BULLONI, CARTE E CARTACCE Ripensando il Futurismo attraverso i libri
L’ampia attività editoriale connessa al Futurismo rappresenta non solo un aspetto particolare legato alle molteplici esperienze del movimento, quanto piuttosto la possibilità di comprenderne la complessità, perché il libro fin da principio è inteso come privilegiato veicolo di una nuova identità culturale, tanto da dover essere interpretato come inequivocabile espressione di un percorso di ricerca che conduce al cuore della modernità.di Loredana Rea
L’ampia attività editoriale connessa al Futurismo rappresenta non solo un aspetto particolare legato alle molteplici esperienze del movimento, quanto piuttosto la possibilità di comprenderne la complessità, perché il libro fin da principio è inteso come privilegiato veicolo di una nuova identità culturale, tanto da dover essere interpretato come inequivocabile espressione di un percorso di ricerca che conduce al cuore della modernità. Per questo motivo non è una forzatura affermare che più che nei dipinti, più che nelle sculture e nei disegni, è nei libri che si riesce ad attuare con maggiore organicità il tentativo di quella programmatica ricostruzione futurista dell’universo, con l’obiettivo della trasformazione della società e il superamento dei suoi miti e dei suoi riti. È necessario proporre un nuovo modo di vivere, di amare, di desiderare e di educare e bisogna, conseguentemente, disintegrare i pregiudizi sul sesso, sui buoni sentimenti, sulla religione, la politica, sulle relazioni umane, proponendo valori diversi e nuovi punti di riferimento, perché il traguardo è fare della vita quotidiana, e non solo della propria, un’opera d’arte.
I libri, e con essi i manifesti, le riviste, i volantini, i biglietti, gli inviti e tutta quella produzione cartacea che viene etichettata come “ephemera”, testimoniano non solo la capillare diffusione del movimento, ma anche l’esplosiva miscela di energia, creatività, intelligenza e trasgressione che, improntando la felicità del fare ha caratterizzato inconfondibilmente quegli anni compresi tra i primi decenni del secolo scorso.
In questa ottica il libro futurista, che già nella sua ormai consueta denominazione storico-critica evidenzia inevitabilmente una diversità rispetto all’editoria contemporanea e a quella precedente, apre alla riflessione un vasto orizzonte, entro cui mettere in luce innanzitutto come i principali elementi che lo compongono – il supporto, i segni, il testo – si combinano tra loro in maniere molto spesso assolutamente originali, al punto che diventa necessario soffermarsi non solo sul contenuto, quanto piuttosto sulle scelte grafiche e tipografiche e, per molti esemplari, anche sulle tecniche di fabbricazione e sulla loro ricercata fattura, progettata per porre consapevolmente l’accento sull’elemento visivo e innescare un irreversibile processo di sperimentazione, che nella seconda metà del XX secolo avrebbe finito con il produrre libri d’artista.
Perché se è certo che all’inizio del ‘900 non è ancora possibile parlare di libro d’artista nel senso consueto di questa espressione, è altrettanto impossibile negare l’importanza dell’esperienza futurista[1]. In essa, infatti, è rintracciabile la volontà di creare un libro in cui forma e contenuto si presentano inscindibilmente uniti, tanto che l’una è espressione inequivocabile dell’altra, per materializzare visivamente non solo il ritmo del testo scritto quanto, soprattutto, il suo senso profondo.
La prosa sincopata del Manifesto futurista, redatto da Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato in francese su Le Figaro il 20 febbraio del 1909 (in realtà preceduto dalla divulgazione tra le pagine di alcuni giornali italiani: il 5 febbraio La Gazzetta dell’Emilia, il 6 Il Pungolo, il 9 La Gazzetta di Mantova, il 9-10 L’Arena, il 10 Il Piccolo, il 14 La Tavola Rotonda, il 16 Il Giorno), affonda le sue radici nel fertile clima culturale fin de siècle, come dimostra Mafarka il futurista. Romanzo africano, pubblicato nel 1909, il cui testo è preceduto da una dedica ai ‘Grandi Poeti Incendiari!/Fratelli miei Futuristi’. Palese è l’influenza dell’ambiente simbolista, anche se in esso si compie il passaggio dal pessimismo di matrice schopenhaueriana al vitalismo di Nietzsche. Dopo la pubblicazione l’autore subisce un processo per oltraggio al pudore a causa di una scena erotica. È assolto in prima istanza e condannato in appello con il beneficio del perdono. I resoconti del processo, in cui in qualità di perito interviene anche Luigi Capuana, che non lesina le sue simpatie per il Futurismo, sono poi pubblicati in appendice a Distruzione del 1911. Al simbolismo francese e alle suggestioni di Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Stephane Mallarmé[2] è debitrice anche la rivista Poesia, fondata nel 1905 dallo stesso Marinetti, e destinata con le sue edizioni a veicolare l’idea di libri in cui forma, composizione tipografica e dialettica testo/immagini sono indissolubilmente legati.
