Del Pezzo Lucio
Del Pezzo è nato a Napoli, nel quartiere di Posillipo, parola che in greco significa “pausa dal dolore” e le sue opere sono una sorta di unguento per l’anima. Come scrisse, infatti, Pierre Restany nel 1967, Del Pezzo è “la calma dopo la tempesta, il sospiro dopo l’angoscia”. I colori e le tradizioni della città partenopea sollecitano le sue composizioni d’oggetti, così come gli iniziali studi da agrimensore indirizzano la sua propensione all’armonia e alla misura. Dopo gli studi all’Accademia di Napoli, dove è allievo di Emilio Notte, pittore futurista, si avvicina a Enrico Baj e alla pittura nucleare che si sta affermando in quegli anni a Milano. Nel 1953 Baj e i nucleari promuovono il “Movimento internazionale per una Bauhaus imaginista”, per un’arte fantastica, in polemica con il razionalismo geometrico, mentre con il manifesto del 1957, “Contro lo stile”, sostengono l’importanza di un creare costantemente sperimentale. Sull’esempio del movimento di pittura nucleare Del Pezzo costituisce a Napoli insieme a Biasi, Di Bello, Fergola, Luca e Mario Persico, il “Gruppo 58” che vuole promuovere un’arte che sia nello stesso tempo spontanea ma non soggettiva, bensì attenta alla “natura mitica e arcaica che è dentro e fuori di noi”.
Pur influenzato dal primo Kandinskij, da Malević e dalla metafisica di De Chirico, Del Pezzo elabora un linguaggio del tutto originale rispetto alla pittura di quegli anni. Nel 1960 approda in una Milano di grandi fermenti. Sono gli anni delle “Tavole dei ricordi”: l’artista deposita sul supporto di legno una patina di gesso su cui si mescolano elementi dadaisti, influssi della cultura devozionale napoletana e atmosfere atemporali. Dal ’62 in poi più netta sarà la separazione tra sfondo e oggetti, oggetti plastici di legno dipinto, metallo e altri materiali vengono collocati su mensole, cassettoni, modanature, un’architettura classica, retaggio della sua giovanile passione per l’archeologia.
Dal 1964 Del Pezzo è a Parigi (vi rimarrà fino al 1979), dove prende in affitto l’antico studio di Max Ernst. Entra così a diretto contatto con i luoghi e il clima delle avanguardie di inizio secolo. Ha modo di approfondire la sua ricerca artistica continuando a elaborare uno stile del tutto personale, a esplorare, con i suoi collage, tanto il mondo dell’inconscio e della scienza esoterica quanto quello dell’iconografia popolare. Tra i colori prediletti c’è l’oro, il metallo che più affascinava gli alchimisti, per il suo significato metafisico e trascendente e che dà alle composizioni un effetto sacrale. Realizza assemblages con labirinti che non hanno vie d’uscita, birilli, piramidi e ziggurath per scalare il cielo, amuleti magici, misteriosi geroglifici, forme che sono patrimonio comune di tutte le civiltà dalla preistoria all’antichità classica, dal medioevo ai giorni nostri.
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Lucio Del Pezzo (Napoli, 13 dicembre 1933)
Gillo Dorfles - “Lucio Del Pezzo si è foggiato, ormai, un suo preciso universo formato di oggetti personali elevati a potenza di alfabetario privilegiato: mensole, cubi, losanghe, piani inclinati, bersagli, birilli, manichini, che non hanno più il loro iniziale valore di riferimento semantico a una realtà, sia pur metamorfosata, ma che sono, invece, un gergo privato, quasi un’etichetta, a testimonianza della continuità nel tempo della sua invenzione figurativa. Dell’antico rapporto con la pittura metafisica italiana è rimasto ben poco: forse soltanto un aggettivo, utile come richiamo e anche come argine di fronte all’incalzare di altri eventi dai quali Lucio Del Pezzo vuole difendersi e tutelarsi. Tutte le recenti vicende dell’arte visiva: dal pop all’op, dall’arte povera a quella concettuale, hanno lasciato scarse tracce sul suo lavoro appunto perché lo stesso ha potuto svolgersi al riparo d’uno robusta matrice partenopea e d’una presunta ascendenza storica.”
Lucio Del Pezzo. Opere anni '60. Napoli
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