Bruno Catalano "La metafora del viaggio"
A cura di: Testo critico di Enzo Di Martino
Circa 25 viaggiatori dell'artista Bruno Catalano, dal 5 maggio saranno a Venezia esposti presso gli spazi della Galleria Ravagnan in Piazza San Marco. Les Voyageurs, sorprendenti sculture in bronzo caratterizzate dalla totale mancanza della parte centrale del corpo, sono personaggi eterei capaci di instaurare un dialogo con il mondo circostante fino ad identificarsi con esso, abitandolo quasi per caso e per poco tempo. La mancanza di materia, questo "non finito" quasi michelangiolesco, invita lo spettatore a perdersi nello sfondo o a completarne il disegno e a chiedersi perfino come queste figure possano reggersi in piedi.
Tutte le opere di Bruno Catalano rappresentano un "uomo che cammina", una figura caratterizzata sempre da un bagaglio, una valigia, una borsa o uno zaino, che regge con una mano e che lo configura come un viaggiatore che non si sa però da dove viene né dove vada, lasciando inevitabilmente frammenti di sé lungo il cammino.
I bagagli per Catalano, costretto a lasciare il Marocco per Marsiglia da bambino, sono "pieni di ricordi, contengono del vissuto, dei desideri: le mie radici in movimento".
Pur così mutilati questi corpi sono in grado anche di camminare, verso quale direzione non è dato saperlo.
Forse, come suggerisce Enzo Di Martino, nel catalogo con il saggio dedicato allo scultore francese, "è il ritorno la vera meta del viaggio degli uomini nel mondo".
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“Artista moderno, cioè contemporaneo a se stesso, Bruno Catalano ha naturalmente preso atto della storica situazione di crisi della scultura del suo tempo e, forse per una di quelle “geniali casualità” che l’arte ha più volte fatto emergere nel corso della storia, ha trovato una sua personale ed inedita via espressiva, manifestando per tale maniera una nuova concezione dell’opera plastica, fortemente caratterizzata dalla frattura della figura e della mancanza definitiva di alcune parti di essa. Le sue sculture appaiono così, a prima vista, come incompiute, con vistose parti clamorosamente mancanti”. Così Enzo Di Martino presenta la mostra “La metafora del viaggio” allestita alla Galleria Ravagnan di Venezia.
“Les Voyageurs”, sculture in bronzo caratterizzate dalla totale mancanza della parte centrale del corpo, sono personaggi eterei capaci di instaurare un dialogo con il mondo circostante fino ad identificarsi con esso, abitandolo quasi per caso e per poco tempo. La mancanza di materia, questo “non finito” di ispirazione michelangiolesca, invita chi guarda a perdersi nello sfondo o a completarne il disegno, magari chiedendosi come queste figure riescano a sfidare le leggi della statica. Le opere di Catalano rappresentano un uomo che cammina con il suo bagaglio, che lo configura come un viaggiatore che non si sa però da dove viene né dove vada, lasciando però frammenti di sé lungo il cammino: è il tema del disorientamento e dell’inquietudine che caratterizza il “fatale andare” dei nostri tempi.
Pur così mutilati questi corpi sono in grado anche di camminare, verso quale direzione non è dato saperlo. Forse, come suggerisce Enzo Di Martino, nel catalogo con il saggio dedicato allo scultore francese, “è il ritorno la vera meta del viaggio degli uomini nel mondo”. Ma da essi promana una sorta di identificazione tra vita umana e viaggio; un suggestivo filo rosso, che da Ulisse giunge a Kerouac e al veneziano Corto Maltese; come diceva John Steimbeck, “le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”. Scriveva Anaïs Nin: “Andare sulla luna, non è poi così lontano. Il viaggio più lungo è quello all’interno di noi stessi”; e Gesualdo Bufalino: “C’è chi viaggia per perdersi, c’è chi viaggia per ritrovarsi”. O ancora, come scriveva Italo Calvino nelle sue “Città invisibili”: “Si può viaggiare per migliaia di chilometri ma non si può mai allontanarsi veramente da se stessi”. E con il viaggio, la nostalgia: i bagagli per Catalano, costretto a lasciare il Marocco per Marsiglia da bambino; “Nel mio lavoro – ha detto - sono alla ricerca del movimento e dell’espressione dei sentimenti; faccio emergere dall’inerzia nuove forme e riesco a levigarle fino a dare loro nuova vita. Proveniente dal Marocco anche io ho viaggiato con valigie piene di ricordi che rappresento cosi spesso nei miei lavori. Non contengono solo immagini ma anche vissuto, i miei desideri: le mie origini in movimento”.
