Calisto Gritti. Opere recenti
C’è un che di lirico e di onirico nei grafismi pittorici di Calisto Gritti, ma anche di realistico e di materiale, a volte di viscerale. C’è, nel suo linguaggio, la capacità di tenere insieme l’ideale e il concreto, il fantastico e l’ordinario, un po’ come negli antichi atlanti e carte nautiche, tavole di assoluto fascino capaci di evocare il mondo in tutta la sua fantasmagorica complessità: il noto insieme all’ignoto, ciò che l’uomo governa e ciò che l’uomo paventa.
Più che i massimi sistemi, tuttavia, a Calisto Gritti piace interpretare la realtà di ogni giorno, il quotidiano dis-ordine del linguaggio e delle relazioni, lo spazio del vivere e dell’abitare, del nascere e del morire.
Le sue carte, le sue tele, sospendono lo spazio e il tempo in visioni che si aprono alla surrealtà e dove tutto è però associabile al reale, pur senza assomigliarvi affatto. Ne nascono, come per naturale deriva, micro narrazioni libere, leggere, lontane dall’eloquenza del racconto, che sovvertono le aspettative della visione. E che pure riescono a suonare familiari, condivise, “corali” e “intime” al contempo.
Forme minuscole, embrionali, silhouette di organica o antropomorfa memoria, suggestioni cosmiche e siderali, sparsamente diffuse sulle superfici, ne percorrono il centro per andare a naufragare ai margini di vasti spazi “vuoti”. Seguendo forse, in tale migrazione, un impulso simile a ciò che in letteratura va sotto il nome di “stream of consciousness” e che in musica viene solitamente percepito come “improvvisazione”.
“Quando dipingo o incido non so come sarà il risultato del mio operare”, afferma Gritti. “So soltanto che devo intuire quando l’opera in lavorazione comincia a vivere una vita sua”.
Prendono forma, così, sotto le dita sapienti dell’artista, composizioni di straordinaria raffinatezza, dove affiorano per interna emersione inquiete entità biomorfiche, in totale assenza di peso. Figlie, ancora una volta, di quel “mondo in perenne fluidità” di cui parlò Marco Lorandi (1987), un mondo di “osmosi tra intenzionalità, avventure della mente, vagabondaggi dell’inconscio e concrete pulsioni”.
Con un plus, forse, oggi, di libertà e disinvoltura, a sprazzi quasi di nonchalance. E’ il potere evocativo della semplicità e della sapienza artistica, che si coniugano qui con rinnovata e rara freschezza. Sono visioni capaci di tradurre l’inconoscibilità del mondo con una grafia “interiore” ed emotiva e un senso del colore originale, tale da valorizzare ugualmente il nero come le vaporose opalescenze degli sfondi.
L’impaginazione modulare della mostra, alla maniera di tessere musive, suggerisce il precario ma costante equilibrio, nell’arte di Gritti, tra il tutto e la parte: efficace sintesi di una poetica che al racconto predilige la via più suggestiva, certo più allusiva e antiretorica, del frammento.
Più che i massimi sistemi, tuttavia, a Calisto Gritti piace interpretare la realtà di ogni giorno, il quotidiano dis-ordine del linguaggio e delle relazioni, lo spazio del vivere e dell’abitare, del nascere e del morire.
Le sue carte, le sue tele, sospendono lo spazio e il tempo in visioni che si aprono alla surrealtà e dove tutto è però associabile al reale, pur senza assomigliarvi affatto. Ne nascono, come per naturale deriva, micro narrazioni libere, leggere, lontane dall’eloquenza del racconto, che sovvertono le aspettative della visione. E che pure riescono a suonare familiari, condivise, “corali” e “intime” al contempo.
Forme minuscole, embrionali, silhouette di organica o antropomorfa memoria, suggestioni cosmiche e siderali, sparsamente diffuse sulle superfici, ne percorrono il centro per andare a naufragare ai margini di vasti spazi “vuoti”. Seguendo forse, in tale migrazione, un impulso simile a ciò che in letteratura va sotto il nome di “stream of consciousness” e che in musica viene solitamente percepito come “improvvisazione”.
“Quando dipingo o incido non so come sarà il risultato del mio operare”, afferma Gritti. “So soltanto che devo intuire quando l’opera in lavorazione comincia a vivere una vita sua”.
Prendono forma, così, sotto le dita sapienti dell’artista, composizioni di straordinaria raffinatezza, dove affiorano per interna emersione inquiete entità biomorfiche, in totale assenza di peso. Figlie, ancora una volta, di quel “mondo in perenne fluidità” di cui parlò Marco Lorandi (1987), un mondo di “osmosi tra intenzionalità, avventure della mente, vagabondaggi dell’inconscio e concrete pulsioni”.
Con un plus, forse, oggi, di libertà e disinvoltura, a sprazzi quasi di nonchalance. E’ il potere evocativo della semplicità e della sapienza artistica, che si coniugano qui con rinnovata e rara freschezza. Sono visioni capaci di tradurre l’inconoscibilità del mondo con una grafia “interiore” ed emotiva e un senso del colore originale, tale da valorizzare ugualmente il nero come le vaporose opalescenze degli sfondi.
L’impaginazione modulare della mostra, alla maniera di tessere musive, suggerisce il precario ma costante equilibrio, nell’arte di Gritti, tra il tutto e la parte: efficace sintesi di una poetica che al racconto predilige la via più suggestiva, certo più allusiva e antiretorica, del frammento.
Stefania Burnelli
Luoghi
www.viamoronisedici.it 347 2415297 035 4592486
Orario: gio-sab ore 16-19 Ingresso gratuito