I vortici elettrizzanti di Ennio Calabria
di Roberto Gramiccia
Scrivere di Ennio Calabria è un privilegio. Mi è capitato altre volte ma oggi lo voglio fare in modo diverso. Vorrei trasmettere, cioè, non un’idea o un insieme di idee su di lui e sulla sua ricerca pittorica ma piuttosto il senso fisico di una necessità: come mangiare, bere, respirare. Parlo della necessità, anzi dell’urgenza di non perdere la grande retrospettiva ottimamente curata da Gabriele Simongini e allestita, come meglio non si poteva, con il contributo prezioso di Rita Pedonesi, che, fino al 12 gennaio, sarà visitabile al Museo di Palazzo Cipolla di Via del Corso.
Si deve correre a divorare questa mostra perché, semplicemente, non si può rinunciare al piacere corroborante, elettrizzante, ri-costituente (dicevano i vecchi medici condotti) che ti invade quando entri nelle grandi sale del museo romano e ti immergi nell’ampia selezione di opere offerta a testimoniare l’intero arco della lunga carriera del pittore di Tripoli. Quanto questa sensazione, in un tempo di mortificante e sistematica banalizzazione estetica culturale e politica, possa essere “terapeutica” penso di poterlo dire, non solo da critico ed estimatore, ma anche e soprattutto da medico.
Che l’arte rappresenti una risposta formidabile, primordiale e metastorica all’angoscia che deriva dalla fatica di “vivere per dover morire” è tesi che più volte mi è capitato di enunciare e difendere, spesso in contrasto con chi dell’arte ha una visione diversa, succube di paradigmi interpretativi che con l’origine e la natura più profonda di essa hanno molto poco a che vedere. Ebbene le oltre ottanta grandi, medie e piccole opere di Calabria, gli oli e i pastelli, le imponenti e mirabolanti composizioni, come i ritratti di lancinante salienza e i numerosi storici manifesti realizzati per la CGIL ti avvolgono e ti sollevano, strappandoti per un po’ alle miserie e alle noie del quotidiano.
A farlo contribuisce, oltre alla qualità altissima della sua pittura, l’ardimento visionario e spregiudicato di chi falsifica sistematicamente la prospettiva lineare, come nota bene Alberto Olivetti nella sua recensione su il Manifesto. In questo senso Calabria è un pittore profondamente antirinascimentale. Un esploratore (un facitore) della storia che va oltre un visione positivistica, razionale e rassicurante, per abbracciare piuttosto un punto di vista, o meglio una pluralità di punti di vista, in grado di prenderti e spingerti nella dimensione anomica di una realtà in cui oggetto e soggetto si confondo e il tutto (l’intero), magicamente, si ricompone.
E allora i vortici e gli azzardi prospettici del pittore nulla hanno a che vedere con un virtuosismo (seppure sorprendente) fine a se stesso ma, invece, realizzano un piano di micidiale efficacia. Cacciare da noi l’umanissima ma povera cura del nostro guicciardiniano “particulare” per aprirci alla complessità del mondo e della storia. Ecco, l’arte di Ennio Calabria è in grado di metterci, attraverso una prepotente sollecitazione dei sensi, nella condizione di aderire a quella sostanza infinita ed eterna di cui siamo modi ed espressioni particolari. Ciò che gli orientali fanno con la meditazione e il distacco, questo pittore riesce a fare con la luce, la materia e il colore. Provare per credere.
Scrivere di Ennio Calabria è un privilegio. Mi è capitato altre volte ma oggi lo voglio fare in modo diverso. Vorrei trasmettere, cioè, non un’idea o un insieme di idee su di lui e sulla sua ricerca pittorica ma piuttosto il senso fisico di una necessità: come mangiare, bere, respirare. Parlo della necessità, anzi dell’urgenza di non perdere la grande retrospettiva ottimamente curata da Gabriele Simongini e allestita, come meglio non si poteva, con il contributo prezioso di Rita Pedonesi, che, fino al 12 gennaio, sarà visitabile al Museo di Palazzo Cipolla di Via del Corso.
Si deve correre a divorare questa mostra perché, semplicemente, non si può rinunciare al piacere corroborante, elettrizzante, ri-costituente (dicevano i vecchi medici condotti) che ti invade quando entri nelle grandi sale del museo romano e ti immergi nell’ampia selezione di opere offerta a testimoniare l’intero arco della lunga carriera del pittore di Tripoli. Quanto questa sensazione, in un tempo di mortificante e sistematica banalizzazione estetica culturale e politica, possa essere “terapeutica” penso di poterlo dire, non solo da critico ed estimatore, ma anche e soprattutto da medico.
Che l’arte rappresenti una risposta formidabile, primordiale e metastorica all’angoscia che deriva dalla fatica di “vivere per dover morire” è tesi che più volte mi è capitato di enunciare e difendere, spesso in contrasto con chi dell’arte ha una visione diversa, succube di paradigmi interpretativi che con l’origine e la natura più profonda di essa hanno molto poco a che vedere. Ebbene le oltre ottanta grandi, medie e piccole opere di Calabria, gli oli e i pastelli, le imponenti e mirabolanti composizioni, come i ritratti di lancinante salienza e i numerosi storici manifesti realizzati per la CGIL ti avvolgono e ti sollevano, strappandoti per un po’ alle miserie e alle noie del quotidiano.
A farlo contribuisce, oltre alla qualità altissima della sua pittura, l’ardimento visionario e spregiudicato di chi falsifica sistematicamente la prospettiva lineare, come nota bene Alberto Olivetti nella sua recensione su il Manifesto. In questo senso Calabria è un pittore profondamente antirinascimentale. Un esploratore (un facitore) della storia che va oltre un visione positivistica, razionale e rassicurante, per abbracciare piuttosto un punto di vista, o meglio una pluralità di punti di vista, in grado di prenderti e spingerti nella dimensione anomica di una realtà in cui oggetto e soggetto si confondo e il tutto (l’intero), magicamente, si ricompone.
E allora i vortici e gli azzardi prospettici del pittore nulla hanno a che vedere con un virtuosismo (seppure sorprendente) fine a se stesso ma, invece, realizzano un piano di micidiale efficacia. Cacciare da noi l’umanissima ma povera cura del nostro guicciardiniano “particulare” per aprirci alla complessità del mondo e della storia. Ecco, l’arte di Ennio Calabria è in grado di metterci, attraverso una prepotente sollecitazione dei sensi, nella condizione di aderire a quella sostanza infinita ed eterna di cui siamo modi ed espressioni particolari. Ciò che gli orientali fanno con la meditazione e il distacco, questo pittore riesce a fare con la luce, la materia e il colore. Provare per credere.