13/04/2017  al 20/05/2017

Ezio Tribbia "Campo di pane"

Ezio Tribbia  "Campo di pane" Per Omero e per tutti i Greci antichi “mangiatori di pane” era sinonimo di “uomini”. Anche nel poema sumerico di Gilgamesh, il processo di civilizzazione del buon selvaggio Enkidu avviene quando trasforma gli elementi naturali della farina e dell’acqua in pane. Se dunque il pane è così fondamentale nella storia poetica dell’evoluzione dell’uomo, cosa sarà mai chi il pane lo crea e chi il pane lo evoca? Sarà opera sicuramente di un artista. 
EzioTribbia ha infornato impasti, amalgamato sostanze basilari sopra assi di legno, affidato al forno la farina lievitata, ripulito tavolati, segnato di tracce i fogli di carta paglia. E quando da fornaio si è fatto virtuoso d’arte, ha conservato i sudari ricoperti di tracce fino a trasformarli in campi di pane che ancora chiedono di lievitare e di evocare immagini. I segni e le tracce di una operazione così concreta e così astratta, così evocativa e così informale, così pauperista e così profonda, diventano testimonianze artistiche che nella loro plasticità fanno riflettere intorno ai grandi temi della vita: la semplicità di una proposta mai banale, l’autenticità di un vissuto che non ha sovrastrutture, la volontà di affermare che l’ultima parola in arte non è ancora detta e che ciascun artista ha il diritto di esprimersi con una creatività propria e originale. 
La rassegna delle sue opere proposte in questa mostra, segue un cammino che parte dalle assi di lievito, tavole solcate da evanescenti tracce di odori e sapori, di bruciature come ferite, di telo delle muffe, di leggeri strati di farina come idropittura di squisita gracilità. E prosegue con talismani di carte trasparenti che si imbevono di luce, amuleti portafortuna di evocazione zen, cuciti ai margini con filo rosso nella cruna di un ago come quello che la nonna gli consegnava scongiurando di stare attento a non pungersi. Il percorso approda alla consistenza più solida di un muro di mattoni forati che hanno costole solcate da tracce di pani rotondi che il sole ha calcinato in un’operazione paziente di lunga durata. Una trasformazione alchemica che si lega alla cottura, al calore che imprime alla decorazione lo stampo di una persistenza antica e spinge l’osservatore attento a qualche riflessione malinconica, atavica e taciturna. 
In una mostra precedente, Ezio Tribbia aveva costruito un bosco di giunchi in cima ai quali stavano piccoli pani bianchi. Era l’evocazione della manna biblica, piovuta dal cielo a sfamare miracolosamente il popolo ebraico in cammino verso la terra promessa. La parola “manna” - dicono gli esegeti - viene dall’aramaico “Ma nu” che significa “Cosa è?” e sottolinea lo stupore del popolo di fronte ad un evento inaspettato. Le proposte artistiche di Ezio Tribbia sono un invito alla nostra meraviglia. Lui sa trovare intriganti intuizioni che, tuttavia, hanno bisogno di uno sguardo incantato e trasognato, come si addice a chi sa evocare concetti profondi con proposte semplici ma non superficiali. Quel sentimento che ha spinto un poeta contadino ad affermare che nella vita i due odori più buoni e pungenti sono quelli del pane appena sfornato e della terra bagnata dalla pioggia. 
Sem Galimberti 
Dall’Hortus Conclusus - Bergamo

Luoghi

  • Viamoronisedici spazioarte - Via Moroni, 16/A - Bergamo
             347 2415297     035 4592486

    Orario: gio-sab ore 16-19 Ingresso gratuito

  • Categorie correlate