CONVERSAZIONI D’ARTE Incontro con l’artista Silvia Giambrone di Maria Vinella
Silvia Giambrone, siciliana, crede profondamente nell’arte come ricerca di autenticità, come ri-negoziazione continua degli equilibri tra spazio interiore e spazio della vita, tra sentimento e riflessione, tra soggettività e oggettività. Dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti e l’Università di Tor Vergata di Roma, avvia un rapporto quasi fisico e sensuale con il lavoro. “Quel che io ricerco è il linguaggio più consono al mio sentire, ciò che non potrei tradurre diversamente. È la ragione per cui cerco di articolare uno stesso stimolo in diversi modi, perché ogni volta che lo stesso tema tocca linguaggi diversi, il linguaggio stesso porta con sé uno scarto e ci si può avvalere della sua irriducibile differenza. È il mistero del linguaggio …”
Nel 2012 l’artista realizza una performance che ottiene significativo riconoscimento, “Teatro anatomico”. Spiega: “Fa parte di una più ampia indagine sul rapporto tra bellezza e violenza, con un focus preciso sull'arte del ricamo, pratica storicamente rilevante tra le cosiddette arti femminili. Questa pratica è maturata dall'esercizio di pratiche coercitive, e credo che incarni la forte ambiguità che talvolta la cultura promuove con l'ausilio della bellezza: se, per un verso, il ricamo era una delle poche espressioni creative concesse alla donna, per un altro verso bene rappresentava l'adesione delle donne stesse ad una precisa cultura del genere …”
In seguito Giambrone realizza la video-performance “Sotto tiro” e poi “Congedo”, una vera e propria coreografia di cui è ideatrice e regista: “Sotto tiro”, si avvale del video come prolungamento dell'occhio antagonista, come colui che guarda. “È un'operazione di familiarizzazione con il senso della minaccia, della caducità, stati che non indossano solo la maschera della paura manifesta, ma anche quella del gioco, della relazione in una sua più vasta articolazione, e che arrivano a fare della precarietà un paradigma relazionale. “Congedo” invece mette in scena i rapporti di forza, le resistenze insite nella relazione e le rende visibili, permettendo così di leggere l'emotività in termini di reale tensione fisica. L’esistenza è costellata di resistenze e i rapporti di forza, connaturati a ogni esistenza, fanno della resistenza uno dei paradigmi che animano la lettura della realtà in cui si vive e le relazioni messe in campo. Sebbene si tratti di linguaggi e articolazioni diversi, posso dire che hanno in comune un'attenzione precisa per le relazioni come luoghi e tempi fondativi del soggetto.”
La relazione corpo-soggetto è, dunque, centrale nelle sue ricerche destinate ad occuparsi non solo di politiche del corpo, ma di tutto quello che la dimensione politica dello sguardo cela. Attualmente nel futuro dell’artista ci sono una mostra per la Biennale di Kaunas, al National Museum of M. K. Čiurlionis, in Lituania, poi ancora un’altra a Roma che sarà la fase conclusiva di un progetto di residenza curato dal SACS, con successiva acquisizione dell'opera da parte del museo Palazzo Riso di Palermo. In ottobre, invece, trascorrerà un mese all'Università di Utrecht, dove una ricerca di dottorato si occupa delle sue opere con conferenze/seminari a Maastricht e Amsterdam.
