Mavi Ferrando "Strutture polimorfe e geometrie di confine"
A cura di: Cristina Rossi e testo di Donatella Airoldi
Sculture in sequenza
Cristina Rossi
La galleria romana Studio Arte Fuori Centro ospita la mostra di Mavi Ferrando: dieci sculture/bassorilievo lignee montate sulle pareti che delimitano lo spazio espositivo, in un’alternanza di pieni e di vuoti, creano una diversa percezione dell’ambiente, in sé piuttosto regolare. Si avverte infatti una mobilità, una diversa articolazione che lo spazio stesso, per sua natura struttura architettonica uniformante, assume attraverso l’allestimento di questo insieme di opere che fa parte di un unico progetto artistico.
Solo avvicinandosi si percepisce la natura particolare di questo lavoro: nel tempo l’artista ha saputo approfondire con coerente intensità il percorso avviato fin dall’inizio con installazioni, sculture, dipinti, disegni in cui architettura scultura e design intrecciano inscindibilmente i loro linguaggi specifici.
Le opere in mostra, le più significative tra quelle recenti, rappresentano simbolicamente quasi la sintesi di un intero percorso narrativo; ad accomunarle ai lavori storici dell’artista sta infatti un approccio radicale che Ferrando mette in campo su un’idea di scultura fondata sulla propria necessità emozionale di trasformare la forma, di farla virare, da una prima ipotesi, a una totalmente “altra” inimmaginabile, trasgressiva, aperta a nuove possibilita’ di articolare il proprio racconto creativo. Si ritrovano in questo lavoro inedito gli elementi di fondo di una poetica in cui l’opera è un processo nato sul foglio da disegno mai vincolato a una forma predefinita; la sfida sta nel farsi stesso dell’opera, nella ricerca di una connessione, di una relazione di senso tra l’opera, le sue componenti e lo spazio.
Il lavoro dell'artista, a partire dalla sua formazione di architetta, da sempre mescola rigore e liberta’ d’espressione, ironia e austerita’; Ferrando muove da un sapere tecnico umanistico che rispetta la rilevanza formale del progetto, le numerose esperienze espositive, la pratica dei materiali e strumenti sperimentati in laboratorio, immensa bottega artigiana, punto nevralgico della sua residenza in Lomellina. E tuttavia l’artista avverte che “... non possiamo mai vedere nulla completamente, qualcosa resta sempre celato e non possiamo recuperarne le forme se non attraverso una rottura, o meglio una trasgressione... ho sempre voluto trasformare, un costante lavoro di trasformazione, trasgredire dalla forma e dalla funzione presunta di un oggetto...”.
Ritorno mentalmente a opere di Ferrando che colgono torsioni di corpi, figure umane ansiose protese al cielo quasi a voler sfidare la gravità’, nel momento della loro “metamorfosi” verso una forma altra, rinunciando a quella sorta di eternità che rischia di congelare il movimento, come spesso accade nella scultura e in architettura. E dunque la fisionomia di questi lavori della mostra romana sfuggono a una configurazione definitiva come del resto la vitalità di un’opera a mio parere richiede.
Le dieci sculture/bassorilievo se da un lato consentono una lettura complessiva della ricerca dell’artista, che attraverso passaggi ed evoluzioni ha saputo mantenere una visione coerente, centrata sul valore della forma e della materia, dall’altro ricreano e accentuano un’idea forte di scultura, di volumi, di spazialità dove l’immagine plastica attraverso una complessa genealogia diviene anche sequenza di misteriose presenze; in questo senso Ferrando non è lontana da un clima vagamente surrealista.
Questo progetto espositivo sottolinea un passaggio interessante nel lavoro dell’artista: un momento di riflessione che sottende una sorta di rinuncia alla monumentalità della singola opera per restituirle una transitorietà, come se la percezione della sostanza dell’opera si espandesse proprio attraverso una destrutturazione di parti in figure di misura variabile coerenti tra loro, ordinate secondo un ritmo.