Nato in Marocco nel 1960, Catalano (che vive e lavora in Francia) è costretto ad emigrare in Francia con la famiglia. Sbarca a Marsiglia e a diciotto anni diventa marinaio. L’esperienza dello “sradicamento” e il periodo passato in mare segneranno profondamente la sua esistenza. Marsiglia, dunque, è il suo punto di approdo, dopo aver vissuto da marinaio per 30 anni senza una dimora fissa, navigando tra i diversi porti del mondo. Ed è qui che ha iniziato la sua carriera: modellando l’argilla prima, la colatura in bronzo poi. Ispirato ai grandi maestri come Rodin , Giacometti , Camille Claudel, il marsigliese César (César Baldaccini) e soprattutto Bruno Lucchesi, da cui apprende la tecnica di modellare l’argilla, lo scultore riesce a superare la sfida dei suoi predecessori, aggiungendo una quarta dimensione nel suo tentativo surrealista, ben riuscito, di creare il vuoto nello spazio, utilizzando inizialmente l’argilla per evolvere in seguito verso l’uso del bronzo; la tecnica utilizzata per queste sculture è il bronzo, trattato a frammenti e colorato con tinte mai brillanti che conferiscono alle figure una patina d’altri tempi. Catalano scolpisce personaggi via via sempre più grandi, progredendo di pari passo a livello tecnico. Oggi “Les voyageurs”, i viaggiatori, fanno parte delle più prestigiose collezioni private e sono esposti in Europa, in Asia e negli Stati Uniti.
I “viaggiatori” di Catalano, sono esaltati dall’essere inseriti nel contesto urbano
con il quale stabiliscono un affascinante rapporto dialettico; da i loro corpi lacerati si intravedono scorci, spazi e frammenti ambientali diversi, che, a seconda dei punti diversi e delle capacità immaginative di coloro che li osservano, si offrono a diverse “letture” in un processo creativo che li stimola e li “coinvolge”; la scelta di lasciare incomplete le sue opere, infatti, dà il via ad interpretazioni di ogni tipo (com’è il “dovere” dell’arte), ma si può supporre che questa “mancanza” rappresenti la vera essenza del viaggio: si lascia sempre un frammento di sé in ogni luogo che si percorre. “Sebbene così “mutilate” – suggerisce ancora Di Martino - le sue sculture conservano comunque tutte le seducenti possibilità estetiche e formali dell’opera plastica classica, e inducono anche ad una nuova e sorprendente riflessione sulla poetica e il dialogo con la materia, nel suo caso anche quella assente perché mancante. Una mancanza che mette però in gioco un nuovo ruolo della luce nella scultura, che nel suo caso sembra infatti attraversare la stessa figura senza violenza, illuminandola anzi, si potrebbe dire, ed annullando sorprendentemente, nel contempo, la stessa fisicità della materia”.
Tutte le opere di Bruno Catalano rappresentano un "uomo che cammina", una figura caratterizzata sempre da un bagaglio, una valigia, una borsa o uno zaino, che regge con una mano e che lo configura come un viaggiatore che non si sa però da dove viene né dove vada, lasciando inevitabilmente frammenti di sé lungo il cammino.
I bagagli per Catalano, costretto a lasciare il Marocco per Marsiglia da bambino, sono "pieni di ricordi, contengono del vissuto, dei desideri: le mie radici in movimento".
Pur così mutilati questi corpi sono in grado anche di camminare, verso quale direzione non è dato saperlo.
Forse, come suggerisce Enzo Di Martino, nel catalogo con il saggio dedicato allo scultore francese, "è il ritorno la vera meta del viaggio degli uomini nel mondo".
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“Artista moderno, cioè contemporaneo a se stesso, Bruno Catalano ha naturalmente preso atto della storica situazione di crisi della scultura del suo tempo e, forse per una di quelle “geniali casualità” che l’arte ha più volte fatto emergere nel corso della storia, ha trovato una sua personale ed inedita via espressiva, manifestando per tale maniera una nuova concezione dell’opera plastica, fortemente caratterizzata dalla frattura della figura e della mancanza definitiva di alcune parti di essa. Le sue sculture appaiono così, a prima vista, come incompiute, con vistose parti clamorosamente mancanti”. Così Enzo Di Martino presenta la mostra “La metafora del viaggio” allestita alla Galleria Ravagnan di Venezia.
“Les Voyageurs”, sculture in bronzo caratterizzate dalla totale mancanza della parte centrale del corpo, sono personaggi eterei capaci di instaurare un dialogo con il mondo circostante fino ad identificarsi con esso, abitandolo quasi per caso e per poco tempo. La mancanza di materia, questo “non finito” di ispirazione michelangiolesca, invita chi guarda a perdersi nello sfondo o a completarne il disegno, magari chiedendosi come queste figure riescano a sfidare le leggi della statica. Le opere di Catalano rappresentano un uomo che cammina con il suo bagaglio, che lo configura come un viaggiatore che non si sa però da dove viene né dove vada, lasciando però frammenti di sé lungo il cammino: è il tema del disorientamento e dell’inquietudine che caratterizza il “fatale andare” dei nostri tempi.
