Marta Czok, "Dietro le quinte"
A cura di: Barbara Codogno
Di giullari, re e stregoni
I nuovi lavori di Marta Czok si inseriscono a pieno titolo nella poetica dell'artista che da sempre indaga tematiche sociali e umane legate ai temi della storia. In questi nuovi lavori si coglie fortemente l'auto-eredità concettuale dell'artista: una via imboccata da Marta Czok con coraggio e che si spinge verso una metaforizzazione del dipinto, che diventa quindi rappresentativo della sua critica sociale. Marta Czok ci ha abituati alle campiture profonde da cui sorgono pochi elementi allegorici che ci trasportano in dimensioni spazio temporali storicamente precise e contestualizzate ma sempre dall'artista “attualizzate”.
V'è, però, in questi nuovi dipinti di Czok, un ritorno alla complessità scenica del dipinto che ricorda l'approccio figurativo più “barocco” dell'artista. Sono di nuovo molti i personaggi che tornano a popolare la trama narrativa dei dipinti di Czok, eppure sembrano trovare ora il perfetto equilibrio - una sezione aurea - tra preponderanza linguistica e concettuale del segno e lo spazio del colore che incornicia e chiosa il concetto scenico. Da questo esattissimo stilema si snoda la parola del dipinto di Czok che, proprio perché contemporanea, cala nell'immortalità della parabola e del mito la sua eco odierna.
Così ci parlano ad esempio Turning Wine into Water, Notes from Wall Street, N.Y e l'esilarante Peace Makers dove su sfondo oro, tanto oro ( ma non è tutto oro quello che luccica, vero Marta? ) si stagliano in campiture grigie i grigi uomini contemporanei, in giacca e cravatta e i volti giullareschi e grotteschi. Le Nozze di Cana vengono riattivate miticamente da Czok grazie al suo corrosivo sguardo contemporaneo, traslate in disarmante grettezza.
I miracoli non esistono e se qualche mago (della finanza?) li realizza ancora, lo fa a scapito degli altri. A scapito del bene comune. È luce quella che sgorga dalla anfore nascoste e ad appannaggio di pochi eletti, dei miracolati. Come a dire che ci stanno privando anche di quella, della luce della nostra anima, del nostro spirito. Giullari, Re e Stregoni cuociono strani intrugli nel pentolone della democrazia: esperimenti che non andranno di certo a buon fine.
In Citizen Juice abbiamo la spremitura dei cittadini: uomini costretti a riversare in macchine diaboliche ( il sistema, la burocrazia, le assicurazioni, le tasse, le banche?) la loro essenza, il loro lavoro, i loro risparmi. Il distillato di questa spremitura è nettare squisito che solletica con allegria il palato dei potenti incoronati dal sistema economico – politico. Loro sollazzo è bersi l'anima dei cittadini.
La cifra stilistica di Czok raggiunge poi altissimi vertici alchemici in quadri come The tax man, ad esempio, laddove i personaggi e l'azione si danno in relazione al rebus. Un enigma sintattico che nasconde un'analisi feroce e suggella l'intenzionalità profonda di Czok: aderire a una rappresentazione che va al di là della simbologia e ci suggerisce, piuttosto, una lettura critica. O criptica. Un codice da decifrare. Difficile oggi orientarsi nel labirinto delle menzogne del rating, degli spread e della finanza: sono mondi fatti di parole difficili, inaccessibili a chi è solo un'anima da spremere. Così Czok con la sua enigmistica fa il verso a un linguaggio autoreferenziale, spregiudicato, finto, che non capisce nessuno, che non si fa capire da nessuno. E ancora una volta lo ridicolizza. Usando le stesse stolte e ridicole armi del nemico. Ma con la sua pungente ironia, con la sua delicatezza, con la sua generosità. Sì, perché Marta descrive il buio ma lo fa come portatrice di luce e speranza.
Come ci dice in The Me-me Tree: a tutta questa egoica sete di possesso, a tutto questo rubare e ingannare... ci sarà fine. Basta che scoppi la bolla finanziaria di questa marcia economia e i titoli gonfiati, le speculazioni, i baroni... svaniranno nel nulla. Inghiottiti da quel nulla che rappresentano.
Testo critico di Barbara Codogno
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