AUSTRALIARTE: una rubrica sull’arte dell’altro emisfero
Primo appuntamento della nostra rubrica, riguardante le manifestazioni artistiche australiane, è la personale di un artista di Melbourne, Richard Morrison, che alla Jackman Gallery ha mostrato al pubblico un ciclo di lavori recenti, intitolato “Attitude”.
di Daria Ulissi
Primo appuntamento della nostra rubrica, riguardante le manifestazioni artistiche australiane, è la personale di un artista di Melbourne, Richard Morrison, che alla Jackman Gallery ha mostrato al pubblico un ciclo di lavori recenti, intitolato “Attitude”.
Prima di addentrarci nell’arte personalissima di Richard Morrison, qualche riga va spesa anche per la galleria che lo ospita. La Jackman Gallery si eleva all’interno di un antichissimo sobborgo a sud di Melbourne, St. Kilda, molto popolare tra giovani e non, per la sua storia ma anche per un qualcosa di magico che vibra nell’aria. L’architettura delle abitazioni di fine Ottocento, affini alla nostra Art Nouveau mista a qualche reminescenza più propriamente secessionista, uno stile in definitiva eclettico, si affianca molto bene e senza stonature a edifici hi-tech. Ed è proprio in questa fitta rete basata sul binomio ‘vecchio-nuovo’ che si innalza, con la sua massiccia struttura, la Jackman Gallery. Creata con l’intento di promuovere pittori, scultori e fotografi affermati, tra le altre cose, sostiene gli artisti emergenti più innovativi. Una grande macchina, guidata dal Direttore Artistico Frank Malerbo, italiano di nascita, che dal 2001 fa ruotare a 365 gradi l’arte, purtroppo ancora sottovalutata, degli artisti australiani.
Ma adesso è ora di parlare di questo artista. Entrando nella grande sala che ospita la mostra la prima cosa che si nota è il colore. Non è un colore sbiadito, pastello, ma è un colore brillante -“bright” come lo definisce l’artista -, forte, tuonante, attraente e attrattivo. Solo adesso si può immaginare cosa provò Vauxcelles entrando nel Salon d’Automne nel 1905: una violenza cromatica a cui non si era abituati, una violenza selvaggia, una violenza da fauves che oggi rivive sulle tele di Morrison, nato e cresciuto a Melbourne. La sua opera si accosta perfettamente alle direttrici delle “bestie”: colori puri accostati tra loro ma soprattutto marcata linea di contorno. La sua arte s’ispira a quella dei grandi pittori europei: il colore di Matisse e Derain, l’adesione alla realtà, Leitmotiv degli espressionisti tedeschi, la ricerca del volume costruttivista delle forme come in Picasso e Cézanne, per certi versi più aderenti al cubo-futurismo di Severini e Balla (mi suggerisce Morrison). Il bagaglio culturale dell’artista è da apprezzare, la sua preparazione è profonda e questo si deve in gran parte all’insegnamento di Pam Hallandel, docente di scultura (Morrison studia scultura per poi passare alla pittura) alla Prahran Art of School, inglese e grande amica di Henry Moore. Il grande amore per la ricerca assoluta della forma-nuova, anti-accademica, primo campo di sperimentazione, pervade le opere pittoriche dell’artista, che riesce attraverso la sovrapposizione di colori a dare una concretezza tridimensionale ai suoi soggetti, utilizzando talvolta anche interi tubetti di colore che fanno vibrare ancor di più le tele rendendole “touchables” o meglio “tangibles”.
Un ciclo, Attitude, di ben 25 tele ad olio che ritraggono uomini e donne dal vivo e in ambientazioni reali perché mi spiega che preferisce i giardini e i piccoli Cafè all’asettico studio. Un ciclo d’arte di posa, un ciclo di attitudes.