Sandro Lazier "Se vuoi un posto migliore inventalo"
Il giorno 11 aprile 2017 alle ore 18.30 Interno 14_lo spazio dell’AIAC – Associazione Italiana di Architettura e Critica presenta “Se vuoi un posto migliore, inventalo” di Sandro Lazier.
La mostra affronta molto imprudentemente il tema dell’architettura da inventare e il possibile processo per realizzarla Se per molti detrattori della modernità la parola creazione, rivolta alla progettazione architettonica, produce ilarità per la presuntuosa analogia che il termine richiama alle peculiarità del padreterno, è indubbiamente vero che nessuno può negare ad un architetto la facoltà di poter inventare un modo di abitare, per sé e per gli altri, immaginando un plausibile futuro, possibilmente migliore di quello che ha ereditato. Ma per fare questa operazione occorre sicuramente una certa dose di presunzione, difetto, secondo l’autore, indispensabile a chi ritiene che il proprio lavoro consista nel migliorare la vita degli altri. Difetto, insieme con la superbia e la vanità, che non trova sicuramente il favore dei luoghi istituzionali predisposti alla formazione degli architetti, che sono le Università, luoghi più propensi a combattere la vanagloria invece che esaltare il talento.
Quindi, questa è una mostra rivolta a chi ritiene innanzitutto che il mondo abbia bisogno di cambiare faccia e l’architettura serve esattamente a questo; il cambiamento avviene per salti e non esiste un eterno ritorno alle cose di prima, per cui, paradossalmente, occorre conoscere molto bene il passato per poterlo ignorare. Chi sostiene che ignorare la storia condanni a ripeterne gli errori, ammette che la storia è una sequenza di errori. Quindi meglio evitare di riproporla. Pur vivendo in un mondo di narrazioni, in cui la componente letteraria e umanistica tende a prendere il sopravvento anche nell’architettura, con riferimenti simbolici, metaforici, allusivi, pure poetici o filosofici, occorre riportare l’architettura alla sua origine, fatta di componimenti astratti, autonomi, indifferenti alla letteratura e più prossimi al gesto che alla parola, più simili alla musica e alla danza che al romanzo. Lo spazio è e rimane il materiale principale nelle mani di un architetto. Lo spazio inteso come posto da frequentare, facendone esperienza diretta. L’architetto, quindi, non progetta cose da vedere ma posti, luoghi, spazi da abitare; pertanto, le sue fonti d’ispirazione non possono essere gli elementi architettonici canonici, o i materiali della costruzione, ma tutti gli aspetti percepiti dai sensi che sono capaci di concorrere alla vitale percezione d’un luogo.
Questa mostra è rivolta a chi confida che solo il rinnovamento del linguaggio possa produrre la maturità del gusto, educando le persone alla tolleranza e alla comprensione degli altri, convincendole che la diversità è ricchezza prima d’essere problema. Il potere magico del linguaggio artistico convince più d’ogni altra sollecitazione, sia essa filosofica, sociologica, politica, utilitaristica, antropologica.
Ovviamente sarà gradita e omaggiata la presenza anche di chi la pensa in maniera diversa e/o contraria. L’architettura, nel bene e nel male, è un atto politico molto sofisticato che ha bisogno di un confronto continuo e un giudizio severo.
La mostra si compone e si svolge in tre parti principali.
La prima parte definisce quali sono, per l’autore, gli strumenti della progettazione architettonica, con particolare riguardo soprattutto a ciò che, sempre secondo l’autore, sono gli strumenti necessari al progetto d’architettura contemporaneo. L’architettura, ribadisce l’autore, non è fatta di archi, pilastri, travi, mensole, balconi, muri e altri elementi costruttivi; nemmeno di absidi, portici, cupole, portali, prosceni, protiri, veroni, serliane, armille, bolzoni, paraste. Questi sono elementi della costruzione, non dell’architettura. L’architettura, è fatta principalmente di spazi, di gesti, di luce, di sole, di suoni, di vento, d’aria, di vegetazione, tutti componenti d’uno specifico luogo che sono illustrati in questa mostra con una serie di fotografie d’autore.
La seconda parte, muovendo da disegni, bozze, tracce che stanno su un piano, illustra il primo approccio al tema del progetto. Sono spesso solo segni danzanti, ma contengono già tutti i riferimenti fondamentali del progetto. Sono così presentati cinque lavori, due dei quali realizzati e tre immaginari.
La terza parte esprime in tre modelli plastici la dimensione spaziale dei progetti, sviluppando le bozze originarie che si animano tridimensionalmente.
Le fotografie esposte, così come i disegni in bozza, saranno disponibili alla vendita e il ricavato servirà a finanziare in parte l’allestimento.
