Leila Mirzakhani. You Can't go home again
A cura di: Helia Hamedani
Una serie di tre mostre/installazioni in rapida successione, a distanza di dieci giorni l’una dall’altra. Una formula inedita, che mira a tenere alta la tensione intorno ad un tema, proposto dalla curatrice iraniana Helia Hamedani, che parlando del ritorno (impossibile) a casa tocca il profondo della personalità di ognuno di noi. La scelta di un titolo in inglese, You Can’t Go Home Again, rende meglio linguisticamente l’idea dell’impossibilità concettuale dei ritorni.
Come si domanda la curatrice Helia Hamedani: “Dov'è casa? Nelle mura di pietra o nella mente? È dove eravamo o dove siamo? È un luogo fisico o nel mondo delle idee? È la nostalgia del passato o il nostro desiderio per il futuro? Ci protegge dall'esterno o ci imprigiona in una rassicurante melanconia? È il luogo dei ricordi felici o delle perdite tragiche? È il conosciuto abituale o lo spazio magico d'infanzia da cui affiorano solo frammenti? È sulla mappa o nella memoria? Come la famosa domanda di Sant'Agostino: che cosa è il tempo? quello che sappiamo ma non possiamo spiegare; la casa è il dominio conosciuto ma ambiguo che diviene vago quando cerchiamo di decifrarla. L’idea della mostra nasce anche da una sentenza di Nicolas Bouriaud (critico e curatore): ”quando so una cosa, scrivo un libro e quando ho una domanda, organizzo una mostra".
La mia domanda Dov'è casa e si può mai tornare a casa?, posta a tre artiste nella varietà dei loro linguaggi, va affrontata, con una sensibilità comune.
Nelle sue ultime opere Leila Mirzakhani parte dai giardini di solitudine, giardini nostalgici e poetici, dall’aria fumosa di colore blu, dove fugge dalle ombre nere che la inseguano. A volte, come nell’installazione La casa è nera del 2013 (una citazione della poetessa iraniana Forough Farokhzad), la nostalgia dei giardini immaginari viene delicatamente accompagnata ai profumi delle spezie che rammentano casa. Per lo spazio de La Nube di Oort, l'artista tratta la casa come fuga/prigione, ovvero uno degli archetipi di ogni casa, in quanto sicura perché chiusa, come una gabbia. In un atto rituale, come quello di un ossessivo mantra pittorico, Leila Mirzakhani ripete nel vuoto dello spazio espositivo il segno delle sbarre di una gabbia. Con il ritmo stravagante e ricorrente dell'ombra di un pappagallo nello spazio delimitato da sbarre.
L’atteggiamento zen del vuoto di Leila si incontra con la ricerca di Donatella Spaziani nel dare una dimensione all’assenza della casa. Per Donatella il vuoto va indagato con il suo corpo. Per farlo, si appropria dello spazio opponendogli la presenza del suo corpo. I suoi autoscatti sono i luoghi di passaggio dove Lei è stata: dall'albergo, ai posti più vari, dove disperatamente cerca di sentirsi a casa. Testimoniando qualcosa che c’è stato ma non c’è più, rende visibile i frammenti del vuoto. Sulla superficie floreale ma neutralizzante di una carta da parati, installato sotto l’arco della galleria, incornicia l’ombra del corpo. La figura umana, sospesa tra il vuoto dello spazio e il pieno di una carta da parati floreale. L’acrobata del vuoto come la definisce Achille Bonito Oliva, traccia l’assenza e la presenza con un gioco di vacuo e pieno.
Il gioco del ritorno a casa di Adelaide Cioni parte dai particolari degli oggetti della casa che aveva sempre vissuto e che doveva lasciare. In questo caso, la poesia degli oggetti frammentari si manifesta attraverso la nostra presenza fisica nello spazio definito dall’artista, e l’assenza fisica degli oggetti proiettati. L’ immaterialità della memoria è la traccia di luce degli oggetti magici, proiettata qui, ma che appartenente al di là. Irraggiungibili e purtroppo anche intoccabili, gli oggetti, fanno immediatamente scintillare qualcosa nelle perdute memorie di ognuno di noi. Irripetibilità e nel stesso tempo la durata degli oggetti oramai priva d'aura nella nostra percezione contemporanea. L'opera d'artista in questo caso testimonia quel peculiare intreccio di vicinanza e lontananza dell'immaginario.
You can’t go home again, ma potete continuare a sognarla per sempre.”
