Mavi Ferrando "Intemperanze e rigore"
A cura di: Eleonora Fiorani
Le opere di Mavi Ferrando presenti nella mostra Intemperanze e rigore sono sculture totemiche e insieme liberty, lievi come le foglie di cui hanno la grazia e la poesia, e sculture-scritture, disegno e segno, che rammemorano quelle dei templi mediorientali, che vivono nell’estensibilità multidimensionale dello spazio mentre ci rimandano alla sacralità della scultura e insieme la decostruiscono.
In esse lei parla il linguaggio del legno, di cui cerca la levigata leggerezza e la flessibilità, l’equilibrio e il movimento come se esso stesso fosse una creatura viva da cui si generano opere quasi senza spessore, che si ancorano nella bidimensionalità della superficie, e che anche colora, di nero, di bianco o mantiene e tratta come colore le sue calde tonalità marroni.
E dunque è nel legno, nella sua pelle viva, calda e liscia, che ha intagliato morbide curve e aperture, disegnando nella scultura Senza titolo, lingue che si ergono in alto e si richiamano oppure in Eccedo, in legno sagomato e acrilico, e in Drus, Achet, Yor, frastagliati e inaspettati contorni mentre esse stesse ci appaiono come il diventare uno di due diverse sculture, che ne fanno stranianti creature, personaggi di un immaginario mondo in cui si incontrano poesia e dimensione ludica.
Il suo modo di operare intreccia infatti rigore di ricerca e sperimentazione che comprende anche il giocare con le forme, il contaminare i linguaggi, facendoli deragliare dai codici prestabiliti, così che rimanga incerta la loro natura di scultura o di quadro o di architettura o di design. Sono strutture autoriferite che vivono in un tempo anacronistico, in cui tutti i tempi sono presenti, così che esse rammemorano il passato e insieme un immaginifico futuro, o in un tempo bloccato in un istante che diventa eterno presente. Di qui totem che hanno perso la loro monumentalità e il loro essere sculture funerarie o monumenti astrali che diventano vessilli o aste E che possono vivere singolarmente o allineati insieme in più aste o sagome strutturate per variazione di motivi plastici. Eppure c’è in loro la memoria del menhir, del loro essere una trasformazione fisica dello spazio, “la pietra luce” o anche “la pietra danzante”, come le immaginavano gli antichi, astratta e vivente, il bordo d uno spazio, ritmato, definito, geometrico, che nelle opere di Mavi Ferrando dà vita a un nuovo linguaggio delle forme, a un diverso modo di essere e insieme non essere della scultura e della pittura.
E che si tratti di un nuovo linguaggio ne è un’ulteriore conferma il recente ciclo dello opere, ancora in corso, che si distendono in orizzontale, potenzialmente all’infinito, che, all’apparenza, ci appaiono come una scrittura, in un processo che da un lato possiamo leggere come un’ulteriore smaterializzazione materica della scultura e all’inverso, dall’altro, come un processo in cui la scrittura acquista materialità. Le due opere esposte, entrambe Senza titolo, sono infatti costituite per libero accostamento e composizione da aste sottili, che sono frammenti di forme, che potrebbero essere disposte diversamente quali elementi che rammemorano i modi in cui si strutturano gli ideogrammi. Sono segni calligrafici di un’immaginaria e misteriosa lingua che si annida nei meandri del tempo o che ancora deve venire, che si liberano dai supporti in cui sogliono essere scritti e vivono in piena libertà e autonomia nello spazio.
In esse lei parla il linguaggio del legno, di cui cerca la levigata leggerezza e la flessibilità, l’equilibrio e il movimento come se esso stesso fosse una creatura viva da cui si generano opere quasi senza spessore, che si ancorano nella bidimensionalità della superficie, e che anche colora, di nero, di bianco o mantiene e tratta come colore le sue calde tonalità marroni.
E dunque è nel legno, nella sua pelle viva, calda e liscia, che ha intagliato morbide curve e aperture, disegnando nella scultura Senza titolo, lingue che si ergono in alto e si richiamano oppure in Eccedo, in legno sagomato e acrilico, e in Drus, Achet, Yor, frastagliati e inaspettati contorni mentre esse stesse ci appaiono come il diventare uno di due diverse sculture, che ne fanno stranianti creature, personaggi di un immaginario mondo in cui si incontrano poesia e dimensione ludica.
Il suo modo di operare intreccia infatti rigore di ricerca e sperimentazione che comprende anche il giocare con le forme, il contaminare i linguaggi, facendoli deragliare dai codici prestabiliti, così che rimanga incerta la loro natura di scultura o di quadro o di architettura o di design. Sono strutture autoriferite che vivono in un tempo anacronistico, in cui tutti i tempi sono presenti, così che esse rammemorano il passato e insieme un immaginifico futuro, o in un tempo bloccato in un istante che diventa eterno presente. Di qui totem che hanno perso la loro monumentalità e il loro essere sculture funerarie o monumenti astrali che diventano vessilli o aste E che possono vivere singolarmente o allineati insieme in più aste o sagome strutturate per variazione di motivi plastici. Eppure c’è in loro la memoria del menhir, del loro essere una trasformazione fisica dello spazio, “la pietra luce” o anche “la pietra danzante”, come le immaginavano gli antichi, astratta e vivente, il bordo d uno spazio, ritmato, definito, geometrico, che nelle opere di Mavi Ferrando dà vita a un nuovo linguaggio delle forme, a un diverso modo di essere e insieme non essere della scultura e della pittura.
E che si tratti di un nuovo linguaggio ne è un’ulteriore conferma il recente ciclo dello opere, ancora in corso, che si distendono in orizzontale, potenzialmente all’infinito, che, all’apparenza, ci appaiono come una scrittura, in un processo che da un lato possiamo leggere come un’ulteriore smaterializzazione materica della scultura e all’inverso, dall’altro, come un processo in cui la scrittura acquista materialità. Le due opere esposte, entrambe Senza titolo, sono infatti costituite per libero accostamento e composizione da aste sottili, che sono frammenti di forme, che potrebbero essere disposte diversamente quali elementi che rammemorano i modi in cui si strutturano gli ideogrammi. Sono segni calligrafici di un’immaginaria e misteriosa lingua che si annida nei meandri del tempo o che ancora deve venire, che si liberano dai supporti in cui sogliono essere scritti e vivono in piena libertà e autonomia nello spazio.
Luoghi
www.galleriaspaziotemporaneo.it 02.6598056
orario: dal martedì al sabato dalle ore 16.00 alle 19.30