CONVERSAZIONI D'ARTE: Incontro con l'artista Giovanni Morgese di Maria Vinella
Giovanni Morgese con un costante approccio antropologico, realizza una ricerca visiva basata sui caratteri semantici di una simbologia mistica volta al disvelamento dei segreti della vita. Dall’uso sapiente di forme geometriche essenziali, di scritture dal significato religioso, è nato un discorso che, tramite sensibili tracciati segnico-cromatici, ha intrapreso l’esplorazione delle verità trascendenti i limiti del reale e mai completamente decifrabili.
In un lirismo teso tra astrazione e figurazione, tra emozione informale, gesto espressionista e progetto mentale, si è andato così conformando, negli anni, uno spazio visivo personalissimo, nelle intenzioni e nei risultati. Un linguaggio espresso in sculture, pitture, installazioni, disegni, microarchitetture, assemblaggi …
Il flusso di icone e pittogrammi, l’automatismo scrittografico, i patterns decorativi, gli effetti segnici del gesto, l’istintività cromatica, hanno lasciato il posto - in questi ultimi anni - a una rigorosa operazione di filtraggio finalizzata a eliminare l’inadeguatezza di certi modi espressivi. Ora, nell’assenza assoluta del colore, nell’azzeramento del gesto, nella misura della forma aniconica, affiora una volontà di distacco, di allontanamento, un celato desiderio di negazione della soggettività, considerata quasi un ostacolo al raggiungimento di un puro equilibrio.
E’ Morgese stesso a raccontare gli inizi del proprio discorso creativo: “Ho cominciato a lavorare in maniera continuativa e sistematica nel campo dell’arte nel 1980 dopo gli studi all’Accademia di belle arti di Bari. Finalmente potevo entrare a far parte del mondo dell’arte … Grandi aspettative, entusiasmo e voglia di mettermi in gioco. Ricordo la mia prima mostra personale: fu a Polignano a Mare nel 1980 presentata dal critico Anna D’Elia. La mia pittura fin dall’inizio era animata da un interesse spiccato verso la simbologia dell’uomo dalle sue origini ad oggi. Il tipo di pittura sentiva fortemente l’influenza dell’informale e dell’espressionismo astratto ... Infatti mi affascinarono le ricerche di Gastone Novelli e Cy Twombly oltre che dei pittori americani degli anni ’50. Devo anche riconoscere il ruolo positivo che hanno avuto all’inizio del mio percorso artistico compianti docenti come Mimmo Conenna e Adele Plotkin”.
Dopo una breve esperienza da insegnante nel 1993/94 al liceo artistico di Matera e nel 1998/2000 presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, l’artista lascia le attività di docenza dedicandosi a tempo pieno all’arte. “Sentivo il bisogno di avere tutto il tempo disponibile da dedicare alla ricerca artistica, forse da incosciente, visto che da quel momento non è stato facile assicurare la continuità al mio lavoro. Al compimento dei miei 40 anni, decisi comunque che non avrei fatto altro lavoro se non quello artistico!”
Seguono anni di sperimentazioni, ricerche, commissioni pubbliche e private. Le opere si basano spesso sui materiali poveri come il legno di risulta, il terreno, il ferro, la carta ecc.
“Col passare del tempo - spiega l’artista - mi sono accorto di sentire molto la forma più che il colore, come se la pittura avesse preso forma e fosse diventata scultura. Una forma che definirei anti-scultura o scultura bidimensionale, avendo ridotto a qualche millimetro la terza dimensione. Anche la linea e la scrittura sono diventate materia solida: scripta manent.”
Ammirando la scultura filiforme di Alberto Giacometti, accostandosi a certe forme di scrittura visiva, Giovanni Morgese tenta di raccontare il dramma dell’uomo in maniera forte e diretta senza paura di scandalizzare, prendendo di petto i problemi sociali.
Ma come si è evoluto un discorso così complesso? Spiega l’artista pugliese: “Negli anni ’80 la mia ricerca artistica è stata orientata verso l’analisi di realtà arcaico-religiose in cui recuperavo la poetica espressionista-informale dipingendo su grandi superfici di carta di forma irregolare. Negli anni ’90 il discorso artistico si è orientato verso l’uso di materiali poveri: legnetti assemblati e consumati dal fuoco diventavano sculture povere ricche di profonda umanità e di spiritualità. Nel 2000 il mio lavoro è diventato rappresentazione di una violenza reale e tangibile attraverso l’indagine del mio volto che perdeva la sua identità fisica e diventava maschera di dolore identificandosi così con l’umanità sofferente. Poi, nel 2009, dopo aver fatto sculture molto fragili e precarie, sono passato all’utilizzo del ferro. Le mie figure sono diventate sagome verticali di lamiera molto sottile, traforate o ispessite da ritagli di ferro assemblati. Da circa tre anni ho preso a scrivere parole-chiave assemblate quasi come sculture tridimensionali o come scritte murarie.”