Pur così mutilati questi corpi sono in grado anche di camminare, verso quale direzione non è dato saperlo. Forse, come suggerisce Enzo Di Martino, nel catalogo con il saggio dedicato allo scultore francese, “è il ritorno la vera meta del viaggio degli uomini nel mondo”. Ma da essi promana una sorta di identificazione tra vita umana e viaggio; un suggestivo filo rosso, che da Ulisse giunge a Kerouac e al veneziano Corto Maltese; come diceva John Steimbeck, “le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone”. Scriveva Anaïs Nin: “Andare sulla luna, non è poi così lontano. Il viaggio più lungo è quello all’interno di noi stessi”; e Gesualdo Bufalino: “C’è chi viaggia per perdersi, c’è chi viaggia per ritrovarsi”. O ancora, come scriveva Italo Calvino nelle sue “Città invisibili”: “Si può viaggiare per migliaia di chilometri ma non si può mai allontanarsi veramente da se stessi”. E con il viaggio, la nostalgia: i bagagli per Catalano, costretto a lasciare il Marocco per Marsiglia da bambino; “Nel mio lavoro – ha detto - sono alla ricerca del movimento e dell’espressione dei sentimenti; faccio emergere dall’inerzia nuove forme e riesco a levigarle fino a dare loro nuova vita. Proveniente dal Marocco anche io ho viaggiato con valigie piene di ricordi che rappresento cosi spesso nei miei lavori. Non contengono solo immagini ma anche vissuto, i miei desideri: le mie origini in movimento”.
Nato in Marocco nel 1960, Catalano (che vive e lavora in Francia) è costretto ad emigrare in Francia con la famiglia. Sbarca a Marsiglia e a diciotto anni diventa marinaio. L’esperienza dello “sradicamento” e il periodo passato in mare segneranno profondamente la sua esistenza. Marsiglia, dunque, è il suo punto di approdo, dopo aver vissuto da marinaio per 30 anni senza una dimora fissa, navigando tra i diversi porti del mondo. Ed è qui che ha iniziato la sua carriera: modellando l’argilla prima, la colatura in bronzo poi. Ispirato ai grandi maestri come Rodin , Giacometti , Camille Claudel, il marsigliese César (César Baldaccini) e soprattutto Bruno Lucchesi, da cui apprende la tecnica di modellare l’argilla, lo scultore riesce a superare la sfida dei suoi predecessori, aggiungendo una quarta dimensione nel suo tentativo surrealista, ben riuscito, di creare il vuoto nello spazio, utilizzando inizialmente l’argilla per evolvere in seguito verso l’uso del bronzo; la tecnica utilizzata per queste sculture è il bronzo, trattato a frammenti e colorato con tinte mai brillanti che conferiscono alle figure una patina d’altri tempi. Catalano scolpisce personaggi via via sempre più grandi, progredendo di pari passo a livello tecnico. Oggi “Les voyageurs”, i viaggiatori, fanno parte delle più prestigiose collezioni private e sono esposti in Europa, in Asia e negli Stati Uniti.
I “viaggiatori” di Catalano, sono esaltati dall’essere inseriti nel contesto urbano
con il quale stabiliscono un affascinante rapporto dialettico; da i loro corpi lacerati si intravedono scorci, spazi e frammenti ambientali diversi, che, a seconda dei punti diversi e delle capacità immaginative di coloro che li osservano, si offrono a diverse “letture” in un processo creativo che li stimola e li “coinvolge”; la scelta di lasciare incomplete le sue opere, infatti, dà il via ad interpretazioni di ogni tipo (com’è il “dovere” dell’arte), ma si può supporre che questa “mancanza” rappresenti la vera essenza del viaggio: si lascia sempre un frammento di sé in ogni luogo che si percorre. “Sebbene così “mutilate” – suggerisce ancora Di Martino - le sue sculture conservano comunque tutte le seducenti possibilità estetiche e formali dell’opera plastica classica, e inducono anche ad una nuova e sorprendente riflessione sulla poetica e il dialogo con la materia, nel suo caso anche quella assente perché mancante. Una mancanza che mette però in gioco un nuovo ruolo della luce nella scultura, che nel suo caso sembra infatti attraversare la stessa figura senza violenza, illuminandola anzi, si potrebbe dire, ed annullando sorprendentemente, nel contempo, la stessa fisicità della materia”.