CONVERSAZIONI D’ARTE - Incontro con l’artista Lucia Rotundo di Maria Vinella
La ricerca di Lucia Rotundo prende avvio da un’attenzione legata ai segni e ai simboli del proprio retroterra culturale. Grandi lavori realizzati con pittura e modellazione plastica, assemblati e caratterizzati dagli aspetti visivi di un territorio sospeso tra storia, memoria, tradizioni.
Già nel periodo degli studi accademici, l’artista calabrese utilizza materiali diversi, definendo un linguaggio in bilico tra scultura e installazione ambientale, un linguaggio minimale e concettuale che affonda le proprie radici in una realtà sensibile, impastata di suggestioni mistiche, di allusioni a una sacralità arcaica, di impegno sociale.
Afferma Rotundo: “Amo la leggerezza, amo la trasparenza, ogni mio lavoro vola in profondità ed è intriso della mia stessa identità. Segni e simboli s’intrecciano e si stratificano nella storia, nell’antropologia e nella natura”. Altra caratteristica costante della ricerca è la luce. Luce naturale o artificiale proiettata sui lavori, che produce una svariata serie di ombre, riverberi, riflessi e rifrazioni. Dunque, una ricerca che ha un rapporto fortemente empatico con la materia e con l’immaterialità. “Utilizzo materiali organici ed inorganici. Cristallo, foglia oro, metacrilato, terracotta, fili di metallo (ottone e alluminio), grandi superfici bianche (tele e tavole), proiezione di luce, terra, sassi, foglie e conchiglie”, spiega l’autrice che scava nella millenaria storia delle origini delle civiltà.
Tra le prime mostre, l’artista ama ricordare in modo particolare, con forte emozione, la IX Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo, intitolata “Visioni di futuro. Vision d’avenir”, allestita nell’ex Mattatoio al Testaccio di Roma. In seguito, vince alcuni premi e partecipa a residenze d’artista, esperienze che considera molto incisive, valide come percorso diverso dalla formazione artistica, e in grado di creare l’opportunità di conoscere artisti e colleghi per meglio confrontarsi. Dalla metà degli anni Novanta partecipata a mostre sia a carattere nazionale che internazionale, e dal 2012 realizzata alcune serie di lavori dedicati ai temi delle relazioni tra identità e natura, prodotti in gran parte con l’utilizzo di materiali eterogenei. Con la mostra “Abitare la natura” (attualmente presso il Museo Civico di Taverna, CZ) la sua ricerca evolve con interventi di grandi dimensioni e installazioni ambientali. Su invito del Museo del Parco - Centro Internazionale di Scultura all’aperto di Portofino, realizza un’opera site specific per il Progetto “El Milagro” (Argentina), così come il progetto “Drink Helleborus” per il Museo Allotropya, Antikyra (Grecia).
Il confronto con l’arte del presente, ma anche con quella del passato, è estremamente importante per Lucia Rotundo: “Ci sono grandi maestri del passato che hanno contribuito alla mia formazione, da Piero della Francesca ai grandi del Rinascimento … Ho imparato molto dalle opere di Kandinskij … e anche dal pensiero di Joseph Beuys. Rispetto il lavoro di Walter De Maria, di Tony Cragg … e di innumerevoli altri artisti che hanno alimentato il Minimalismo e le esperienze degli anni Sessanta e Settanta”.
Oggi, l’artista cerca con la sua poetica di riappropriarsi di tutti quei valori universali come la natura, l’identità, la bellezza, la diversità, utilizzando archetipi storici: il cerchio, il quadrato, l’albero, la conchiglia ecc. Ricorrendo, dunque, a tutti i simboli della vita. “La comprensione della vita è l’interrogativo più drammatico dell’uomo: lo hanno riconosciuto i filosofi, che da sempre indagano su questa questione; lo hanno evidenziato gli scienziati, la cui ricerca non fa che spostare continuamente i confini tra ciò che è nato e ciò che rimane inafferrabile.
“Uno dei miei progetti – spiega Rotundo – è ancora in corso d’opera. Cerco il filo della continuità tra l’affascinante esplorazione della natura e la forza vitale che muove il cosmo e gli individui. L’apparente contrapposizione tra spirito e materia, le infinite possibilità dell’esistenza umana, l’ineluttabilità della morte e il suo valore in rapporto alla vita”. L’artista individua, così, l’autenticità e la bellezza dell’esistenza, e ne è testimone tramite l’opera.
