Vincenzo Satta. Con limpida luce

Sei oli su tela e dieci disegni, questi da leggersi anche come gesti ideativi e di architettura per l’opera dipinta, accuratamente scelti, costituiscono il progetto-mostra che apparirà ai nostri occhi come un collegato magico di segno-luce-colore. Sono appunto queste le caratteristiche portanti della mai esausta ricerca sattiana che, soprattutto dagli anni ’70, prende il volo per perseguire, nell’ambito di una indagine-analisi sulla geometria prima e sulle infinite valenze del segno poi, l’obiettivo, ai limiti del possibile, di fermare sulla tela una luce mentale che ha come mai dimenticati punti di riferimento, nella storia dell’arte, l’opera di Giovanni Bellini e Piero della Francesca su tutti.
La pittura di Satta possiede e rimanda la sensualità di una percezione, apparentemente fredda, della luce, ma che si connota per la prerogativa di avvolgerci in una limpida e incandescente pienezza espressiva che sembra superare le più impervie possibilità della retina. Il segno-luce, l’elemento che più emerge dal sottile e rigoroso ‘fare’ di Vincenzo Satta, è prima di tutto un esercizio intellettuale e critico dell’invenzione segnica, intesa come gesto scrittura musica, energia che agisce con il colore, inteso specificamente come coniugazione delle infinite e sfaccettanti possibilità del bianco, per formare partiture di pura luce che ci catturano nel più assoluto e assorbente silenzio.
Gianni Baretta
Aprile 2016
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