […] Se fosse possibile tradurre sinesteticamente in musica quest’orchestra compositiva, percussioni ed archi predominerebbero sia nella tecnica esecutiva sia nel risultato estetico…” (De rerum humanis. I tracciati a secco di Antonio Carbone, testo critico della mostra “I segni del tempo”, Studio ArteFuoriCentro, Roma 2017).
Queste transcritture visive, puramente concettuali, simili alle scritture di strappi su carta di Lucio Fontana o alle estroflessioni su carta a mano di Enrico Castellani, sembrano compiere l’ultimo passo per liberare la narrazione.
Così, dalle costellazioni in movimento di segni e scritture, nel silenzio della superficie accolta dalla carta si confondono le identità precarie di caratteri alfabetici, suoni onomatopeici, ritmi acustici, in un disagio percettivo foriero di nuove esperienze ottiche.
Maria Vinella
Luoghi
www.museonuovaera.com 0805061158 3334462929 0805061158
direzione artistica: Rosemarie Sansonetti Orari: 17-20 - chiuso la domenica, lunedì e giorni festivi