Teresa Pollidori "STANZE"
A cura di: Gabriella Brembati testi di Matteo Galbiati e Loredana Rea
. I luoghi della memoria vengono esplorati e rielaborati con strumenti digitali attraverso una metodologia di matrice pittorica ma che rifugge da ogni suggestione della materia. Pollidori cancella ogni immediatezza e spontaneità come se il ricordo fosse frutto esclusivo di una elaborazione mentale.--------------------------
STANZE è il titolo delle 10 opere fotografiche che concludono il lungo periodo dedicato al recupero evocativo della casa natale. I luoghi della memoria vengono esplorati e rielaborati con strumenti digitali attraverso una metodologia operativa di matrice pittorica ma che rifugge da ogni suggestione della materia.
Pollidori cancella ogni immediatezza e spontaneità come se il ricordo fosse frutto esclusivo di una elaborazione mentale. Costringe le immagini in spazi atemporali, collocandole in un’atmosfera metafisica.
Atmosfera che la riallaccia alle “Piazze” di De Chirico, ai “Paesaggi” di Carrà, agli “Interni” di Hopper. Artisti appartenenti al passato prossimo della Storia dell’Arte e accomunati da un sentimento di solitudine, di silenzio ma anche di “calore materico”. Pollidori invece, protagonista della contemporaneità, ricerca e sottolinea il sentimento di straniamento rinunciando alla “fisicità materica della pittura” a favore della freddezza del linguaggio digitale.
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Le stanze, luoghi di un pensare senza limiti
di Matteo Galbiati
In questo primo testo critico, che ho l'onore e il piacere di dedicare all'opera di Teresa Pollidori, la tentazione di passarne in rassegna tutte le sensibili voci con cui ha dato anima, forma e corpo alla sua riflessione estetica ed artistica sarebbe stata una scelta ovvia e molto scontata. Un attraversamento critico delle sfaccettate risonanze dei diversi aspetti che hanno pervaso la sua lunga esperienza di ricerca sarebbe stato, forse, un giusto e doveroso omaggio alla sensibilità e all'attenzione rispettosa dedicate da questa artista alla sua attività espressiva, intrigante e sempre ricca di stimoli per chi la ammira; eppure la strada, che questo testo ha assunto nel tempo (anche ritardandone la consegna per i continui cambiamenti), ha imposto una ripetuta e iterata rilettura dei suoi contenuti perché, poco per volta, sono emerse due polarità divergenti: una dominata dalla logica scientifica di puntualizzare e creare connessioni, di indagare, appunto, con precisa codificazione le stagioni e le serie dei suoi lavori, annodando e sommando le proprie ipotesi critiche a quelle numerose altre di esperiti e studiosi che negli anni mi hanno preceduto, e una seconda che invece si animava da un moto affettivo, di reciprocità empatica rispetto l'essenza del carattere e del pensiero dell'autrice, non seguendola e ripensandone prioritariamente l'attitudine come artista, ma di lei come persona.
Ho letto molto di lei e della sua ricerca, ho seguito le differenti formulazioni delle evoluzioni e degli episodi espositivi che, partendo, come spesso succede, da una figurazione ha poi valicato l'orizzonte dell'immagine per identificarsi con un più stretto rapporto con la concretezza della materia e la sua oggettualità, acquisita la risonanza scultuorea, si è poi, al contempo, rivolta anche al mondo della fotografia e del digitale e, con una passione profonda, al libro d'artista (spendendosi propulsivamente per le apprezzate Biennali di Cassino), eppure nonostante tutto questo a prevalere era sempre la sua essenza, la sua natura, la grazia del suo proporsi. In ogni opera sopraggiunge sempre lei, la sua identità sensibile, prevalente rispetto la prosa logica dell'opera come oggetto.
Riassunti brevemente questi punti cardinali della sua esperienza, il racconto di Teresa Pollidori sembrerebbe incunearsi, quindi, con capitoli diversissimi di una storia ricca e incontenibile, ma quello che somma tutto, il filo rosso che tesse tutto in un insieme unico, è proprio la grazia del suo approccio e la nobiltà del suo sguardo. Questa sua attiva propensione conoscitiva, l'intuizione e l'esattezza della meta, si accompagnano a quell'antica sapienza, tipica del carattere mediterraneo di certi artisti, abituati a generare connessioni, più che a chiudersi nell'egotico ritiro del proprio studio o di presenziare agli avvenimenti più altisonanti o modaioli che offre il sistema. Qui emerge il tratto più fattivo del suo essere, che mi allontana dalla verifica critica delle opere e mi avvicina all'animo della persona, il quale si radica in un'umiltà di attesa e di lettura, di comprensione e meditazione sul "peso" che ogni "immagine" delle sue creazioni (e degli altri artisti) devono necessariamente avere.
Teresa Pollidori, contrariamente alle chiusure attuate da molti altri suoi colleghi, sa concedere(si) il tempo dell'esplorazione e della conoscenza, della verifica con cui lascia sedimentare le sue esperienze che hanno, in tal modo, la possibilità di esprimersi attraverso la più corrispondente identità e identificazione di temi, soggetti e suggestioni cui tende. Il modo di ragionare sul suo lavoro - parafrasando il tema delle "stanze" del ciclo presente di lavori - prevede la messa in "quarantena" di quegli spunti fertili di ricognizione poetica che vive nell'esperienza diretta, per farli poi abitare negli spazi dell'immaginazione che, da suoi diventano, nell'intermediazione dell'opera, anche nostri.
