Veronica Montanino. Pangea
A cura di: Olivia Spatola, Manuela Valentini
La mostra rientra in SetUp+, il percorso in città di SetUp Contemporary Art Fair
Mercoledì 27 gennaio 2016 alle ore 18.30 si terrà l’inaugurazione di “PANGEA” mostra personale di Veronica Montanino, a cura di Olivia Spatola e Manuela Valentini, presso Miro Gallery, lo spazio dedicato all’arte dello studio d’architettura MIRO di Bologna.
Parte dell’installazione PANGEA – realizzata per la Casa dell’Architettura di Roma e presto in mostra nella personale che s’inaugurerà a marzo al MARCA di Catanzaro – viene proposta nello spazio Miro di Bologna nell’ambito di SetUp+, il percorso in città degli eventi collaterali di SetUp Contemporary Art Fair.
Il lavoro di Veronica Montanino si muove su diverse direttive sia formali che concettuali ed è caratterizzato dalla coesistenza di una pittura a macchie cromatiche concentriche e da sagome figurative nere, sia di natura plastica che pittorica, definite total black. Queste immagini figurative, meticolosamente “ritagliate” nel nero, oltre che animali, farfalle e scene del quotidiano, non si esimono dal rappresentare immagini forti, controverse, con allusioni a posizioni politiche e sociali. E’ forse in questo dualismo che il lavoro della Montanino apre quella porta che rende l’arte un mistero mai chiuso in una singola interpretazione.
La ricerca artistica di Veronica, a prescindere dal medium impiegato, è un’arte ambientale, un’arte di environment che prende in esame e riscrive lo spazio circostante all’opera stessa. Le sue opere non sono circoscritte all’interno di un perimetro, ma coinvolgono lo spazio di una parete, di una stanza o di un’intera facciata di un palazzo. Tale spazio, viene da lei organizzato e strutturato in quelli che potremmo definire, con termini matematici, “insiemi” e “sottoinsiemi”. Il lavoro dell’artista lascia supporre che il gioco dei contenimenti del particolare nel tutto, possa continuare all’infinito a varie scale di grandezza: dal cosmico al subatomico, passando dalle galassie alle partes minimae della fisica quantistica.
La divisibilità all’infinito della materia, di anassagoriana memoria, è stata ripresa da Mandelbrot nella teoria dei frattali in cui ogni parte contiene il tutto, a varie scale di grandezza, mantenendo sempre la stessa forma all’infinito. Si potrebbe, quindi, ipotizzare che l’organizzazione formale delle opere della Montanino sia di natura frattale.
L’installazione “Pangea” rappresenta una sorta di visione al microscopio in cui ogni elemento contiene sottoinsiemi di molecole, allo stesso modo in cui le galassie contengono miliardi di pianeti, lune ed asteroidi.
Anche se l’intento è di disobbedire ad un’arte progettata e programmata, è altrettanto vero che in psicanalisi il caso non esiste, come non esiste l’entropia quando il caos è generato dall’ordine.
Il caos ordinato nel lavoro di Veronica Montanino, è, quindi, un moto apparente o motu psichedelico, che nasconde un sistema molto preciso e meticoloso sia di lavoro che di organizzazione dello spazio.
La dualità tra liquido e solido è un altro elemento caratterizzante il lavoro dell’artista.
Le sue macchie di colore, dall’estetica decisamente liquida, presentano al tatto una loro matericità, come sono materici i tavoli – macro sistemi pittorici – che le contengono, o gli oggetti appoggiati su di essi. Le forme sono curve e provvisorie, in potenziale continuo mutamento e ridefinizione, come miscugli tra acqua e liquidi oleosi che non si uniscono mai completamente perché formati da molecole idrofobe.
Lo spazio di Veronica, oltre ad essere una pellicola “epidermica psicoemotiva”, che riveste e ingloba gli spazi in una metamorfica germinazione cellulare, è anche una struttura fisico-plastica in cui i valori di pittura e scultura vanno a confondersi. E’, quindi, al contempo sia uno spazio psichico che uno spazio fisico fruibile e tangibile.
Il dualismo su cui muove il lavoro dell’artista prevede un primo sguardo introspettivo rivolto verso l’interno, rappresentato dal lavoro figurativo: sono frammenti, ricordi, esperienze del vissuto quotidiano, speranze, attitudini, paure.
Un secondo sguardo è, invece, rappresentato dalla pittura a macchie ed è volto all’incommensurabilmente piccolo o grande, al cosmo e al microcosmo: entrambe dimensioni inaccessibili ai nostri sensi limitati.
Abbiamo, quindi, un environment abitabile che è anche uno spazio cinetico siliconico di rimando nuclearista – spazialista in cui appaiono surrettiziamente oggetti di uso quotidiano, appartenenti all’immaginario domestico, come per tentare di congelare per un istante lo spazio-tempo de
lla nostra vita in quel breve attimo di transito tra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo dell’esistenza.
