Walter Picardi. Your heaven my hell
A cura di: Antonio Maiorino Marrazzo, Anita Pepe
A sei anni dall’ultima personale a Napoli, Walter Picardi torna nella sua città con una mostra intitolata Your heaven, my hell, un percorso esplorativo dell’attuale condizione umana attraverso gli inferni, i miraggi di paradiso, le speranze naufragate e i desideri di felicità che costellano l’esistenza di ogni uomo. Com’è da sempre nel suo carattere, l’ultimo lavoro di Walter Picardi, in mostra alla Galleria PrimoPiano, affonda uno sguardo disilluso e lucido sul percorso che ognuno di noi compie per cercare se stesso e il proprio diritto alla vita, riportando in una cronaca amara e drammatica lo scontro che avviene tra l’istintiva progettualità e gli impedimenti che rischiano di farla miseramente naufragare.
Come uno squarcio di luce che indaga nel buio di milioni di percorsi umani, e ne pone in rilievo uno per sottrarlo all’indifferenza e insignificanza cui la consuetudine lo condanna, il lavoro di Picardi dissotterra e sottolinea una verità. Your heaven, my hell è la narrazione del viaggio dell’uomo, di un uomo, del tragitto rischioso che egli percorre nel corso limitato della sua vita, e delle possibilità che il suo progetto si realizzi o meno. La forza, che è poi il pregio di questo lavoro, sta nel non decretare da subito il successo o l’insuccesso della ricerca umana della felicità. Non è tanto il risultato finale a dare carattere drammatico al percorso, quanto il modo in cui ci si trova a condurlo.
La storia inizia con degli uomini, vengono da paesi non troppo lontani da noi, in cui tutto è morte e pericolo quotidiano. Bussano disperati alle nostre porte, cercano il loro paradiso nel nostro mondo. La mostra si apre con l’installazione di una grande scritta in ferro battuto, Willkommen, con gli stessi caratteri del nazista Arbeit macht frei e a cui esplicitamente fa richiamo anche nel significato. È il sinistro benvenuto che il nostro mondo porge agli infelici che si accalcano alle sue porte dorate. Il racconto prosegue con altri due lavori dal titolo Isotermic blanket: due grandi tavole attaccate al muro realizzate con coperte isotermiche sormontate nella parte alta da una nera striscia orizzontale di catrame.
Una serie di tre foto, dal titolo Travelling, continua a narrare del percorso che quotidianamente si compie per la salvezza e rappresentano la cronaca del viaggio realizzata dallo stesso uomo in fuga; per questo motivo le immagini sono riprodotte con un telefonino, quello che si immagina avrebbe potuto usare l’uomo dalla barca. La prima parte della storia termina con l’inizio della seconda parte.
Due fotografie, dal titolo Gif, provano a sintetizzare l’inferno, l’inferno che sta qui, quello di ogni vita, che altro non è che il suo lato oscuro, il rovescio della medaglia. E’ l’immagine iconica di un castello di carta, ritratto in piedi e distrutto, due momenti che si risolvono simbolicamente l’uno nell’altro, senza sosta.
L’ultimo capitolo della narrazione avviene attraverso un’azione performativa dal titolo With love, from daddy, l’artista nel suo cammino esistenziale avvolto nella nebbia fitta della vita di uomo e padre. È il processo, lento, faticoso, irto di ostacoli, pericoli, rischi continui di fallimento, dolore, sofferenza. Anita Pepe, curatrice con Antonio Maiorino Marrazzo, scrive: “ La traiettoria non è perfetta, durante il tragitto si può sbandare. Un genitore non è infallibile, non è invincibile. Tuttavia, agli occhi di chi ti vede così, ci vuole coraggio ad ammetterlo. Uniti in balìa del caso. Solidali nella caparbietà, nella voglia di farcela. Senza la retorica dei sogni, ma nella costruzione tenace di un progetto, che rischia di franare come un paziente castello di carte”.
Come uno squarcio di luce che indaga nel buio di milioni di percorsi umani, e ne pone in rilievo uno per sottrarlo all’indifferenza e insignificanza cui la consuetudine lo condanna, il lavoro di Picardi dissotterra e sottolinea una verità. Your heaven, my hell è la narrazione del viaggio dell’uomo, di un uomo, del tragitto rischioso che egli percorre nel corso limitato della sua vita, e delle possibilità che il suo progetto si realizzi o meno. La forza, che è poi il pregio di questo lavoro, sta nel non decretare da subito il successo o l’insuccesso della ricerca umana della felicità. Non è tanto il risultato finale a dare carattere drammatico al percorso, quanto il modo in cui ci si trova a condurlo.
La storia inizia con degli uomini, vengono da paesi non troppo lontani da noi, in cui tutto è morte e pericolo quotidiano. Bussano disperati alle nostre porte, cercano il loro paradiso nel nostro mondo. La mostra si apre con l’installazione di una grande scritta in ferro battuto, Willkommen, con gli stessi caratteri del nazista Arbeit macht frei e a cui esplicitamente fa richiamo anche nel significato. È il sinistro benvenuto che il nostro mondo porge agli infelici che si accalcano alle sue porte dorate. Il racconto prosegue con altri due lavori dal titolo Isotermic blanket: due grandi tavole attaccate al muro realizzate con coperte isotermiche sormontate nella parte alta da una nera striscia orizzontale di catrame.
Una serie di tre foto, dal titolo Travelling, continua a narrare del percorso che quotidianamente si compie per la salvezza e rappresentano la cronaca del viaggio realizzata dallo stesso uomo in fuga; per questo motivo le immagini sono riprodotte con un telefonino, quello che si immagina avrebbe potuto usare l’uomo dalla barca. La prima parte della storia termina con l’inizio della seconda parte.
Due fotografie, dal titolo Gif, provano a sintetizzare l’inferno, l’inferno che sta qui, quello di ogni vita, che altro non è che il suo lato oscuro, il rovescio della medaglia. E’ l’immagine iconica di un castello di carta, ritratto in piedi e distrutto, due momenti che si risolvono simbolicamente l’uno nell’altro, senza sosta.
L’ultimo capitolo della narrazione avviene attraverso un’azione performativa dal titolo With love, from daddy, l’artista nel suo cammino esistenziale avvolto nella nebbia fitta della vita di uomo e padre. È il processo, lento, faticoso, irto di ostacoli, pericoli, rischi continui di fallimento, dolore, sofferenza. Anita Pepe, curatrice con Antonio Maiorino Marrazzo, scrive: “ La traiettoria non è perfetta, durante il tragitto si può sbandare. Un genitore non è infallibile, non è invincibile. Tuttavia, agli occhi di chi ti vede così, ci vuole coraggio ad ammetterlo. Uniti in balìa del caso. Solidali nella caparbietà, nella voglia di farcela. Senza la retorica dei sogni, ma nella costruzione tenace di un progetto, che rischia di franare come un paziente castello di carte”.
Luoghi
www.primopianonapoli.com 08119560649 39 3398666198
orari galleria: mar. mer. giov. dalle 15.30 alle 19.30 – lun. ven. sab. su appuntamento