Benedetta Galli e Andrea Pinchi "Trasparenze"
A cura di: Testi di Irene Niosi
Benedetta Galli
Anche l’arte concettuale, come la cultura di adesso, appare sempre più attenta al trascendente e attinge spesso alla fonte della spiritualità. Benedetta Galli da anni studia e sperimenta gli effetti ottici prodotti dalle fotografie, riflesse attraverso l’uso di materiali trasparenti, in relazione alla luce, in un processo generativo di immagini volto a segnalare e a tradurre i mutamenti che nel corso della storia dell’arte hanno riguardato la rappresentazione del corpo umano. Dai suoi primi autoscatti, inizia il suo viaggio nell’infinita moltitudine di sé, di cui mantiene la stessa sembianza ridotta a larva, che non è altro che l’eco del suo universo personale, il riflesso della sua percezione conoscitiva della realtà. Con l’opera “Diecimila” del 2008 stende sulla tela migliaia di minuscole fotografie, che rappresentano lo stesso soggetto, dentro altrettante minuscole gocce di silicone. Stesso dicasi di “Quarantamila” del 2010, dove inserisce migliaia di copie della stessa foto in un lavoro di certosina pazienza durato due anni. Attraverso la serialità delle immagini fotografiche, la sua indagine scruta l’infinitesima possibilità di divisione dell’io per ritrovarne la sua identità, cosa che la induce a sperimentare sempre nuove soluzioni da adattare alla sua singolare tecnica musiva. La stesura delle microscopiche gocce di silicone in cui vengono racchiuse le fotografie, per effetto della luce e nella loro vibrazione ottica, ricorda la fluidità del liquido amniotico elemento che costituisce l’origine della vita e che, oltre a evocare immagini ancestrali, apre a infinite possibilità di dibattito sul concetto dell’io e della sua identità/alterità, della frantumazione e annullamento del sé e della sua assenza/presenza. La questione è aperta non solo a dissertazioni filosofiche che da Platone giungono fino a Cartesio, passando anche attraverso gli studi pratici legati alla fotografia prima, e all’arte cinematografica poi, e a cui si possono aggiungere anche scontati riferimenti mitologici, per giungere fino alla pratica tanto attuale delle meditazioni spirituali, dove per assonanza torna in mente il visionario mondo di Bosch e alcuni suoi dipinti che Carlo V di Spagna usava appunto per meditare. Qualche anno prima, nel 2003 anche per Benedetta Galli era stato un sogno rivelatore a darle una nuova percezione del mondo. Racconta di essersi ritrovata dentro una sfera dalla superficie curva e trasparente che assumeva la forma di una bolla; da lì è nata la tecnica dell’impiego della gocce seriali che è divenuta la costante della sua poetica. Senza però voler insistere troppo sulla parte spirituale sempre più presente ormai nella cultura visiva contemporanea, più semplicemente i ritratti racchiusi nelle semisfere di silicone, sono -come li definisce Benedetta Galli- “paesaggi psicologici, caratteri disgregati dagli eventi, pestati dalle emozioni e lasciati decantare”. In questi suoi ultimi lavori a cui, non a caso, ha dato lo stesso titolo, è l’utilizzo del plexiglass a dare una risultanza di maggiore raffinatezza espressiva, laddove è proprio il susseguirsi della distesa cromatica delle semisfere,che, lungi dal produrre un senso di ossessiva ripetitività, al contrario, viene a rivelarle - per effetto dell’elemento illusorio della mente che attraverso il colpo d’occhio ne percepisce solo l’insieme - come un unicum compositivo che, grazie anche alla valenza tonale dei colori impiegati, risulta essere di rilassante gradevolezza.