C’è anche, forse, attraverso questa mostra un’esigenza dell’artista di alleggerire il proprio lavoro, anche nel senso di un ingombro, di sperimentare una nuova relazione con il proprio modo di operare. Ancora una volta e in modo più radicale Ferrando ci riporta all’idea di fondo della sua poetica, ribaltare ciò che è acquisito e liberare il progetto dal ruolo teoricamente predisposto, per trasferirlo nel territorio del proprio immaginario artistico.
Geomavìe
Donatella Airoldi
Mavi Ferrando ci trasporta subitamente in una geometria flessibile, in una trattabilità a spinta rettangolare con angoli slittanti verso curvilinei contatti sprangati nel leggero legno verniciato. Sono strutture sovrapposte dagli equilibri mascherati che si affermano comunque, anche quando sembrano negarsi. Geometrie vibrate che si appostano nell’incredulità di una forma elegiaca che non vuole essere appesa a un solo chiodo.
Nascostamente divertite e non di meno sacrali e austere queste sculture a parete, composte dagli 8 ai 12 elementi ciascuna distanziati tra loro di pochi centimetri, creano strutture complesse stranamente geometriche al piede per poi sbizzarrirsi scherzosamente negli apici opposti.
Altezza 150 cm x 150 cm di larghezza la più estrosa, geometrica alla base con piccoli scalini adiacenti ad un’arcata strutturale sbieca che diviene poi getto creativo inaspettato e fluente, azzardato nella sua architettura monumentale. Marchia a fuoco, e il movimento è più trasgressivo della forma.
Chiara Gatti avvicina le opere di Mavi Ferrando a Fausto Melotti, volubile leggerezza di sculture che toccano il cielo, scherzano con le umane negligenze e si aprono ai sotterfugi giocosi.
L’artista la si può riconoscere ovunque per quel suo modo di immergere forme discordanti in un cemento unitario, un segno innegabile che all’apparenza sembra istintivo, ma che è sempre studiato e misurato fino ai particolari minimi, raccolto in un pensiero polimorfico, musicalmente armonico, sovrano onnipotente della libera forma.
Possiamo osare nel dire Geomavìe? Ma sì, regaliamoci questo eretico appellativo linguistico!
La vita è monotonia e l’irriverenza in questa mostra ha libero gioco. Sono elementi ravvicinati, ogni volta potresti decidere altre varianti e la composizione s’insinua tra i pieni e i vuoti. Svuotare per poi riempire di senso, sfoltire le cose inutili, gettare ogni orpello appesantito dal pudore cocente e sciogliersi nell’immensità dell’azzardo creativo.
Ci sono silenzi che non vorresti mai colpire. L’imperturbabile sogno antico di una linea irregolare è stratificato con filigranica giacenza, lo scopri nella filosofia del narrare insistentemente negli angoli ispidi, nelle parti comuni di rettangoli prospicienti a semicerchi soleggiati alla ricerca della sporgente dissimetria.
La mostra traccia un dialogo tra diversi periodi storici dell’artista in cui il bagaglio simbolico è legato all’eroismo dei suoi protagonisti, appare pop, ma sbircia al futurismo di Depero. Come Depero ironizza sulla pseudo realtà ammiccando alla fisica consapevolezza del rigore bilanciato nelle sue contraddizioni. Simboli di una ortodossia Estetica.
Ferrando ci trasporta nei suoi mondi friabili e austeri, nella cieca scienza, nella grandezza della quotidiana bellezza impalcata d’ironia con una coraggiosa sfrontatezza mai schiava della ragione.
Sono davvero geometrie?
Il nitore delle sculture a muro e la loro forza innovativa sferzata dal movimento si orchestrano perfettamente col senso del divenire delle cose. Guerrieri e semidei solitari s’incamminano verso il Tempio, raccolgono sinuosi fiori da destinare al sacro rito e difendono l’alterità dalla spietata ingordigia umana.
Sono le geometrie sbalzate di una composizione onirica irriguardosa delle regole claustrofobiche tesa alla smisurata ricerca dell’armonia estetica.
Scacco Matto! Questo provocano le opere di Mavi Ferrando, in un gioco appena cominciato trovano immancabilmente l’estremo creativo, la mossa spiazzante che ingarbuglia coscientemente ogni teoria dotta e vasocostringente.
Ebbene sì, Geomavìe!