Come lei stessa spiega: “La residenza all’ISCP (International Studio & Curatorial Program) di New York è stata senza dubbio una delle esperienze più intense della mia vita per diversi ordini di ragioni. Vivere a New York per sei mesi ti offre una prospettiva necessaria a comprendere la differenza tra le logiche del sistema dell’arte europeo e quello americano, cosa che per un artista può rivelarsi più utile di quanto si possa immaginare. Inoltre New York è una città unica al mondo da cui non si riparte mai come si arriva. Io sono tornata a casa molto più ricca, non solo per i contatti e le relazioni che ho stabilito ma anche per l’esperienza in sé che mi ha permesso di chiarirmi meglio le idee rispetto al mio lavoro e anche alla mia vita. La residenza è strutturata in modo da metterti in contatto con gli addetti ai lavori newyorchesi, critici e curatori che provengono da tutto il mondo, con interessi e metodi di ricerca diversi. Questa varietà umana e lavorativa ti dà un’opportunità di confronto di grande impatto e spessore, ti fa mettere in discussione molte cose. Ho avuto modo di essere presente all’Open Studio che si tiene all’ISCP due volte all’anno. Mi sono
trovata nella sessione primaverile e ho potuto mostrare tutte le opere prodotte durante la residenza, è
stata una stagione molto produttiva per me. Le opere che ho prodotto hanno avuto un ottimo feedback durante i giorni dell’Open Studio e poi anche nelle diverse mostre in Europa a cui ho partecipato quando sono tornata a casa. Continuo a tenermi in contatto con parte delle persone che
ho conosciuto a New York e spero che ci sia presto una buona occasione per tornarci.”
Grazie a queste esperienze, l’aspetto ‘performativo’ ha adesso un ruolo più preponderante e non solo per le performance vere e proprie ma anche nei lavori più installativi e scultorei. Le interessa, infatti, indagare il potenziale di performatività che gli oggetti chiedono, le catene di significati a cui, loro malgrado, sono legati.
Le mostre più importanti degli ultimi due anni sono state la personale alla Biennale di Kaunas, la biennale lituana curata quest’anno da Nicolas Bourriaud; la triennale di Design di Milano, dove è presente con due opere alla mostra W. Women; la mostra The Body as Language: Women and Performance curata da Paola Ugolini alla galleria Richard Saltoun di Londra, dove il suo lavoro e quello di altre artiste giovani sono stati messi a confronto con quelli di artiste femministe storiche; l’ultima mostra personale dal titolo Archeologia domestica Vol. I alla galleria veneta Crearte in cui realizzata una performance insieme ad altri tre performers. Prossima stazione: Istituto di Cultura Italiano di Colonia.
“La mia ricerca al momento ha preso una direzione più scultorea e più istintiva. Adesso sono orientata ad esplorare gli aspetti più selvatici dell’addomesticamento ma è difficile dire adesso cosa
accadrà esattamente, è sempre una sorpresa anche per me. Ad ogni buon conto, il progetto è sempre quello di divertirsi, non è tanto di moda ma non importa”, conclude ironicamente l’artista.
Nel 2012 l’artista realizza una performance che ottiene significativo riconoscimento, “Teatro anatomico”. Spiega: “Fa parte di una più ampia indagine sul rapporto tra bellezza e violenza, con un focus preciso sull'arte del ricamo, pratica storicamente rilevante tra le cosiddette arti femminili. Questa pratica è maturata dall'esercizio di pratiche coercitive, e credo che incarni la forte ambiguità che talvolta la cultura promuove con l'ausilio della bellezza: se, per un verso, il ricamo era una delle poche espressioni creative concesse alla donna, per un altro verso bene rappresentava l'adesione delle donne stesse ad una precisa cultura del genere …”
In seguito Giambrone realizza la video-performance “Sotto tiro” e poi “Congedo”, una vera e propria coreografia di cui è ideatrice e regista: “Sotto tiro”, si avvale del video come prolungamento dell'occhio antagonista, come colui che guarda. “È un'operazione di familiarizzazione con il senso della minaccia, della caducità, stati che non indossano solo la maschera della paura manifesta, ma anche quella del gioco, della relazione in una sua più vasta articolazione, e che arrivano a fare della precarietà un paradigma relazionale. “Congedo” invece mette in scena i rapporti di forza, le resistenze insite nella relazione e le rende visibili, permettendo così di leggere l'emotività in termini di reale tensione fisica. L’esistenza è costellata di resistenze e i rapporti di forza, connaturati a ogni esistenza, fanno della resistenza uno dei paradigmi che animano la lettura della realtà in cui si vive e le relazioni messe in campo. Sebbene si tratti di linguaggi e articolazioni diversi, posso dire che hanno in comune un'attenzione precisa per le relazioni come luoghi e tempi fondativi del soggetto.”