Andrea Pinchi
proviene da una famiglia di maestri organari. Il suo passaggio alle arti visive è in parte connesso con l’esperienza, nata sul campo, di questo antico e nobile mestiere. Conosce di cosa sono fatti i mantici e le canne, maneggia con disinvoltura lastre metalliche mentre tocca con leggerezza carte consunte dal tempo ridotte a un sottile velo, tratta le pelli di animali e i legni pregiati, con la dimestichezza che appartiene di diritto alla maestria artigiana. Grazie alla complessa architettura degli organi a canne, negli anni matura una totale padronanza sulla materia che gli risulta poi utile per il suo percorso creativo. È capace di rivitalizzarla, costringendola e riportandola alla sua funzione primaria, oppure con la volontà di appropriarsene per trasformarla, come è evidente nel linguaggio semantico della precedente serie degli Urban squid, dove, secondo la tradizione ermetica, anche un elemento vile e saturnino come il piombo, in virtù del processo di trasmutazione alchemica, può convertirsi in oro. In questi suoi lavori e nella loro variante cromatica, sia che si tratti di rimasugli di brandelli di tela del settecento, sia che si tratti di qualsiasi altro volgare elemento, la suggestione finale resta sempre ugualmente di raffinata resa formale. In “Psyco Urban squid”, la monocromia argentata grazie all’effetto ottico dato dalla retroilluminazione, ci restituisce una visione della preziosa tela settecentesca ramificata che, vivendo ormai di vita propria, sembra quasi staccarsi dalla superficie. Il linguaggio di segni che Andrea Pinchi adotta attraverso il riciclo di materiali diversi si ritrova sia nei dipinti, sia nella scultura che sviluppa su basi geometriche con l’uso di colori accesi e decisi. In tutti questi ultimi lavori non si può fare a meno di sottolineare che il binomio arti visive - musica è stato il primo nutrimento estetico di Andrea Pinchi che lo ha indirizzato naturalmente verso una dimensione spirituale, avvalorata ancor di più dal nesso causale esistente con la luce che, secondo l’assunto neoplatonico, come la musica, è immateriale. È però l’esperienza onirica che pervade i suoi ultimi lavori di luce, a trattenerlo oggi nel mondo spirituale, lavori che salgono d’intensità nella nuova ricerca stilistica andando sostenere tutto l’impianto compositivo. Dipinge superfici levigate che, col gioco della retroilluminazione e a contatto con la carta da dattilografia, ci vengono restituite, per mezzo di questo artificio, quasi come usurate dal tempo in una resa pittorica che l’occhio percepisce come sgretolate, somiglianti alla craquelure della tela.
Anche l’arte concettuale, come la cultura di adesso, appare sempre più attenta al trascendente e attinge spesso alla fonte della spiritualità. Benedetta Galli da anni studia e sperimenta gli effetti ottici prodotti dalle fotografie, riflesse attraverso l’uso di materiali trasparenti, in relazione alla luce, in un processo generativo di immagini volto a segnalare e a tradurre i mutamenti che nel corso della storia dell’arte hanno riguardato la rappresentazione del corpo umano. Dai suoi primi autoscatti, inizia il suo viaggio nell’infinita moltitudine di sé, di cui mantiene la stessa sembianza ridotta a larva, che non è altro che l’eco del suo universo personale, il riflesso della sua percezione conoscitiva della realtà. Con l’opera “Diecimila” del 2008 stende sulla tela migliaia di minuscole fotografie, che rappresentano lo stesso soggetto, dentro altrettante minuscole gocce di silicone. Stesso dicasi di “Quarantamila” del 2010, dove inserisce migliaia di copie della stessa foto in un lavoro di certosina pazienza durato due anni. Attraverso la serialità delle immagini fotografiche, la sua indagine scruta l’infinitesima possibilità di divisione dell’io per ritrovarne la sua identità, cosa che la induce a sperimentare sempre nuove soluzioni da adattare alla sua singolare tecnica musiva. La stesura delle microscopiche gocce di silicone in cui vengono racchiuse le fotografie, per effetto della luce e nella loro vibrazione ottica, ricorda la fluidità del liquido amniotico elemento che costituisce l’origine della vita e che, oltre a evocare immagini ancestrali, apre a infinite possibilità di dibattito sul concetto dell’io e della sua identità/alterità, della frantumazione e annullamento del sé e della sua assenza/presenza. La questione è aperta non solo a dissertazioni