ADELE PLOTKIN. Un sottile margine blu
A cura di: Maria Vinella
Dedicato all’artista americana, scomparsa nel giugno del 2013, è in corso a Bari un percorso espositivo articolato su due mostre e un evento all’Università degli Studi “Aldo Moro”. L’evento è stato organizzato in occasione della presentazione del bellissimo volume di Clemente Francavilla “Adele Plotkin, un sottile margine blu”, accuratamente edito dalla Dedalo.
Adele Plotkin nasce nel New Jersey nel 1931 e studia alla Yale University con la guida del maestro Josef Albers. Dopo le lauree Bachelor and Master of Fine Arts giunge in Italia, a Venezia, con una borsa di studio. Qui frequenta Vedova, Tancredi e altri pittori veneziani. Si trasferisce successivamente a Roma, dove la prima occasione espositiva si ha nel 1970 presso la galleria Schneider. Poi, per motivi familiari si stabilisce in Puglia e assume la cattedra di “Psicologia della Forma” presso l’Accademia di Belle Arti di Bari dal 1971 al 1996.
Come suggerisce Francavilla, per comprendere appieno l’opera dell’autrice americana è necessario non dissociare il ruolo di artista da quello di docente, così come accadde per Josef Albers, grande innovatore nella didattica e raffinato pittore e studioso della percezione visiva.
“L’impegno progettuale di Adele Plotkin – scrive l’autore del libro – non sarebbe stato possibile al di fuori del suo impegno didattico (…). Grande è stato il legame con i suoi studenti, inconsapevoli a volte di essere artefici, con lei stessa, di un piccolo destino”.
Partendo dalla lettura gestaltica delle opere, il volume analizza gli olii, i disegni, le tempere e gli acquerelli, i collage di cartoncino colorato, spiegando i meccanismi percettivi che ci inducono a concepire la forma come un divenire continuo, così come la Gestaltung teorizza. Ripercorrendo le tappe fondamentali di tutta la ricerca dell’artista, dagli esordi espressionisti sino alle ultimissime opere, in un arco temporale che dagli anni sessanta giunge alla primavera di quest’anno, Francavilla analizza il ciclo dei “Cerchi” degli anni ottanta, dove i lavori sperimentano le infinite possibilità di interazione fra dentro-fuori, sopra-sotto, pieno-vuoto, interno-esterno; i cicli che tra fine anni ottanta e inizi novanta e tra anni novanta e duemila approfondiscono le ricerche sulla forma-colore e sul segno-forma, entrambi mirabilmente capaci di connotare spazi multidimensionali. Nella serie di lavori prodotti negli ultimi due/tre anni, Adele Plotkin realizza composizioni “mirate alla verifica di alcune fondamentali leggi gestaltiche della semplicità. In particolare (…) alcuni meccanismi della sovrapposizione e della trasparenza, con speciale evidenza il rapporto fra margini fisici e quelli fenomenici”.
A questi stessi cicli sono dedicate le due mostre accolte presso la galleria BLUorG e Nuova Era. Nella prima, Giuseppe Bellini ospita i lavori ideati fra il 1962 e il 1980, opere di grande seduzione pittorica. Penso a “La contessa saluta gli astronauti” del 1969, a “Intermezzo di primavera” del 1971, ai “S.T.” sulle tonalità del giallo, o del verde, o dell’arancio (tutti del 1973/76).
Nella seconda, Rosemarie Sansonetti presenta le opere realizzate fra 1983 e 2013, le opere del trentennio più sperimentale, dove – come la stessa Sansonetti sottolinea – le vibrazioni del colore, le assenze e i vuoti, gli aloni di luce, la particolare concezione dello spazio, restituiscono ad ogni composizione la caratteristica di sconfinare nell’immateriale. Lavori raffinatissimi, che – come ben descrive Clemente Francavilla – segnano il margine indelebile del pensiero dell’artista.