Mario Rizzi - Al Intithar. L’Attesa
A cura di: Cristiana Perrella
Al Intithar è il primo film della trilogia BAYT (Casa), che riflette sull’emergere di una nuova sensibilità civile nel mondo arabo, sulla fine del post-colonialismo e sulla possibilità di raccontare gli eventi rivoluzionari della cosiddetta “Primavera Araba” attraverso la quotidianità di persone sconosciute.
La trilogia è ispirata dagli scritti di Anthony Shadid – in particolare dalla sua autobiografia House of Stone: A Memoir of Home, Family and a Lost Middle East sulla centralità della casa nella cultura araba – ed è il risultato di una lunga ricerca sul mondo arabo e sulla sua civiltà, una ricerca che ha portato Mario Rizzi a vivere in paesi del mondo arabo da oltre 15 anni, a contatto in particolare con il mondo palestinese, un interesse sviluppatosi anche in seguito a lunghe esperienze come volontario in differenti campi di rifugiati, sin dalla guerra di Bosnia.
Al Intithar è stato girato nel campo profughi siriano di Zaatari, nel deserto giordano, situato a sette chilometri dal confine con la Siria. Da settembre a novembre 2012, nel periodo di nove settimane in cui l’artista ha vissuto nel campo, i siriani rifugiati a Zaatari erano da 35.000 a 45.000 e per la maggior parte provenienti da Deraa o da Homs.
Al Intithar racconta la storia di Ekhlas Alhlwani, una giovane vedova di Homs, ed attraverso lei, la vita dei suoi tre figli e del campo, con le loro speranze, delusioni e lunghe attese. Il film narra la loro quotidianità, la loro dignità e perseveranza nell’affrontare le disumane condizioni di vita.
È costruito come un frammento della realtà, non ha un vero inizio ed una vera fine. Come non ha fine la disumana condizione dei rifugiati siriani.
Ho scelto una donna come protagonista – afferma l’artista – perché sono le donne nel campo a concentrarsi sui bisogni reali: il cibo, come trovare dei vestiti, l’unità della famiglia. Gli uomini sono spesso assenti, incapaci di accettare la loro condizione e frustrati per aver deciso di non essere in Siria a combattere. Alcuni decidono di ritornare. Anche Abdo, il figlio maggiore di Ekhlas, la protagonista di ‘Al Intithar’, un anno fa è tornato in Siria e purtroppo, dopo poche settimane, è stato ucciso. A settembre 2014 sono tornato a Zaatari. Oggi è una grande città con i suoi commerci, le scuole, gli ospedali, una città fatta di tende e di roulotte, nel deserto. Ma l’unica speranza è quella di lasciare il campo, accolti da un paese straniero.
Il secondo film della trilogia BAYT, Kauther, è stato completato negli ultimi mesi del 2014 e girato in Tunisia.
È un film sui diritti della donna e sull’attivismo politico ed è costruito come un lungo monologo di Kauther Ayari,
la prima donna tunisina che ha osato parlare apertamente contro il dittatore Ben Ali.
La trilogia è ispirata dagli scritti di Anthony Shadid – in particolare dalla sua autobiografia House of Stone: A Memoir of Home, Family and a Lost Middle East sulla centralità della casa nella cultura araba – ed è il risultato di una lunga ricerca sul mondo arabo e sulla sua civiltà, una ricerca che ha portato Mario Rizzi a vivere in paesi del mondo arabo da oltre 15 anni, a contatto in particolare con il mondo palestinese, un interesse sviluppatosi anche in seguito a lunghe esperienze come volontario in differenti campi di rifugiati, sin dalla guerra di Bosnia.
Al Intithar è stato girato nel campo profughi siriano di Zaatari, nel deserto giordano, situato a sette chilometri dal confine con la Siria. Da settembre a novembre 2012, nel periodo di nove settimane in cui l’artista ha vissuto nel campo, i siriani rifugiati a Zaatari erano da 35.000 a 45.000 e per la maggior parte provenienti da Deraa o da Homs.
Al Intithar racconta la storia di Ekhlas Alhlwani, una giovane vedova di Homs, ed attraverso lei, la vita dei suoi tre figli e del campo, con le loro speranze, delusioni e lunghe attese. Il film narra la loro quotidianità, la loro dignità e perseveranza nell’affrontare le disumane condizioni di vita.
È costruito come un frammento della realtà, non ha un vero inizio ed una vera fine. Come non ha fine la disumana condizione dei rifugiati siriani.
Ho scelto una donna come protagonista – afferma l’artista – perché sono le donne nel campo a concentrarsi sui bisogni reali: il cibo, come trovare dei vestiti, l’unità della famiglia. Gli uomini sono spesso assenti, incapaci di accettare la loro condizione e frustrati per aver deciso di non essere in Siria a combattere. Alcuni decidono di ritornare. Anche Abdo, il figlio maggiore di Ekhlas, la protagonista di ‘Al Intithar’, un anno fa è tornato in Siria e purtroppo, dopo poche settimane, è stato ucciso. A settembre 2014 sono tornato a Zaatari. Oggi è una grande città con i suoi commerci, le scuole, gli ospedali, una città fatta di tende e di roulotte, nel deserto. Ma l’unica speranza è quella di lasciare il campo, accolti da un paese straniero.
Il secondo film della trilogia BAYT, Kauther, è stato completato negli ultimi mesi del 2014 e girato in Tunisia.
È un film sui diritti della donna e sull’attivismo politico ed è costruito come un lungo monologo di Kauther Ayari,
la prima donna tunisina che ha osato parlare apertamente contro il dittatore Ben Ali.
Luoghi
http://www.studiostefaniamiscetti.com 06 68805880 06 68805880
orario:mar-sab 16-20 Ingresso libero