Mercoledì 27 gennaio 2016 alle ore 18.30 si terrà l’inaugurazione di “PANGEA” mostra personale di Veronica Montanino, a cura di Olivia Spatola e Manuela Valentini, presso Miro Gallery, lo spazio dedicato all’arte dello studio d’architettura MIRO di Bologna.
Parte dell’installazione PANGEA – realizzata per la Casa dell’Architettura di Roma e presto in mostra nella personale che s’inaugurerà a marzo al MARCA di Catanzaro – viene proposta nello spazio Miro di Bologna nell’ambito di SetUp+, il percorso in città degli eventi collaterali di SetUp Contemporary Art Fair.
Il lavoro di Veronica Montanino si muove su diverse direttive sia formali che concettuali ed è caratterizzato dalla coesistenza di una pittura a macchie cromatiche concentriche e da sagome figurative nere, sia di natura plastica che pittorica, definite total black. Queste immagini figurative, meticolosamente “ritagliate” nel nero, oltre che animali, farfalle e scene del quotidiano, non si esimono dal rappresentare immagini forti, controverse, con allusioni a posizioni politiche e sociali. E’ forse in questo dualismo che il lavoro della Montanino apre quella porta che rende l’arte un mistero mai chiuso in una singola interpretazione.
La ricerca artistica di Veronica, a prescindere dal medium impiegato, è un’arte ambientale, un’arte di environment che prende in esame e riscrive lo spazio circostante all’opera stessa. Le sue opere non sono circoscritte all’interno di un perimetro, ma coinvolgono lo spazio di una parete, di una stanza o di un’intera facciata di un palazzo. Tale spazio, viene da lei organizzato e strutturato in quelli che potremmo definire, con termini matematici, “insiemi” e “sottoinsiemi”. Il lavoro dell’artista lascia supporre che il gioco dei contenimenti del particolare nel tutto, possa continuare all’infinito a varie scale di grandezza: dal cosmico al subatomico, passando dalle galassie alle partes minimae della fisica quantistica.
La divisibilità all’infinito della materia, di anassagoriana memoria, è stata ripresa da Mandelbrot nella teoria dei frattali in cui ogni parte contiene il tutto, a varie scale di grandezza, mantenendo sempre la stessa forma all’infinito. Si potrebbe, quindi, ipotizzare che l’organizzazione formale delle opere della Montanino sia di natura frattale.
L’installazione “Pangea” rappresenta una sorta di visione al microscopio in cui ogni elemento contiene sottoinsiemi di molecole, allo stesso modo in cui le galassie contengono miliardi di pianeti, lune ed asteroidi.
Anche se l’intento è di disobbedire ad un’arte progettata e programmata, è altrettanto vero che in psicanalisi il caso non esiste, come non esiste l’entropia quando il caos è generato dall’ordine.
Il caos ordinato nel lavoro di Veronica Montanino, è, quindi, un moto apparente o motu psichedelico, che nasconde un sistema molto preciso e meticoloso sia di lavoro che di organizzazione dello spazio.
La dualità tra liquido e solido è un altro elemento caratterizzante il lavoro dell’artista.
Le sue macchie di colore, dall’estetica decisamente liquida, presentano al tatto una loro matericità, come sono materici i tavoli – macro sistemi pittorici – che le contengono, o gli oggetti appoggiati su di essi. Le forme sono curve e provvisorie, in potenziale continuo mutamento e ridefinizione, come miscugli tra acqua e liquidi oleosi che non si uniscono mai completamente perché formati da molecole idrofobe.
Lo spazio di Veronica, oltre ad essere una pellicola “epidermica psicoemotiva”, che riveste e ingloba gli spazi in una metamorfica germinazione cellulare, è anche una struttura fisico-plastica in cui i valori di pittura e scultura vanno a confondersi. E’, quindi, al contempo sia uno spazio psichico che uno spazio fisico fruibile e tangibile.
Il dualismo su cui muove il lavoro dell’artista prevede un primo sguardo introspettivo rivolto verso l’interno, rappresentato dal lavoro figurativo: sono frammenti, ricordi, esperienze del vissuto quotidiano, speranze, attitudini, paure.
Un secondo sguardo è, invece, rappresentato dalla pittura a macchie ed è volto all’incommensurabilmente piccolo o grande, al cosmo e al microcosmo: entrambe dimensioni inaccessibili ai nostri sensi limitati.
Abbiamo, quindi, un environment abitabile che è anche uno spazio cinetico siliconico di rimando nuclearista – spazialista in cui appaiono surrettiziamente oggetti di uso quotidiano, appartenenti all’immaginario domestico, come per tentare di congelare per un istante lo spazio-tempo de
lla nostra vita in quel breve attimo di transito tra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo dell’esistenza.
Luoghi
http://www.miroarchitetti.com 39 0519845770