Roberto Ghezzi. Forma
A cura di: Tiziana Tommei
Dal 24 ottobre al 23 novembre 2014 presso la Galleria di Tiziana Tommei in via Garibaldi 33 ad Arezzo saranno esposte opere della più recente produzione dell’artista cortonese. Tele ad olio di medio e grande formato, di cm 100x100 e 100x150, fino ad un inedito proposto in esclusiva per l’occasione: un dittico di oltre 2 metri di ampiezza. Reduce dalla mostra Sublimen curata da Giovanni Faccenda presso Museo Fondazione Luciana Matalon a Milano, Roberto Ghezzi torna dunque ad Arezzo con FORMA, mostra a cura di Tiziana Tommei. In parallelo l’artista esporrà dall’8 novembre al 6 dicembre 2014 a Roma presso il Chiostro del Bramante, mentre dal 3 al 30 aprile 2015 ha in programma una personale a Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
L’esigenza di confrontarsi, in maniera reiterata, con certi soggetti, diviene parametro di una dinamica evolutiva: stessi temi, diversi livelli concettuali, sempre e costantemente in divenire. La strada percorsa è quella del rinnovamento del concetto di pittura di paesaggio, così che la ripetizione del suo soggetto – il paesaggio appunto – non implica mai la proposta di uno stesso dipinto. E’ stato indicato dal Prof. Giovanni Faccenda tra gli artisti meritevoli di una segnalazione nell’edizione n° 50 del CAM (Catalogo dell’Arte Moderna, Editoriale Giorgio Mondadori).
Non fatevi ingannare dal mare calmo, dal dolce ondeggiare dell’acqua o dal volo ascensionale di un uccello. Non fermatevi ai profili montuosi avvolti dalle nebbie o ai cieli gravidi di nubi, andate oltre. Oltre l’orizzonte disegnato, superate la linea bianca e prolungate all’infinito lo spazio oltre il supporto, sia sul piano che in profondità. Scavate dentro quello che appare e cercate il significato vero di quanto è dato. Trovate il punto, il concetto. Sono oltre due anni che conosco e seguo con continuità il lavoro di Roberto Ghezzi. E ogni volta che mi mostra le sue “ultime” opere riesce sempre a sorprendermi.
Mi colpisce, oggi, come in passato, la capacità di evolversi con rara, rarissima quanto estrema coerenza.Un procedere ponderato e misurato, in ossequio a principi mai traditi o negati, misto ad una capacità di reinventarsi costantemente mantenendo ferma la propria cifra stilistica. Il tutto, secondo un mai celato minimo comune denominatore: un’instancabile ricerca formale.
Direttrici, rette, fulcri, piani: sono questi i vocaboli dell’opera di questo artista che, a dispetto della scelta di soggetti “sublimi”, non parte da essi per affermare ciò che sente, vede e ragiona. L’ossessiva proposta dei temi a lui cari, non va intesa quale sintomo di un interesse per essi, quanto invece per le strutture mentali di cui essi possono assumere la forma. Ghezzi non è attratto dall’orizzonte del mare piuttosto che da cime e cieli tempestosi, quanto dalla loro essenza formale. Essi si fanno veicoli di un messaggio tutto personale, interiore, ma che non riguarda la sfera emotiva o introspettiva.
Roberto Ghezzi non ama psicologismi e simbolismi. Egli costruisce un discorso che è puramente formale e architettonico, nella misura in cui la sostanza si compenetra con la forma. Ogni sua tela si nutre di geometria, modularità e prospettiva. Equilibrio e ratio. Ghezzi fa scaturire la parvenza emozionale dalla logica. Egli parte da schemi mentali e li traspone sul supporto, strumentalizzando quello che appare come soggetto del quadro, ma che in realtà è solo un pretesto. L’oggetto raffigurato è scelto per la sua forma e per le potenzialità strutturali che sottende.
Per questi motivi, quando mi sono trovata a scegliere un titolo per questa mostra ho pensato a “Forma”. Avrei potuto chiamarla anche “Teorema”. Lo spazio, il colore e una maniacale attenzione alla struttura compositiva. Ogni elemento, come in un’architettura, occupa il suo posto, millimetricamente cercato e fissato sulla tela. Le montagne sono fasci di linee convergenti verso un centro, un crogiolo di vettori che intercettano lo sguardo, guidandolo alla lettura dell’opera. Implicitamente vi è l’invito ad indagare l’aspetto processuale del dipinto, seguendo la mano del pittore, il tracciato materico e cromatico, le sovrapposte e ripetute pennellate, i ritocchi a secco, la trasparenza dell’ultimo strato di pittura.
Blu di Parigi, verde smeraldo, rosso di cadmio e blu reale: una tavolozza ricercata, mai banale. Ogni colore non è mai unico, ma il prodotto di fattori cromatici eterogenei. Così come lo spazio è infinito. Il supporto esiste, ma viene continuamente negato e superato. La tela non pare avere un peso specifico o una sua concreta parvenza. Sparisce. La superficie è ricreata dallo spessore cromatico e trattata ora con ripetuti “tagli”, ora con una stesura lineare e a zolle.