In un lirismo teso tra astrazione e figurazione, tra emozione informale, gesto espressionista e progetto mentale, si è andato così conformando, negli anni, uno spazio visivo personalissimo, nelle intenzioni e nei risultati. Un linguaggio espresso in sculture, pitture, installazioni, disegni, microarchitetture, assemblaggi …
Il flusso di icone e pittogrammi, l’automatismo scrittografico, i patterns decorativi, gli effetti segnici del gesto, l’istintività cromatica, hanno lasciato il posto - in questi ultimi anni - a una rigorosa operazione di filtraggio finalizzata a eliminare l’inadeguatezza di certi modi espressivi. Ora, nell’assenza assoluta del colore, nell’azzeramento del gesto, nella misura della forma aniconica, affiora una volontà di distacco, di allontanamento, un celato desiderio di negazione della soggettività, considerata quasi un ostacolo al raggiungimento di un puro equilibrio.
E’ Morgese stesso a raccontare gli inizi del proprio discorso creativo: “Ho cominciato a lavorare in maniera continuativa e sistematica nel campo dell’arte nel 1980 dopo gli studi all’Accademia di belle arti di Bari. Finalmente potevo entrare a far parte del mondo dell’arte … Grandi aspettative, entusiasmo e voglia di mettermi in gioco. Ricordo la mia prima mostra personale: fu a Polignano a Mare nel 1980 presentata dal critico Anna D’Elia. La mia pittura fin dall’inizio era animata da un interesse spiccato verso la simbologia dell’uomo dalle sue origini ad oggi. Il tipo di pittura sentiva fortemente l’influenza dell’informale e dell’espressionismo astratto ... Infatti mi affascinarono le ricerche di Gastone Novelli e Cy Twombly oltre che dei pittori americani degli anni ’50. Devo anche riconoscere il ruolo positivo che hanno avuto all’inizio del mio percorso artistico compianti docenti come Mimmo Conenna e Adele Plotkin”.
Dopo una breve esperienza da insegnante nel 1993/94 al liceo artistico di Matera e nel 1998/2000 presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, l’artista lascia le attività di docenza dedicandosi a tempo pieno all’arte. “Sentivo il bisogno di avere tutto il tempo disponibile da dedicare alla ricerca artistica, forse da incosciente, visto che da quel momento non è stato facile assicurare la continuità al mio lavoro. Al compimento dei miei 40 anni, decisi comunque che non avrei fatto altro lavoro se non quello artistico!”
Seguono anni di sperimentazioni, ricerche, commissioni pubbliche e private. Le opere si basano spesso sui materiali poveri come il legno di risulta, il terreno, il ferro, la carta ecc.
“Col passare del tempo - spiega l’artista - mi sono accorto di sentire molto la forma più che il colore, come se la pittura avesse preso forma e fosse diventata scultura. Una forma che definirei anti-scultura o scultura bidimensionale, avendo ridotto a qualche millimetro la terza dimensione. Anche la linea e la scrittura sono diventate materia solida: scripta manent.”
Ammirando la scultura filiforme di Alberto Giacometti, accostandosi a certe forme di scrittura visiva, Giovanni Morgese tenta di raccontare il dramma dell’uomo in maniera forte e diretta senza paura di scandalizzare, prendendo di petto i problemi sociali.
Ma come si è evoluto un discorso così complesso? Spiega l’artista pugliese: “Negli anni ’80 la mia ricerca artistica è stata orientata verso l’analisi di realtà arcaico-religiose in cui recuperavo la poetica espressionista-informale dipingendo su grandi superfici di carta di forma irregolare. Negli anni ’90 il discorso artistico si è orientato verso l’uso di materiali poveri: legnetti assemblati e consumati dal fuoco diventavano sculture povere ricche di profonda umanità e di spiritualità. Nel 2000 il mio lavoro è diventato rappresentazione di una violenza reale e tangibile attraverso l’indagine del mio volto che perdeva la sua identità fisica e diventava maschera di dolore identificandosi così con l’umanità sofferente. Poi, nel 2009, dopo aver fatto sculture molto fragili e precarie, sono passato all’utilizzo del ferro. Le mie figure sono diventate sagome verticali di lamiera molto sottile, traforate o ispessite da ritagli di ferro assemblati. Da circa tre anni ho preso a scrivere parole-chiave assemblate quasi come sculture tridimensionali o come scritte murarie.”