Arjan Shehaj
A cura di: Alessio Moitre e Arjan Shehaj
La Galleria è lieta di presentare l’esposizione personale dell’artista albanese Arjan Shehaj (Patos, Albania, 1989).
Una volontà di disegno, una semplicità compositiva che nasce innanzitutto dalla necessità di scoperta, dove ogni linea appare come un immaginario percorso in un cammino iniziato da tempo.
Una conoscenza dei mezzi della rappresentazione che portano l’artista a creare realtà che prima di tutto sono novità per la stessa mano che li ha concepiti, come se dietro al pennello vi fosse un immaginaria bacchetta in grado di far apparire mondi, scomponibili poi dalla nostra stessa volontà.
Semplici linee, che con costanza e visione individualista dell’artista, costituiscono un tracciato di consapevolezza e di lentezza.
Quest’ultima permette di trasmigrare sentimenti, attimi, vibrazioni all’interno di una tela che ne assorbe a tal punto la lezione da apparire “calma”, anche nel momento stesso in cui la forma si scatena, si contorce o cambia improvvisamente direzione.
Vi è una consapevolezza nell’atto di Arjan, di una strada che non gli è mai stata sconosciuta per davvero e che oggi si esprime in queste forme che non vogliono connettersi alla realtà, non ne sentono il bisogno.
Ogni passaggio di tratto è lento accadimento, un fatto che si palesa nell’atto stesso del compimento, uno stupore che prima di tutto è del pittore stesso.
Testo di Daniele Capra
Le opere su tela e su carta di Arjan Shehaj nascono da una costante riflessione sulla pratica artistica del dipingere, a partire dagli costituenti base della superficie, del colore, del segno e del riflesso. Rifiutando ogni idea di mimesi-rappresentazione e di adesione alla realtà, Shehaj sceglie di ridurre il proprio lavoro al solo impiego dei elementi minimali, con una brutale compressione verso la linea tesa (anche quando è reiterata a matita), il profilo tagliente e la cromia flat tipiche della tradizione modernista.
Shehaj mette in mostra così la necessità di creare un universo altro, in cui la geometria combinatoria rende possibile la costruzione di un ordine nuovo, caratterizzato da composizioni euritmiche aniconiche. Ma ugualmente il suo lavoro è una narrazione metapittorica che racconta la pratica della pittura nel suo declinarsi quotidiano di scomposizione del colore, del piano e della vista.
Una volontà di disegno, una semplicità compositiva che nasce innanzitutto dalla necessità di scoperta, dove ogni linea appare come un immaginario percorso in un cammino iniziato da tempo.
Una conoscenza dei mezzi della rappresentazione che portano l’artista a creare realtà che prima di tutto sono novità per la stessa mano che li ha concepiti, come se dietro al pennello vi fosse un immaginaria bacchetta in grado di far apparire mondi, scomponibili poi dalla nostra stessa volontà.
Semplici linee, che con costanza e visione individualista dell’artista, costituiscono un tracciato di consapevolezza e di lentezza.
Quest’ultima permette di trasmigrare sentimenti, attimi, vibrazioni all’interno di una tela che ne assorbe a tal punto la lezione da apparire “calma”, anche nel momento stesso in cui la forma si scatena, si contorce o cambia improvvisamente direzione.
Vi è una consapevolezza nell’atto di Arjan, di una strada che non gli è mai stata sconosciuta per davvero e che oggi si esprime in queste forme che non vogliono connettersi alla realtà, non ne sentono il bisogno.
Ogni passaggio di tratto è lento accadimento, un fatto che si palesa nell’atto stesso del compimento, uno stupore che prima di tutto è del pittore stesso.
Testo di Daniele Capra
Le opere su tela e su carta di Arjan Shehaj nascono da una costante riflessione sulla pratica artistica del dipingere, a partire dagli costituenti base della superficie, del colore, del segno e del riflesso. Rifiutando ogni idea di mimesi-rappresentazione e di adesione alla realtà, Shehaj sceglie di ridurre il proprio lavoro al solo impiego dei elementi minimali, con una brutale compressione verso la linea tesa (anche quando è reiterata a matita), il profilo tagliente e la cromia flat tipiche della tradizione modernista.
Shehaj mette in mostra così la necessità di creare un universo altro, in cui la geometria combinatoria rende possibile la costruzione di un ordine nuovo, caratterizzato da composizioni euritmiche aniconiche. Ma ugualmente il suo lavoro è una narrazione metapittorica che racconta la pratica della pittura nel suo declinarsi quotidiano di scomposizione del colore, del piano e della vista.
Luoghi
http://galleriamoitre.com 338 1426301
dal martedì al sabato, dalle 15 alle 19