La relazione corpo-soggetto è, dunque, centrale nelle sue ricerche destinate ad occuparsi non solo di politiche del corpo, ma di tutto quello che la dimensione politica dello sguardo cela. Attualmente nel futuro dell’artista ci sono una mostra per la Biennale di Kaunas, al National Museum of M. K. Čiurlionis, in Lituania, poi ancora un’altra a Roma che sarà la fase conclusiva di un progetto di residenza curato dal SACS, con successiva acquisizione dell'opera da parte del museo Palazzo Riso di Palermo. In ottobre, invece, trascorrerà un mese all'Università di Utrecht, dove una ricerca di dottorato si occupa delle sue opere con conferenze/seminari a Maastricht e Amsterdam.
Come lei stessa spiega: “La residenza all’ISCP (International Studio & Curatorial Program) di New York è stata senza dubbio una delle esperienze più intense della mia vita per diversi ordini di ragioni. Vivere a New York per sei mesi ti offre una prospettiva necessaria a comprendere la differenza tra le logiche del sistema dell’arte europeo e quello americano, cosa che per un artista può rivelarsi più utile di quanto si possa immaginare. Inoltre New York è una città unica al mondo da cui non si riparte mai come si arriva. Io sono tornata a casa molto più ricca, non solo per i contatti e le relazioni che ho stabilito ma anche per l’esperienza in sé che mi ha permesso di chiarirmi meglio le idee rispetto al mio lavoro e anche alla mia vita. La residenza è strutturata in modo da metterti in contatto con gli addetti ai lavori newyorchesi, critici e curatori che provengono da tutto il mondo, con interessi e metodi di ricerca diversi. Questa varietà umana e lavorativa ti dà un’opportunità di confronto di grande impatto e spessore, ti fa mettere in discussione molte cose. Ho avuto modo di essere presente all’Open Studio che si tiene all’ISCP due volte all’anno. Mi sono
trovata nella sessione primaverile e ho potuto mostrare tutte le opere prodotte durante la residenza, è
stata una stagione molto produttiva per me. Le opere che ho prodotto hanno avuto un ottimo feedback durante i giorni dell’Open Studio e poi anche nelle diverse mostre in Europa a cui ho partecipato quando sono tornata a casa. Continuo a tenermi in contatto con parte delle persone che
ho conosciuto a New York e spero che ci sia presto una buona occasione per tornarci.”
Grazie a queste esperienze, l’aspetto ‘performativo’ ha adesso un ruolo più preponderante e non solo per le performance vere e proprie ma anche nei lavori più installativi e scultorei. Le interessa, infatti, indagare il potenziale di performatività che gli oggetti chiedono, le catene di significati a cui, loro malgrado, sono legati.
Le mostre più importanti degli ultimi due anni sono state la personale alla Biennale di Kaunas, la biennale lituana curata quest’anno da Nicolas Bourriaud; la triennale di Design di Milano, dove è presente con due opere alla mostra W. Women; la mostra The Body as Language: Women and Performance curata da Paola Ugolini alla galleria Richard Saltoun di Londra, dove il suo lavoro e quello di altre artiste giovani sono stati messi a confronto con quelli di artiste femministe storiche; l’ultima mostra personale dal titolo Archeologia domestica Vol. I alla galleria veneta Crearte in cui realizzata una performance insieme ad altri tre performers. Prossima stazione: Istituto di Cultura Italiano di Colonia.
“La mia ricerca al momento ha preso una direzione più scultorea e più istintiva. Adesso sono orientata ad esplorare gli aspetti più selvatici dell’addomesticamento ma è difficile dire adesso cosa
accadrà esattamente, è sempre una sorpresa anche per me. Ad ogni buon conto, il progetto è sempre quello di divertirsi, non è tanto di moda ma non importa”, conclude ironicamente l’artista.