Già nel periodo degli studi accademici, l’artista calabrese utilizza materiali diversi, definendo un linguaggio in bilico tra scultura e installazione ambientale, un linguaggio minimale e concettuale che affonda le proprie radici in una realtà sensibile, impastata di suggestioni mistiche, di allusioni a una sacralità arcaica, di impegno sociale.
Afferma Rotundo: “Amo la leggerezza, amo la trasparenza, ogni mio lavoro vola in profondità ed è intriso della mia stessa identità. Segni e simboli s’intrecciano e si stratificano nella storia, nell’antropologia e nella natura”. Altra caratteristica costante della ricerca è la luce. Luce naturale o artificiale proiettata sui lavori, che produce una svariata serie di ombre, riverberi, riflessi e rifrazioni. Dunque, una ricerca che ha un rapporto fortemente empatico con la materia e con l’immaterialità. “Utilizzo materiali organici ed inorganici. Cristallo, foglia oro, metacrilato, terracotta, fili di metallo (ottone e alluminio), grandi superfici bianche (tele e tavole), proiezione di luce, terra, sassi, foglie e conchiglie”, spiega l’autrice che scava nella millenaria storia delle origini delle civiltà.
Tra le prime mostre, l’artista ama ricordare in modo particolare, con forte emozione, la IX Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo, intitolata “Visioni di futuro. Vision d’avenir”, allestita nell’ex Mattatoio al Testaccio di Roma. In seguito, vince alcuni premi e partecipa a residenze d’artista, esperienze che considera molto incisive, valide come percorso diverso dalla formazione artistica, e in grado di creare l’opportunità di conoscere artisti e colleghi per meglio confrontarsi. Dalla metà degli anni Novanta partecipata a mostre sia a carattere nazionale che internazionale, e dal 2012 realizzata alcune serie di lavori dedicati ai temi delle relazioni tra identità e natura, prodotti in gran parte con l’utilizzo di materiali eterogenei. Con la mostra “Abitare la natura” (attualmente presso il Museo Civico di Taverna, CZ) la sua ricerca evolve con interventi di grandi dimensioni e installazioni ambientali. Su invito del Museo del Parco - Centro Internazionale di Scultura all’aperto di Portofino, realizza un’opera site specific per il Progetto “El Milagro” (Argentina), così come il progetto “Drink Helleborus” per il Museo Allotropya, Antikyra (Grecia).
Il confronto con l’arte del presente, ma anche con quella del passato, è estremamente importante per Lucia Rotundo: “Ci sono grandi maestri del passato che hanno contribuito alla mia formazione, da Piero della Francesca ai grandi del Rinascimento … Ho imparato molto dalle opere di Kandinskij … e anche dal pensiero di Joseph Beuys. Rispetto il lavoro di Walter De Maria, di Tony Cragg … e di innumerevoli altri artisti che hanno alimentato il Minimalismo e le esperienze degli anni Sessanta e Settanta”.
Oggi, l’artista cerca con la sua poetica di riappropriarsi di tutti quei valori universali come la natura, l’identità, la bellezza, la diversità, utilizzando archetipi storici: il cerchio, il quadrato, l’albero, la conchiglia ecc. Ricorrendo, dunque, a tutti i simboli della vita. “La comprensione della vita è l’interrogativo più drammatico dell’uomo: lo hanno riconosciuto i filosofi, che da sempre indagano su questa questione; lo hanno evidenziato gli scienziati, la cui ricerca non fa che spostare continuamente i confini tra ciò che è nato e ciò che rimane inafferrabile.
“Uno dei miei progetti – spiega Rotundo – è ancora in corso d’opera. Cerco il filo della continuità tra l’affascinante esplorazione della natura e la forza vitale che muove il cosmo e gli individui. L’apparente contrapposizione tra spirito e materia, le infinite possibilità dell’esistenza umana, l’ineluttabilità della morte e il suo valore in rapporto alla vita”. L’artista individua, così, l’autenticità e la bellezza dell’esistenza, e ne è testimone tramite l’opera.