Ci sarà un libro degli ospiti che potrà ricevere ogni genere di giudizio, possibilmente critico, senza nessuna censura.
La mostra affronta molto imprudentemente il tema dell’architettura da inventare e il possibile processo per realizzarla Se per molti detrattori della modernità la parola creazione, rivolta alla progettazione architettonica, produce ilarità per la presuntuosa analogia che il termine richiama alle peculiarità del padreterno, è indubbiamente vero che nessuno può negare ad un architetto la facoltà di poter inventare un modo di abitare, per sé e per gli altri, immaginando un plausibile futuro, possibilmente migliore di quello che ha ereditato. Ma per fare questa operazione occorre sicuramente una certa dose di presunzione, difetto, secondo l’autore, indispensabile a chi ritiene che il proprio lavoro consista nel migliorare la vita degli altri. Difetto, insieme con la superbia e la vanità, che non trova sicuramente il favore dei luoghi istituzionali predisposti alla formazione degli architetti, che sono le Università, luoghi più propensi a combattere la vanagloria invece che esaltare il talento.
Quindi, questa è una mostra rivolta a chi ritiene innanzitutto che il mondo abbia bisogno di cambiare faccia e l’architettura serve esattamente a questo; il cambiamento avviene per salti e non esiste un eterno ritorno alle cose di prima, per cui, paradossalmente, occorre conoscere molto bene il passato per poterlo ignorare. Chi sostiene che ignorare la storia condanni a ripeterne gli errori, ammette che la storia è una sequenza di errori. Quindi meglio evitare di riproporla. Pur vivendo in un mondo di narrazioni, in cui la componente letteraria e umanistica tende a prendere il sopravvento anche nell’architettura, con riferimenti simbolici, metaforici, allusivi, pure poetici o filosofici, occorre riportare l’architettura alla sua origine, fatta di componimenti astratti, autonomi, indifferenti alla letteratura e più prossimi al gesto che alla parola, più simili alla musica e alla danza che al romanzo. Lo spazio è e rimane il materiale principale nelle mani di un architetto. Lo spazio inteso come posto da frequentare, facendone esperienza diretta. L’architetto, quindi, non progetta cose da vedere ma posti, luoghi, spazi da abitare; pertanto, le sue fonti d’ispirazione non possono essere gli elementi architettonici canonici, o i materiali della costruzione, ma tutti gli aspetti percepiti dai sensi che sono capaci di concorrere alla vitale percezione d’un luogo.
Questa mostra è rivolta a chi confida che solo il rinnovamento del linguaggio possa produrre la maturità del gusto, educando le persone alla tolleranza e alla comprensione degli altri, convincendole che la diversità è ricchezza prima d’essere problema. Il potere magico del linguaggio artistico convince più d’ogni altra sollecitazione, sia essa filosofica, sociologica, politica, utilitaristica, antropologica.
Ovviamente sarà gradita e omaggiata la presenza anche di chi la pensa in maniera diversa e/o contraria. L’architettura, nel bene e nel male, è un atto politico molto sofisticato che ha bisogno di un confronto continuo e un giudizio severo.
La mostra si compone e si svolge in tre parti principali.
La prima parte definisce quali sono, per l’autore, gli strumenti della progettazione architettonica, con particolare riguardo soprattutto a ciò che, sempre secondo l’autore, sono gli strumenti necessari al progetto d’architettura contemporaneo. L’architettura, ribadisce l’autore, non è fatta di archi, pilastri, travi, mensole, balconi, muri e altri elementi costruttivi; nemmeno di absidi, portici, cupole, portali, prosceni, protiri, veroni, serliane, armille, bolzoni, paraste. Questi sono elementi della costruzione, non dell’architettura. L’architettura, è fatta principalmente di spazi, di gesti, di luce, di sole, di suoni, di vento, d’aria, di vegetazione, tutti componenti d’uno specifico luogo che sono illustrati in questa mostra con una serie di fotografie d’autore.
La seconda parte, muovendo da disegni, bozze, tracce che stanno su un piano, illustra il primo approccio al tema del progetto. Sono spesso solo segni danzanti, ma contengono già tutti i riferimenti fondamentali del progetto. Sono così presentati cinque lavori, due dei quali realizzati e tre immaginari.
La terza parte esprime in tre modelli plastici la dimensione spaziale dei progetti, sviluppando le bozze originarie che si animano tridimensionalmente.
Le fotografie esposte, così come i disegni in bozza, saranno disponibili alla vendita e il ricavato servirà a finanziare in parte l’allestimento.
Ci sarà un libro degli ospiti che potrà ricevere ogni genere di giudizio, possibilmente critico, senza nessuna censura.
Luoghi
www.presstletter.com tel. 349 4945612
su appuntamento - ingresso libero