Nader Khaleghpour. Viaggio
A cura di: Testo critico di Giorgio Seveso
Per la rassegna ARTE TRA LE CULTURE : Italia-Iran
Nader Khaleghpour VIAGGIO
Scrive dell’artista Giorgio Seveso: “ Nader tiene bene in vista nel suo studio una poesia di Giorgio Caproni che gli è molto cara:
Se non dovessi tornare
sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai
sappiate che non sono mai partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai
Je me propose sans être nullement ému d'entonner le chant sérieux et froid que vous allez entendre… .. Queste battute iniziali del Canto Primo del Maldoror, opera di quel geniale e tormentato esploratore dell'anima profonda che fu Lautréamont, potrebbero senz'altro costituire la dominante tonica delle immagini di Nader, quasi l’intonazione definitiva di questo suo imponente, composito, dolcissimo diario di viaggio.
Un viaggio esistenziale, lucidamente intenso, attraverso le vicende di una vita in bilico su due culture, divisa fin dai primi anni 70 di volta in volta tra la sua patria iraniana sulle rive del Mar Caspio e la sua patria adottiva qui da noi, a Venezia e poi a Padova.
Ma anche un viaggio attraverso i segni della pittura, percorso di scoperte e ritrovamenti, esplorazioni e ritorni nel tessuto splendente di un fervido repertorio espressivo.
Tra bitumi e oli e inchiostri, tra colle e pigmenti e cementiti, in ogni sua stagione le immagini si spalmano e si incidono, si graffiano e si distendono sulla carta, sulla tela, sul legno, obbedendo alle ragioni di uno sguardo lirico che s’intinge nei più palpitanti e sepolti nuclei della memoria, alle radici stesse della coscienza e dell'affettività.
Difatti, la poesia figurata di Nader si muove in quel territorio privilegiato della memoria, tra il sonno e il risveglio, in cui ogni cosa vive di una sua vita parallela, equidistante tanto dalla coscienza che viene riarmandosi quanto dai segnali ancora tumultuosi dell'inconscio. Un territorio analizzato, soppesato, esperito sia oggettivamente che emotivamente dall’acutezza della sua tensione percettiva. (…)
I fantasmi si trascinano dietro ombre e sensazioni, tracce di scrittura che richiamano echi di caratteri persiani, gesti languidi per mani e visi, cieli stellati e luci lunari, animali stilizzati e sinuosi, garze d’atmosfere enigmatiche e felpate… E poi mare e ancora mare, mare come un vasto tessuto connettivo, un mondo liquido brulicante di segni e di sogni che volentieri si organizzano in sequenze scansionate come fotogrammi di un film, come pagine di un libro mai finito.(…) Ma Nader non parla di società o di attualità quando si discorre della sua pittura. Le sue realtà, e il suo modo di evocarle espressivamente, non sono sociologiche, sono interne e implicite alle energie e alle tensioni che scuotono oggi il mondo e le sue allarmanti ondulazioni. (…)
Un viaggio esistenziale, lucidamente intenso, attraverso le vicende di una vita in bilico su due culture, divisa fin dai primi anni 70 di volta in volta tra la sua patria iraniana sulle rive del Mar Caspio e la sua patria adottiva qui da noi, a Venezia e poi a Padova.
Ma anche un viaggio attraverso i segni della pittura, percorso di scoperte e ritrovamenti, esplorazioni e ritorni nel tessuto splendente di un fervido repertorio espressivo.
Tra bitumi e oli e inchiostri, tra colle e pigmenti e cementiti, in ogni sua stagione le immagini si spalmano e si incidono, si graffiano e si distendono sulla carta, sulla tela, sul legno, obbedendo alle ragioni di uno sguardo lirico che s’intinge nei più palpitanti e sepolti nuclei della memoria, alle radici stesse della coscienza e dell'affettività.
Difatti, la poesia figurata di Nader si muove in quel territorio privilegiato della memoria, tra il sonno e il risveglio, in cui ogni cosa vive di una sua vita parallela, equidistante tanto dalla coscienza che viene riarmandosi quanto dai segnali ancora tumultuosi dell'inconscio. Un territorio analizzato, soppesato, esperito sia oggettivamente che emotivamente dall’acutezza della sua tensione percettiva. (…)
I fantasmi si trascinano dietro ombre e sensazioni, tracce di scrittura che richiamano echi di caratteri persiani, gesti languidi per mani e visi, cieli stellati e luci lunari, animali stilizzati e sinuosi, garze d’atmosfere enigmatiche e felpate… E poi mare e ancora mare, mare come un vasto tessuto connettivo, un mondo liquido brulicante di segni e di sogni che volentieri si organizzano in sequenze scansionate come fotogrammi di un film, come pagine di un libro mai finito.(…) Ma Nader non parla di società o di attualità quando si discorre della sua pittura. Le sue realtà, e il suo modo di evocarle espressivamente, non sono sociologiche, sono interne e implicite alle energie e alle tensioni che scuotono oggi il mondo e le sue allarmanti ondulazioni. (…)
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