Se penso alle sue origini partenopee identifico il suo modus operandi, il geminare lento delle intuizioni, come ad un silente terreno flegreo che, sotto a minime increspature e piccoli ribollii di vapori, nasconde un supervulcano, pronto a dimostrare tutta la sua potenza e forza eruttiva. Non si staglia come il Vesuvio, dominando e imponendosi sul paesaggio, ma si anima sotterraneamente, celando il magma delle sue idee nella logica affermativa della sua intuizione, destinata a tramutarsi ed affiorare come esperienza propositiva e possibile.
Pollidori ha il pregio dell'ascolto, dell'osservazione dell'altro e la sua attività di artefice di promozione culturale coincide e si fonde con la costanza stessa dell'esercizio artistico, collimando la propria esplorazione dell'arte con l'attività di promozione e organizzazione in una unica logica coerente e indispensabile: le esperienze vissute, gli scambi, le collaborazioni, le partecipazioni definite con altri "creativi" le permettono di aprire porte continue che affacciano lo sguardo e il sentire su un complessa verbalizzazione di letture le quali, mai schiave e vincolate all'episodicità, sono attimi di vissuto probabile in nuovi ambienti, in nuovi luoghi dell'esistere.
Risulta difficile, ma non sarebbe nemmeno necessario farlo, definire la sua identità artistica, nessuna codificazione potrebbe contenerne la specifica dimensione di pensiero che sa allargarsi, adattarsi, modificarsi ed evolvere restando sempre se stessa. In questo senso, la logica del suo sentire, che trae efficacemente spunto e linfa vitale da un orizzonte senza limiti, mai circoscritto alla circostanza, respira di vita e di realtà; in questo essere presente, ricettiva di "sensi", Pollidori dischiude la complessa struttura della sua indagine alla verità del mondo. Una verità che cammina e frequenta quelle stanze del pensiero, ma che, nella realtà dell'oggi, nei più resta prigioniera del conformismo: attraverso il variare di temperature, di formalismi, di aspetto nelle-delle sue opere, Pollidori sa conquistarsi la sua libertà che dalle stanze della ragione la proiettano all'infinito di luoghi altri.
Ho apprezzato sempre, rispetto a questa dote esclusiva di coerenza nella diversificazione volontaria, un merito nel suo lavoro, perché questo coincide con l'abbraccio della sua voce quando chiede, quando si informa su cosa si sta facendo, quando cerca, nel vivere dell'altro, quel calore di passione che diventa un focolare attorno al quali ritrovarsi per condividere qualcosa di importante.
Questo fa Pollidori, nella vita e nell'arte, sa far ri-trovare le persone, e il loro scoprire, negli ambienti e nei luoghi dell'anima, il sentire della coscienza profonda, là dove l'invisibile tocca e si accompagna all'esperienza vissuta, in un accoglimento intenso (e debitamente complesso, mai banale o ovvio) che riporta peso e senso alla bellezza di un conoscere senza limitazioni e confini.
Non so se queste parole sono la "cosa" migliore per "sostenere" la qualità della sua esperienza artistico-esistenziale, ma certamente, nutro una sincera e accalorata ammirazione per chi sa essere persona e artista nello stesso momento, quando le due istanze si plasmano nella naturalezza vera, della poeticità che conquista e scalda il cuore prima della ragione.
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ATTRAVERSARE IL TEMPO SOSPESO
…e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli
poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.
Wisława Szymborska
Come le note lievi di una melodia familiare, il silenzio attraversa lo spazio e lentamente si insinua in ogni interstizio, colmando di sé gli ambienti esplorati dallo sguardo, per restituire la fragranza di un turbamento sottilmente pervadente, che sebbene custodito profondamente affiora alla superficie.
Tutto appare ammantato di una densità inquietante e sospeso in un tempo senza tempo con un ricercato meccanismo intellettuale, che lascia affiorare le suture strutturali di un linguaggio rarefatto, in cui l’emozione si occulta dietro la vertigine di automatismi mentali.
La serie di lavori, che Teresa Pollidori ha realizzato per questa nuova personale, punto di arrivo di una ricerca avviata da poco più di un decennio, si svela lentamente, sciogliendo le ricercate ambiguità di lettura in una catena di rimandi che, come eco persistente, accompagnano la comprensione delle immagini in un percorso labirintico, dominato dall’esigenza di una fertile contaminazione tra l’uso della fotografia e una riflessione sulle ragioni della pittura.
L’una si rispecchia nell’altra, annullando reciprocamente i limiti legati alla specificità degli strumenti espressivi, per rafforzare il portato concettuale di entrambe.
Allora i luoghi esplorati con l’obiettivo fotografico e rielaborati attraverso un complesso processo di scomposizione e ricomposizione, in cui l’artista sottrae e aggiunge, rilegge e trasforma, con una metodologia operativa di matrice pittorica, sia pure inevitabilmente digitalizzata, si offrono allo sguardo come il risultato di una processualità che si interroga continuamente sulla relatività della percezione ottica e sulla fisicità delle esperienze.
Cancellata ogni spontaneità, come se ogni accordo cromatico, ogni linea, ogni forma fossero esclusivo frutto di un’elaborazione mentale, capace di trasformare in artificio la naturalità, Pollidori costringe l’immagine in un’impaginazione che, annullando i riferimenti relativi a un prima e un dopo, a un vicino e un lontano, raggela il fluire dell’esistenza in un’atmosfera metafisica. Isola le figure avvolgendole in una luminosità senza splendore, che satura la stanza, svuotata di ogni soffio di vita e scava silenziosamente l’intimità di uno spazio attraversato e vissuto, fino a lasciare emergere un’assolutezza, inaspettata e spiazzante, che, infrangendo il ritmo del tempo in una sospensione in bilico sull’infinito, rivela la pervadente solitudine del presente.
Loredana Rea
Luoghi
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