Yonel Hidalgo Perez. Stilleven. El Prometido es Deuda
A cura di: Maurizio Coccia
Sabato 5 aprile, alle 18:00 presso lo Studio Gennai di Pisa, Yonel Hidalgo Perez presenta la sua ultima fatica, a cura di Maurizio Coccia, Stilleven. El Prometido es Deuda. L’artista cubano, calandosi nello spazio espositivo, e interpretandone la personalità oltre che i limiti fisici, mette in scena una coinvolgente installazione multimediale in cui focalizza i risultati della sua ricerca più recente. All’ingresso si è accolti dall’installazione sonora Brother cuentame, un dialogo in lingua castigliana fra l’artista e il fratello, che accompagna tutta la mostra. I due, nonostante la parentela e la prossimità anagrafica, anche solo dal differente accento denunciano una sofferta distanza culturale. Il primo, ormai naturalizzato italiano, infatti, ha punti di vista divergenti dal fratello sugli aspetti generali del vivere, sia a livello quotidiano sia trascendente. Altri spunti di riflessione riguardano lo statuto dell’arte, il ruolo del pubblico e lo slittamento di significato in oggetti di uso comune. Campionario è composto di cinque contenitori lignei nei quali l’artista ha conservato alcune vecchie tele da lui dipinte, tagliate in piccole dimensioni e ridotte a pezze di tessuto colorato in cui il realismo d’origine è ormai illeggibile. L’idea si bilancia tra bidimensionalità della pittura e tridimensionalità (quasi una scultura minimalista) del manufatto finale. Una sorta di campionario tessile che chiama il pubblico fuori dalla sua passività invitandolo a sfogliare i “cataloghi”. Sempre sul tema dell’archivio agisce l’opera Ogni cosa. Qui sono cartelline uso-cancelleria che ritraggono oggetti privi di particolare seduzione visiva. Sono spesso elementi di utensileria spicciola, la cui perfezione realizzativa nobilita il design anonimo – ma estremamente duraturo – degli strumenti vincolati al legame forma/funzione. L’artista, in questo modo, non solo li redime dal loro funzionalismo di fondo, ma li innalza al livello di altri – ben più effimeri – oggetti di desiderio, come quelli tecnologici. I piccoli disegni di Realtà corretta mettono in crisi l’apatia sensoriale del pubblico delle mostre. Dietro l’apparente oggettività figurativa, infatti, si nascondono insidiose aberrazioni visive. Anomalie minime, certo, ma in grado di scardinare la rassicurante ovvietà di una visione puramente retinica. Una discussione sulle convenzioni percettive è alla base anche dell’ultima opera in mostra, Far tornare le cose. Vi sono rappresentati oggetti “desiderabili”, ma fugaci perché costantemente aggiornati dall’impulso industriale al consumismo. Il loro appiattimento, la riduzione a silhouette di legno, con un procedimento consapevolmente mutuato dalla Pop Art, nell’azzerarne la funzione li consegna al regno dell’iconografico, alla (presunta) eternità dell’immagine.
Sono due, fra loro intimamente collegati, i filoni che s’intrecciano in mostra. Il linguaggio, innanzitutto, inteso come relazione verso l’esterno e non semplice comunicazione verbale. E poi l’ossessione alla catalogazione, cioè il tentativo d’imporre alle cose un ordine in grado di domare le inquietudini, proprie e dell’habitat che ci circonda. Ovviamente, sono due aspetti ben noti a tutti quelli che stanno cercando una qualche forma d’integrazione. Una sensazione molto diffusa. Un sentimento di precarietà trasversale, non circoscritto solo agli stranieri. È una tensione costante, intima, sociale, politica, che ci accomuna, in attesa che – come ci ricorda il titolo della mostra – si realizzi ogni promessa (di miglioramento) di cui siamo ancora creditori.
Sono due, fra loro intimamente collegati, i filoni che s’intrecciano in mostra. Il linguaggio, innanzitutto, inteso come relazione verso l’esterno e non semplice comunicazione verbale. E poi l’ossessione alla catalogazione, cioè il tentativo d’imporre alle cose un ordine in grado di domare le inquietudini, proprie e dell’habitat che ci circonda. Ovviamente, sono due aspetti ben noti a tutti quelli che stanno cercando una qualche forma d’integrazione. Una sensazione molto diffusa. Un sentimento di precarietà trasversale, non circoscritto solo agli stranieri. È una tensione costante, intima, sociale, politica, che ci accomuna, in attesa che – come ci ricorda il titolo della mostra – si realizzi ogni promessa (di miglioramento) di cui siamo ancora creditori.
Luoghi
www.studiogennai.it 348 8243760 348 8243760
orario di apertura: 17.00 - 19.30 da lunedì a sabato