Cristina Rossi
La galleria romana Studio Arte Fuori Centro ospita la mostra di Mavi Ferrando: dieci sculture/bassorilievo lignee montate sulle pareti che delimitano lo spazio espositivo, in un’alternanza di pieni e di vuoti, creano una diversa percezione dell’ambiente, in sé piuttosto regolare. Si avverte infatti una mobilità, una diversa articolazione che lo spazio stesso, per sua natura struttura architettonica uniformante, assume attraverso l’allestimento di questo insieme di opere che fa parte di un unico progetto artistico.
Solo avvicinandosi si percepisce la natura particolare di questo lavoro: nel tempo l’artista ha saputo approfondire con coerente intensità il percorso avviato fin dall’inizio con installazioni, sculture, dipinti, disegni in cui architettura scultura e design intrecciano inscindibilmente i loro linguaggi specifici.
Le opere in mostra, le più significative tra quelle recenti, rappresentano simbolicamente quasi la sintesi di un intero percorso narrativo; ad accomunarle ai lavori storici dell’artista sta infatti un approccio radicale che Ferrando mette in campo su un’idea di scultura fondata sulla propria necessità emozionale di trasformare la forma, di farla virare, da una prima ipotesi, a una totalmente “altra” inimmaginabile, trasgressiva, aperta a nuove possibilita’ di articolare il proprio racconto creativo. Si ritrovano in questo lavoro inedito gli elementi di fondo di una poetica in cui l’opera è un processo nato sul foglio da disegno mai vincolato a una forma predefinita; la sfida sta nel farsi stesso dell’opera, nella ricerca di una connessione, di una relazione di senso tra l’opera, le sue componenti e lo spazio.
Il lavoro dell'artista, a partire dalla sua formazione di architetta, da sempre mescola rigore e liberta’ d’espressione, ironia e austerita’; Ferrando muove da un sapere tecnico umanistico che rispetta la rilevanza formale del progetto, le numerose esperienze espositive, la pratica dei materiali e strumenti sperimentati in laboratorio, immensa bottega artigiana, punto nevralgico della sua residenza in Lomellina. E tuttavia l’artista avverte che “... non possiamo mai vedere nulla completamente, qualcosa resta sempre celato e non possiamo recuperarne le forme se non attraverso una rottura, o meglio una trasgressione... ho sempre voluto trasformare, un costante lavoro di trasformazione, trasgredire dalla forma e dalla funzione presunta di un oggetto...”.
Ritorno mentalmente a opere di Ferrando che colgono torsioni di corpi, figure umane ansiose protese al cielo quasi a voler sfidare la gravità’, nel momento della loro “metamorfosi” verso una forma altra, rinunciando a quella sorta di eternità che rischia di congelare il movimento, come spesso accade nella scultura e in architettura. E dunque la fisionomia di questi lavori della mostra romana sfuggono a una configurazione definitiva come del resto la vitalità di un’opera a mio parere richiede.
Le dieci sculture/bassorilievo se da un lato consentono una lettura complessiva della ricerca dell’artista, che attraverso passaggi ed evoluzioni ha saputo mantenere una visione coerente, centrata sul valore della forma e della materia, dall’altro ricreano e accentuano un’idea forte di scultura, di volumi, di spazialità dove l’immagine plastica attraverso una complessa genealogia diviene anche sequenza di misteriose presenze; in questo senso Ferrando non è lontana da un clima vagamente surrealista.
Questo progetto espositivo sottolinea un passaggio interessante nel lavoro dell’artista: un momento di riflessione che sottende una sorta di rinuncia alla monumentalità della singola opera per restituirle una transitorietà, come se la percezione della sostanza dell’opera si espandesse proprio attraverso una destrutturazione di parti in figure di misura variabile coerenti tra loro, ordinate secondo un ritmo.
C’è anche, forse, attraverso questa mostra un’esigenza dell’artista di alleggerire il proprio lavoro, anche nel senso di un ingombro, di sperimentare una nuova relazione con il proprio modo di operare. Ancora una volta e in modo più radicale Ferrando ci riporta all’idea di fondo della sua poetica, ribaltare ciò che è acquisito e liberare il progetto dal ruolo teoricamente predisposto, per trasferirlo nel territorio del proprio immaginario artistico.
