Ugo Piccioni e Pasquale Polidori - PINGPONG
A cura di: Diletta Borromeo
pingpong è una partita senza finale. Non che si rimandi la fine (inevitabile) dell’incontro. Ma si tratta di un match senza punteggio, il cui dato cruciale è lo scambio, piuttosto che il finale.La performance di Ugo Piccioni e Pasquale Polidori mette in atto un incrocio di parole alterne tratte da Il meridiano di Paul Celan, il discorso sull’Arte e la Poesia di un autore sradicato dalle proprie origini e senza patria per motivi storici e geografici, talvolta criticato per la sua “oscurità” ma capace di immaginare la promessa di un approdo in un luogo immateriale, utopico, il meridiano appunto: «quello che unisce – scrive –, quello che può avviare il poema all’incontro» e dunque all’ipotetico compimento dell’opera.
Sul campo di azione si intersecano inaspettatamente i termini che ciascuno dei due artisti ha selezionato, cercando il proprio orientamento nello spazio del testo. Le parole pronunciate rimbalzano dall’uno all’altro, l’incrocio (come il ritmo) è casuale, dato che ognuno ha operato la scelta per proprio conto, secondo il proprio sentire, e il confronto avviene a posteriori. Piccioni ha estratto diversi termini che potrebbero essere incrociati fra loro e proporre l’urgenza di questioni filosofiche, etiche e sociali come nei lavori della serie Crossworlds su campo bianco, spazio della mente per antonomasia. Polidori, avvezzo alla manipolazione del linguaggio come materia plasmabile, nel testo di Celan ha prediletto alcuni avverbi, che permettono di modificare/determinare il senso così come le manomissioni linguistiche, visive e oggettuali effettuate dall’artista basandosi sul trattato Teoria estetica di Theodor W. Adorno.
La performance è una rappresentazione – o meglio messa in scena, anche simbolica – di quanto accade nell’installazione dei lavori in mostra: l’attraversamento dello spazio in cui si svolge il pingpong determina un intreccio tra due sensibilità, fra incontri e scontri è un trovarsi insieme nel campo di battaglia dove si consuma l’atto creativo, metafora della precaria condizione esistenziale dell’artista accettata da Celan con la definizione che individua il meridiano.
Siamo in un territorio, dichiara il poeta dei “luoghi introvabili”, in cui si arriva al termine e di nuovo ci si trova al punto di partenza dopo aver attraversato «s-viamenti, deviamenti portanti da te a te (...) pure allo stesso tempo anche vie (...) sulle quali la lingua si fa sonora, sono incontri (...) forse progetti di esistenza, un proiettarsi oltre di sé per trovare se stessi».
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