Il seme della lezione simbolista nel campo futurista produrrà quella rivoluzione della comunicazione, che si materializza nelle parole in libertà prima e poi nelle tavole parolibere, che del libro futurista sono l’innovativa struttura portante. Nei primi anni del XX secolo la comunicazione scritta appariva, infatti, ormai antiquata, incapace di rappresentare il mondo radicalmente trasformato dalle scoperte scientifiche e tecnologiche, che stavano velocemente modificando il modo di rapportarsi alla quotidianità. I futuristi comprendono la necessità e l’urgenza di utilizzare mezzi atti ad esprimere la consapevolezza di questo nuovo sentire e il libro è concepito a tal fine.
Nel maggio del 1913, con la pubblicazione del manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, Marinetti dichiara guerra al libro tradizionale, inequivocabile simbolo di quella cultura passatista scandalosamente avversata. Il nuovo avanza. Il futuro è già presente. L’automobile, il cinema e l’aeroplano sono gli emblemi dei tempi moderni e dell’inarrestabile progresso che li accompagna, modificando la percezione della realtà. Il libro diventa il luogo privilegiato per la ricerca di un inscindibile rapporto tra parole e immagini, in cui le seconde non sono più soltanto evocate, ma materializzate dalla combinazione formale delle prime, con l’obiettivo di superare la loro vuota letterarietà. Gli spazi bianchi, il formato delle lettere e della pagina assumono nuovi significati, capaci di esprimere l’assoluta modernità del linguaggio futurista e l’antitesi ricercatamente violenta verso la cultura ufficiale, rappresentata dal verismo umanitaristico e dall’esangue dandismo dannunziano, specchi di quel passatismo culturale che aveva caratterizzato l’Italia umbertina.
Io inizio una rivoluzione tipografica diretta contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana, la carta a mano seicentesca, fregiata di galee, minerve e apolli, di iniziali rosse a ghirigori, ortaggi, mitologici nastri da messale, epigrafi e numeri romani. Il libro deve essere l'espressione futurista del nostro pensiero futurista. Non solo. La mia rivoluzione è diretta contro la cosí detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa. Noi useremo perciò, in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche 20 caratteri tipografici diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc. Con questa rivoluzione tipografica e questa varietà multicolore di caratteri io mi propongo di raddoppiare la forza espressiva delle parole[3].
A questo clima bisogna riportare Zang Tumb Tuuum, pubblicato nel 1914 per i tipi delle Edizioni futuriste di Poesia, il primo libro parolibero di Marinetti. Il tema è legato all’assedio di Adrianopoli, durante il conflitto bulgaro-turco, cui il fondatore del Futurismo assiste nel 1912. La narrazione è divisa in capitoli, redatti con una scrittura impersonale e apparentemente slegati tra loro, ma montati in modo da rendere la complessità del farsi delle cose. Cesare Cavanna, tipografo milanese dotato di incredibile sensibilità grafica, realizza la difficile impaginazione, che già nella copertina preannuncia la sua grande novità. Le parole si rincorrono prive di punteggiatura, ingrandendosi o rimpicciolendosi in pagine che a sorpresa possono aprirsi, ripiegandosi su se stesse per seguire regole fino ad ora mai applicate. La parola d’ordine dissacrante ed ironica è liberare il libro dalla obsoleta aura della cultura ufficiale, per ubbidire alle necessità di una comunicazione globale, capace di mettere in gioco tutti i sensi. Le invenzioni tipografiche si susseguono con il ritmo incalzante dei fuochi d’artificio, destinate a diventare inconfondibile iconografia della modernità, come in BIF§ZF+18 di Ardengo Soffici del 1915 per le Edizioni della Voce, Guerrapittura di Carlo Carrà del 1915 e Piedigrotta di Francesco Cangiullo del 1916, ancora per le Edizioni futuriste di Poesia.
Il culmine di questa sperimentazione è raggiunto nel 1919 con la pubblicazione, sempre per le Edizioni futuriste di Poesia, di Le mots en liberté futuristes. L’intento è propagandistico e in vista della diffusione all’estero Marinetti torna ad esprimersi in francese. L’obiettivo è quello di dimostrare l’influenza del Futurismo su altre esperienze d’avanguardia e, soprattutto, la primogenitura su alcune pratiche sperimentali. Si compone di una prima parte teorica e di una seconda parte esemplificativa, in cui sono comprese alcune tavole parolibere di straordinaria forza espressiva, a materializzare l’innovativa concezione di avanguardia di massa, capace di sfruttare le tecniche allora disponibili e di inventarne di nuove per veicolare le proprie idee, spesso legate a pubblicazioni di consumo, da sfogliare e buttare via.