Geomavìe
Donatella Airoldi
Mavi Ferrando ci trasporta subitamente in una geometria flessibile, in una trattabilità a spinta rettangolare con angoli slittanti verso curvilinei contatti sprangati nel leggero legno verniciato. Sono strutture sovrapposte dagli equilibri mascherati che si affermano comunque, anche quando sembrano negarsi. Geometrie vibrate che si appostano nell’incredulità di una forma elegiaca che non vuole essere appesa a un solo chiodo.
Nascostamente divertite e non di meno sacrali e austere queste sculture a parete, composte dagli 8 ai 12 elementi ciascuna distanziati tra loro di pochi centimetri, creano strutture complesse stranamente geometriche al piede per poi sbizzarrirsi scherzosamente negli apici opposti.
Altezza 150 cm x 150 cm di larghezza la più estrosa, geometrica alla base con piccoli scalini adiacenti ad un’arcata strutturale sbieca che diviene poi getto creativo inaspettato e fluente, azzardato nella sua architettura monumentale. Marchia a fuoco, e il movimento è più trasgressivo della forma.
Chiara Gatti avvicina le opere di Mavi Ferrando a Fausto Melotti, volubile leggerezza di sculture che toccano il cielo, scherzano con le umane negligenze e si aprono ai sotterfugi giocosi.
L’artista la si può riconoscere ovunque per quel suo modo di immergere forme discordanti in un cemento unitario, un segno innegabile che all’apparenza sembra istintivo, ma che è sempre studiato e misurato fino ai particolari minimi, raccolto in un pensiero polimorfico, musicalmente armonico, sovrano onnipotente della libera forma.
Possiamo osare nel dire Geomavìe? Ma sì, regaliamoci questo eretico appellativo linguistico!
La vita è monotonia e l’irriverenza in questa mostra ha libero gioco. Sono elementi ravvicinati, ogni volta potresti decidere altre varianti e la composizione s’insinua tra i pieni e i vuoti. Svuotare per poi riempire di senso, sfoltire le cose inutili, gettare ogni orpello appesantito dal pudore cocente e sciogliersi nell’immensità dell’azzardo creativo.
Ci sono silenzi che non vorresti mai colpire. L’imperturbabile sogno antico di una linea irregolare è stratificato con filigranica giacenza, lo scopri nella filosofia del narrare insistentemente negli angoli ispidi, nelle parti comuni di rettangoli prospicienti a semicerchi soleggiati alla ricerca della sporgente dissimetria.
La mostra traccia un dialogo tra diversi periodi storici dell’artista in cui il bagaglio simbolico è legato all’eroismo dei suoi protagonisti, appare pop, ma sbircia al futurismo di Depero. Come Depero ironizza sulla pseudo realtà ammiccando alla fisica consapevolezza del rigore bilanciato nelle sue contraddizioni. Simboli di una ortodossia Estetica.
Ferrando ci trasporta nei suoi mondi friabili e austeri, nella cieca scienza, nella grandezza della quotidiana bellezza impalcata d’ironia con una coraggiosa sfrontatezza mai schiava della ragione.
Sono davvero geometrie?
Il nitore delle sculture a muro e la loro forza innovativa sferzata dal movimento si orchestrano perfettamente col senso del divenire delle cose. Guerrieri e semidei solitari s’incamminano verso il Tempio, raccolgono sinuosi fiori da destinare al sacro rito e difendono l’alterità dalla spietata ingordigia umana.
Sono le geometrie sbalzate di una composizione onirica irriguardosa delle regole claustrofobiche tesa alla smisurata ricerca dell’armonia estetica.
Scacco Matto! Questo provocano le opere di Mavi Ferrando, in un gioco appena cominciato trovano immancabilmente l’estremo creativo, la mossa spiazzante che ingarbuglia coscientemente ogni teoria dotta e vasocostringente.
Ebbene sì, Geomavìe!
Luoghi
https://www.facebook.com/quintocortile.arte 02 58102441 338. 800. 7617
orario:mar, mer, ven 17.15-19.15, giovedì su appuntamento - ingresso libero