filosofiche che da Platone giungono fino a Cartesio, passando anche attraverso gli studi pratici legati alla fotografia prima, e all’arte cinematografica poi, e a cui si possono aggiungere anche scontati riferimenti mitologici, per giungere fino alla pratica tanto attuale delle meditazioni spirituali, dove per assonanza torna in mente il visionario mondo di Bosch e alcuni suoi dipinti che Carlo V di Spagna usava appunto per meditare. Qualche anno prima, nel 2003 anche per Benedetta Galli era stato un sogno rivelatore a darle una nuova percezione del mondo. Racconta di essersi ritrovata dentro una sfera dalla superficie curva e trasparente che assumeva la forma di una bolla; da lì è nata la tecnica dell’impiego della gocce seriali che è divenuta la costante della sua poetica. Senza però voler insistere troppo sulla parte spirituale sempre più presente ormai nella cultura visiva contemporanea, più semplicemente i ritratti racchiusi nelle semisfere di silicone, sono -come li definisce Benedetta Galli- “paesaggi psicologici, caratteri disgregati dagli eventi, pestati dalle emozioni e lasciati decantare”. In questi suoi ultimi lavori a cui, non a caso, ha dato lo stesso titolo, è l’utilizzo del plexiglass a dare una risultanza di maggiore raffinatezza espressiva, laddove è proprio il susseguirsi della distesa cromatica delle semisfere,che, lungi dal produrre un senso di ossessiva ripetitività, al contrario, viene a rivelarle - per effetto dell’elemento illusorio della mente che attraverso il colpo d’occhio ne percepisce solo l’insieme - come un unicum compositivo che, grazie anche alla valenza tonale dei colori impiegati, risulta essere di rilassante gradevolezza.
Andrea Pinchi
proviene da una famiglia di maestri organari. Il suo passaggio alle arti visive è in parte connesso con l’esperienza, nata sul campo, di questo antico e nobile mestiere. Conosce di cosa sono fatti i mantici e le canne, maneggia con disinvoltura lastre metalliche mentre tocca con leggerezza carte consunte dal tempo ridotte a un sottile velo, tratta le pelli di animali e i legni pregiati, con la dimestichezza che appartiene di diritto alla maestria artigiana. Grazie alla complessa architettura degli organi a canne, negli anni matura una totale padronanza sulla materia che gli risulta poi utile per il suo percorso creativo. È capace di rivitalizzarla, costringendola e riportandola alla sua funzione primaria, oppure con la volontà di appropriarsene per trasformarla, come è evidente nel linguaggio semantico della precedente serie degli Urban squid, dove, secondo la tradizione ermetica, anche un elemento vile e saturnino come il piombo, in virtù del processo di trasmutazione alchemica, può convertirsi in oro. In questi suoi lavori e nella loro variante cromatica, sia che si tratti di rimasugli di brandelli di tela del settecento, sia che si tratti di qualsiasi altro volgare elemento, la suggestione finale resta sempre ugualmente di raffinata resa formale. In “Psyco Urban squid”, la monocromia argentata grazie all’effetto ottico dato dalla retroilluminazione, ci restituisce una visione della preziosa tela settecentesca ramificata che, vivendo ormai di vita propria, sembra quasi staccarsi dalla superficie. Il linguaggio di segni che Andrea Pinchi adotta attraverso il riciclo di materiali diversi si ritrova sia nei dipinti, sia nella scultura che sviluppa su basi geometriche con l’uso di colori accesi e decisi. In tutti questi ultimi lavori non si può fare a meno di sottolineare che il binomio arti visive - musica è stato il primo nutrimento estetico di Andrea Pinchi che lo ha indirizzato naturalmente verso una dimensione spirituale, avvalorata ancor di più dal nesso causale esistente con la luce che, secondo l’assunto neoplatonico, come la musica, è immateriale. È però l’esperienza onirica che pervade i suoi ultimi lavori di luce, a trattenerlo oggi nel mondo spirituale, lavori che salgono d’intensità nella nuova ricerca stilistica andando sostenere tutto l’impianto compositivo. Dipinge superfici levigate che, col gioco della retroilluminazione e a contatto con la carta da dattilografia, ci vengono restituite, per mezzo di questo artificio, quasi come usurate dal tempo in una resa pittorica che l’occhio percepisce come sgretolate, somiglianti alla craquelure della tela.
Luoghi
www.borghiniartecontemporanea.it 06 6797726 339 5784979
orari: dal lunedì al sabato 10-13 / 16-19