Un minimalismo costruttivo, geometrico, cromatico, ma sempre (ancora) ancorato ad un tramite figurativo con il reale. Nuovi valori plastici emergono nei lavori più recenti, dove il blu è dominante e i formati raddoppiano. Non basta più una tela. L’infinito non può essere restituito, ma sicuramente evocato.
L’esigenza di confrontarsi, in maniera reiterata, con certi soggetti, diviene parametro di una dinamica evolutiva: stessi temi, diversi livelli concettuali, sempre e costantemente in divenire. La strada percorsa è quella del rinnovamento del concetto di pittura di paesaggio, così che la ripetizione del suo soggetto – il paesaggio appunto – non implica mai la proposta di uno stesso dipinto. E’ stato indicato dal Prof. Giovanni Faccenda tra gli artisti meritevoli di una segnalazione nell’edizione n° 50 del CAM (Catalogo dell’Arte Moderna, Editoriale Giorgio Mondadori).
Non fatevi ingannare dal mare calmo, dal dolce ondeggiare dell’acqua o dal volo ascensionale di un uccello. Non fermatevi ai profili montuosi avvolti dalle nebbie o ai cieli gravidi di nubi, andate oltre. Oltre l’orizzonte disegnato, superate la linea bianca e prolungate all’infinito lo spazio oltre il supporto, sia sul piano che in profondità. Scavate dentro quello che appare e cercate il significato vero di quanto è dato. Trovate il punto, il concetto. Sono oltre due anni che conosco e seguo con continuità il lavoro di Roberto Ghezzi. E ogni volta che mi mostra le sue “ultime” opere riesce sempre a sorprendermi.
Mi colpisce, oggi, come in passato, la capacità di evolversi con rara, rarissima quanto estrema coerenza.Un procedere ponderato e misurato, in ossequio a principi mai traditi o negati, misto ad una capacità di reinventarsi costantemente mantenendo ferma la propria cifra stilistica. Il tutto, secondo un mai celato minimo comune denominatore: un’instancabile ricerca formale.
Direttrici, rette, fulcri, piani: sono questi i vocaboli dell’opera di questo artista che, a dispetto della scelta di soggetti “sublimi”, non parte da essi per affermare ciò che sente, vede e ragiona. L’ossessiva proposta dei temi a lui cari, non va intesa quale sintomo di un interesse per essi, quanto invece per le strutture mentali di cui essi possono assumere la forma. Ghezzi non è attratto dall’orizzonte del mare piuttosto che da cime e cieli tempestosi, quanto dalla loro essenza formale. Essi si fanno veicoli di un messaggio tutto personale, interiore, ma che non riguarda la sfera emotiva o introspettiva.
Roberto Ghezzi non ama psicologismi e simbolismi. Egli costruisce un discorso che è puramente formale e architettonico, nella misura in cui la sostanza si compenetra con la forma. Ogni sua tela si nutre di geometria, modularità e prospettiva. Equilibrio e ratio. Ghezzi fa scaturire la parvenza emozionale dalla logica. Egli parte da schemi mentali e li traspone sul supporto, strumentalizzando quello che appare come soggetto del quadro, ma che in realtà è solo un pretesto. L’oggetto raffigurato è scelto per la sua forma e per le potenzialità strutturali che sottende.
Per questi motivi, quando mi sono trovata a scegliere un titolo per questa mostra ho pensato a “Forma”. Avrei potuto chiamarla anche “Teorema”. Lo spazio, il colore e una maniacale attenzione alla struttura compositiva. Ogni elemento, come in un’architettura, occupa il suo posto, millimetricamente cercato e fissato sulla tela. Le montagne sono fasci di linee convergenti verso un centro, un crogiolo di vettori che intercettano lo sguardo, guidandolo alla lettura dell’opera. Implicitamente vi è l’invito ad indagare l’aspetto processuale del dipinto, seguendo la mano del pittore, il tracciato materico e cromatico, le sovrapposte e ripetute pennellate, i ritocchi a secco, la trasparenza dell’ultimo strato di pittura.
Blu di Parigi, verde smeraldo, rosso di cadmio e blu reale: una tavolozza ricercata, mai banale. Ogni colore non è mai unico, ma il prodotto di fattori cromatici eterogenei. Così come lo spazio è infinito. Il supporto esiste, ma viene continuamente negato e superato. La tela non pare avere un peso specifico o una sua concreta parvenza. Sparisce. La superficie è ricreata dallo spessore cromatico e trattata ora con ripetuti “tagli”, ora con una stesura lineare e a zolle.
Un minimalismo costruttivo, geometrico, cromatico, ma sempre (ancora) ancorato ad un tramite figurativo con il reale. Nuovi valori plastici emergono nei lavori più recenti, dove il blu è dominante e i formati raddoppiano. Non basta più una tela. L’infinito non può essere restituito, ma sicuramente evocato.
Luoghi
www.galleria33.it 339 8438565
Orario: lun-ven 16.30-19.30, sab 11-13 e 17-19.30