Nel decennio successivo il pensiero marinettiano arriva a maturazione attraverso Fortunato Depero, che nel 1927 progetta e realizza il libro Depero futurista, con l’intento di presentare l’attività della sua Casa d’Arte: due bulloni di alluminio cromato tengono insieme i fogli, realizzati con carte diverse per colore e morfologia - sottili, patinate, ruvide, spesse - su cui sono riprodotti quadri, disegni, progetti, maquettes e onomatopee. La composizione tipografica delle singole pagine è sorprendentemente creativa, mentre la grafica della copertina cartonata è strettamente connessa alla contemporanea sperimentazione su linea, forma e colore. I testi, le riproduzioni, i caratteri, le spaziature, la matericità del supporto si relazionano a creare un oggetto organico, che non può più essere considerata solamente un libro, quanto un’opera d’arte squisitamente futurista. Il volume, nato dalla collaborazione con la Dinamo-Azari di Milano, ricorda nella forma allungata ad album un campionario da tappezziere e come afferma lo stesso Depero è:
Meccanico imbullonato come un motore Pericoloso può costituire un’arma proiettile Inclassificabile (…) non sta bene in libreria e neppure sugli altri mobili che potrebbe scalfire. Perché sia veramente al suo posto, deve essere adagiato sopra un coloratissimo e soffice-resistente Cuscino-Depero[4]
Del libro imbullonato, attraverso le lettere, disegni preparatori, le bozze e i clichés scambiati tra l’artista e l’editore, Fedele Azari, durante l’iter della progettazione, e custodite nell’archivio – conservato presso il MART - è possibile ricostruire in maniera particolareggiata la genesi. Per esempio Depero chiede una tiratura di 2000 copie, da dividere tra prenotazioni, clienti abituali, amici, librai e copie stampa, mentre l’editore ne preventiva solo 350 per la distribuzione, affermando che le 650 rimanenti saranno più che sufficienti per l’avvenire. Infatti, anche con la tiratura a 1000 copie, nel 1932, sul settimanale Futurismo compare la singolare pubblicità di un pacco futurista acquistabile direttamente dalla casa d’Arte Depero: si poteva entrare in possesso del Depero Futurista, del Numero Unico dedicato a Marinetti e del Numero Unico Campari per sole 50 lire, mentre all’origine soltanto l’imbullonato ne costava 100. Tra il 1928 e il ’30 Depero soggiorna a New York, dove espone, crea manifesti, scenografie e costumi e progetta un libro ancora una volta rivoluzionario nella sua assoluta novità, New York film vissuto, in cui si prevedevano le registrazioni di suoni e rumori raccolti nelle strade della metropoli americana. Il libro, più volte annunciato e pubblicizzato come ‘il° libro parolibero sonoro’, ma mai realizzato, avrebbe dovuto contenere, illustrazioni, parolibere e naturalmente due dischi.
All’apice dello sforzo perseguito con tenace determinazione di rinnovare completamente la forma-libro si pongono le esperienze di Parole in libertà futuriste olfattive tattili termiche e L’anguria lirica, i due libri realizzati con la collaborazione dell’industriale Vincenzo Nosenzo, proprietario a Zinola (Savona) di una ditta che produceva scatole per conserve alimentari. Al 1932 risale il primo libro, fatto in un materiale atipico. Per la lito-latta, pubblicata in 101 esemplari dalle Edizioni futuriste di Poesia, Tullio Mazzotti d’Albisola concepisce pagine metalliche per contenere le poesie marinettiane. Il commento cromatico alle parolibere è relegato al retro della pagina e non a fronte, nell’intenzione di superare la tradizionale struttura libresca. Il secondo, lungo poema passionale di d’Albisola, con prefazione di Marinetti e illustrazioni di Munari, è realizzato su lamine di ferrostagno litografate a colori. Datato 1934, rappresenta una soluzione più compiuta verso il libro-oggetto, parola che riassume in maniera esemplare il singolare sbilanciamento tra il testo e l’aspetto materiale del libro. Per entrambi Nosenzo idea la legatura necessaria alle pagine di latta: fili di rame che costituiscono i perni di rotazione, racchiusi in un cilindro cromato.
Si realizza ora in maniera assolutamente originale l’estetica della macchina tanto a lungo teorizzata e con essi arriva a compimento quella rivoluzione avviata nel 1909, in cui idee per nulla avulse dal contesto europeo si rapportano dialetticamente per affermare in maniera perentoria e radicale la necessità di un’avanguardia totale, che attraverso l’arte aspira a trasformare la vita.
[1] Cfr. Anne MOEGLIN DELCROIX, Livres d’artistes, Herscher, Paris, 1985; Eugenio MICCINI e Annalisa RIMMAUDO (a cura di), Libri d'artista, Sometti, Mantova, 2000; Giorgio MAFFEI (a cura di), Il libro d’artista, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 2003
[2] Un coup de dés…, pubblicato in via sperimentale nel 1897 e in via definitiva nel 1914, rappresenta l’inizio di un’analitica riflessione sul libro, inteso come soggetto di una storia che può vivere di vita propria.
[3] Filippo Tommaso Martinetti, L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, datato 11 maggio 1913 e pubblicato in Lacerba , Anno I n° 12, Firenze 15 giugno 1913, pag. 125
[4] Fortunato Depero, in Claudia Salaris, Storia del futurismo,Editori Riuniti, Roma 1992, pag. 178