Le tre artiste affrontano il tema in registri differenti, melanconico, doloroso o progettuale, usando installazioni diverse, ma per il finissage si riuniranno in un dialogo tra le loro opere e la curatrice.
Come si domanda la curatrice Helia Hamedani: “Dov'è casa? Nelle mura di pietra o nella mente? È dove eravamo o dove siamo? È un luogo fisico o nel mondo delle idee? È la nostalgia del passato o il nostro desiderio per il futuro? Ci protegge dall'esterno o ci imprigiona in una rassicurante melanconia? È il luogo dei ricordi felici o delle perdite tragiche? È il conosciuto abituale o lo spazio magico d'infanzia da cui affiorano solo frammenti? È sulla mappa o nella memoria? Come la famosa domanda di Sant'Agostino: che cosa è il tempo? quello che sappiamo ma non possiamo spiegare; la casa è il dominio conosciuto ma ambiguo che diviene vago quando cerchiamo di decifrarla. L’idea della mostra nasce anche da una sentenza di Nicolas Bouriaud (critico e curatore): ”quando so una cosa, scrivo un libro e quando ho una domanda, organizzo una mostra".
La mia domanda Dov'è casa e si può mai tornare a casa?, posta a tre artiste nella varietà dei loro linguaggi, va affrontata, con una sensibilità comune.
Nelle sue ultime opere Leila Mirzakhani parte dai giardini di solitudine, giardini nostalgici e poetici, dall’aria fumosa di colore blu, dove fugge dalle ombre nere che la inseguano. A volte, come nell’installazione La casa è nera del 2013 (una citazione della poetessa iraniana Forough Farokhzad), la nostalgia dei giardini immaginari viene delicatamente accompagnata ai profumi delle spezie che rammentano casa. Per lo spazio de La Nube di Oort, l'artista tratta la casa come fuga/prigione, ovvero uno degli archetipi di ogni casa, in quanto sicura perché chiusa, come una gabbia. In un atto rituale, come quello di un ossessivo mantra pittorico, Leila Mirzakhani ripete nel vuoto dello spazio espositivo il segno delle sbarre di una gabbia. Con il ritmo stravagante e ricorrente dell'ombra di un pappagallo nello spazio delimitato da sbarre.
L’atteggiamento zen del vuoto di Leila si incontra con la ricerca di Donatella Spaziani nel dare una dimensione all’assenza della casa. Per Donatella il vuoto va indagato con il suo corpo. Per farlo, si appropria dello spazio opponendogli la presenza del suo corpo. I suoi autoscatti sono i luoghi di passaggio dove Lei è stata: dall'albergo, ai posti più vari, dove disperatamente cerca di sentirsi a casa. Testimoniando qualcosa che c’è stato ma non c’è più, rende visibile i frammenti del vuoto. Sulla superficie floreale ma neutralizzante di una carta da parati, installato sotto l’arco della galleria, incornicia l’ombra del corpo. La figura umana, sospesa tra il vuoto dello spazio e il pieno di una carta da parati floreale. L’acrobata del vuoto come la definisce Achille Bonito Oliva, traccia l’assenza e la presenza con un gioco di vacuo e pieno.
Il gioco del ritorno a casa di Adelaide Cioni parte dai particolari degli oggetti della casa che aveva sempre vissuto e che doveva lasciare. In questo caso, la poesia degli oggetti frammentari si manifesta attraverso la nostra presenza fisica nello spazio definito dall’artista, e l’assenza fisica degli oggetti proiettati. L’ immaterialità della memoria è la traccia di luce degli oggetti magici, proiettata qui, ma che appartenente al di là. Irraggiungibili e purtroppo anche intoccabili, gli oggetti, fanno immediatamente scintillare qualcosa nelle perdute memorie di ognuno di noi. Irripetibilità e nel stesso tempo la durata degli oggetti oramai priva d'aura nella nostra percezione contemporanea. L'opera d'artista in questo caso testimonia quel peculiare intreccio di vicinanza e lontananza dell'immaginario.
You can’t go home again, ma potete continuare a sognarla per sempre.”
Le tre artiste affrontano il tema in registri differenti, melanconico, doloroso o progettuale, usando installazioni diverse, ma per il finissage si riuniranno in un dialogo tra le loro opere e la curatrice.
Luoghi
338.3387824
Orario di apertura : da martedì a venerdì, ore 17.30 - 19.30 - e per appuntamento