Ian Kiaer "Ping, murmer"

Ian Kiaer con il suo personale ed inedito uso dell'assemblaggio, attraverso il quale associa elementi particolari della storia dell'architettura e della pittura prelevati dal quotidiano, si è affermato nel panorama internazionale dell’arte contemporanea dall'inizio degli anni 2000. L'artista spiega così come è nato il suo progetto per lo spazio fiorentino: “È la risposta che cercavo nel voler associare le vecchie lastre di plexiglas rimosse dall'ingresso delle fabbriche e le frasi estratte da un racconto di Samuel Beckett. Sono interessato a queste lenti che fanno vedere e non vedere al di là di esse e che portano su di loro le tracce del loro precedente uso. Invece, il testo dal titolo Ping del 1966 di Beckett, mi interessa perché in qualche modo dissolve la distinzione tra figura e sfondo in quella che sembra essere una specie di impostazione del White Cube. Nella mostra queste frasi si traducono in uno strano status di poster / dipinti / immagini che potrebbero essere un commento, una proposizione o addirittura un comando”. Sempre Kiaer prosegue: “Pensando in particolare alle stanze di Base che dialogano fra di loro presenterò anche una parte di un progetto che sto sviluppando in merito ai primi lavori dell'architetto Peter de Bretteville. Lui ha lavorato nei primi anni '70 con Craig Hodgets a Quick City che è un'iniziativa architettonica di strutture sperimentali e temporanee che cercavano di produrre abitazioni alternative alle rigide esigenze del modernismo. Mi concentrerò sulle sue idee riguardanti la sua casa di Bretteville-Asimow, in cui ha esplorato le nozioni di vita cooperativa, contingente e reattiva. È un progetto che è sensibile alle esigenze di "vicinanza" che ritengo sia in qualche modo appropriato allo spazio intimo di BASE e al suo essere gestito da un collettivo di artisti che invita altri artisti.”
Luoghi
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