Ruben Montini "Il Vuoto Addosso"
Urgenza, radicalità, romanticismo e nostalgia caratterizzano la ricerca di Ruben Montini. La sua necessità di evidenziare l’indebolimento di quei legami che derivano dal senso di appartenenza e dalla partecipazione alla vita collettiva di una determinata comunità, insieme all’esigenza di sublimare alcuni aspetti della propria vita privata determinano una produzione di lavori in cui ricami, rappresentazioni fotografiche, installazioni e performance diventano istantanee, precarie e fragili. Un linguaggio visivo intimo e rivolto verso la storia della performance che l’artista attualizza e rilegge costantemente.
Il vuoto addosso è una sensazione privata, dilatata e ampliamente diffusa nella realtà attuale, che viene originata prevalentemente dalla frammentazione e dal deterioramento delle certezze identitarie, relazionali, ideologiche, sociali e politiche che invadono la percezione della contemporaneità e la contraddistinguono da ogni altra singola epoca. Un vuoto contro cui ci si scontra quotidianamente e che sembra avvolgere, arginare, soffocare e assediare ogni nuovo stimolo. In questo caso specifico, l’artista si concentra su un vuoto emotivo e personale che diventa radicalmente poetico e politico. Infatti, non esiste atto più politico che la condivisione dell’intimità di una persona che cerca una rivoluzione, una protesta e una difesa dei propri diritti solo attraverso la normalizzazione della propria quotidianità. Non esiste istanza più politica che l’emergenza di evidenziare la vulnerabilità e le incertezze di un modello comportamentale che differisce dall’oggettivizzazione e dalle prescrizioni imposte. Un tentativo di democratizzazione della differenza, di eguaglianza nella possibilità di esercitare le proprie decisioni e, in fin dei conti, di legittimazione del proprio rifiuto alla normalità, senza indugiare davanti a un abisso giuridico e legislativo che si ripercuote, senza possibilità di obiettare, nella vita quotidiana.
La performance “Il vuoto attorno”, presentata durante il giorno dell’inaugurazione introduce la mostra e stimola fin dall’inizio la riflessione su ciò che viene nascosto, su ciò che è solo suggerito in modo romantico ma mai palesato. Una sorta di abbraccio sospeso in completa solitudine in cui Ruben Montini, sorretto soltanto da alcune strutture in acciaio utilizzate per le impalcature, si rapporta a un’alterità celata. Un rapporto che dovrebbe essere interpersonale, ma che diventa forzatamente unilaterale e in cui si evince il bisogno di nascondere l’altro perché il contesto culturale in cui si inserisce non gli permette di farlo apparire. La paura, la rabbia, l’esitazione e il dubbio si insinuano, altresì, quando questo bisogno rischia di allontanare ogni possibile relazione, quando questa viene a mancare o finisce irrimediabilmente e il tentativo di costruzione di un nuovo amore rimane un atto fallimentare. Su questa impronta possiamo osservare la rilettura della restituzione formale di alcune performance precedenti o il lavoro in cui è il ricamo a creare un buio totale intorno all’artista, racchiudendolo nella propria solitudine. Il romanticismo cede davanti alla nostalgia, mentre la malinconia, a sua volta, diventa quasi rassegnazione nella serie di broccati sardi in cui la fine di una storia personale viene accennata attraverso l’efficacia del ricordo come qualcosa di più appagante del ricordato stesso. Una mancanza, in relazione a quella fine, che viene sottolineata nell’ultimo lavoro in mostra in cui alcuni spartiti sono completamente ricamati, lasciando visibili solo le pause musicali, sole le assenze, solo il vuoto che resta addosso.
Il vuoto addosso è una sensazione privata, dilatata e ampliamente diffusa nella realtà attuale, che viene originata prevalentemente dalla frammentazione e dal deterioramento delle certezze identitarie, relazionali, ideologiche, sociali e politiche che invadono la percezione della contemporaneità e la contraddistinguono da ogni altra singola epoca. Un vuoto contro cui ci si scontra quotidianamente e che sembra avvolgere, arginare, soffocare e assediare ogni nuovo stimolo. In questo caso specifico, l’artista si concentra su un vuoto emotivo e personale che diventa radicalmente poetico e politico. Infatti, non esiste atto più politico che la condivisione dell’intimità di una persona che cerca una rivoluzione, una protesta e una difesa dei propri diritti solo attraverso la normalizzazione della propria quotidianità. Non esiste istanza più politica che l’emergenza di evidenziare la vulnerabilità e le incertezze di un modello comportamentale che differisce dall’oggettivizzazione e dalle prescrizioni imposte. Un tentativo di democratizzazione della differenza, di eguaglianza nella possibilità di esercitare le proprie decisioni e, in fin dei conti, di legittimazione del proprio rifiuto alla normalità, senza indugiare davanti a un abisso giuridico e legislativo che si ripercuote, senza possibilità di obiettare, nella vita quotidiana.
La performance “Il vuoto attorno”, presentata durante il giorno dell’inaugurazione introduce la mostra e stimola fin dall’inizio la riflessione su ciò che viene nascosto, su ciò che è solo suggerito in modo romantico ma mai palesato. Una sorta di abbraccio sospeso in completa solitudine in cui Ruben Montini, sorretto soltanto da alcune strutture in acciaio utilizzate per le impalcature, si rapporta a un’alterità celata. Un rapporto che dovrebbe essere interpersonale, ma che diventa forzatamente unilaterale e in cui si evince il bisogno di nascondere l’altro perché il contesto culturale in cui si inserisce non gli permette di farlo apparire. La paura, la rabbia, l’esitazione e il dubbio si insinuano, altresì, quando questo bisogno rischia di allontanare ogni possibile relazione, quando questa viene a mancare o finisce irrimediabilmente e il tentativo di costruzione di un nuovo amore rimane un atto fallimentare. Su questa impronta possiamo osservare la rilettura della restituzione formale di alcune performance precedenti o il lavoro in cui è il ricamo a creare un buio totale intorno all’artista, racchiudendolo nella propria solitudine. Il romanticismo cede davanti alla nostalgia, mentre la malinconia, a sua volta, diventa quasi rassegnazione nella serie di broccati sardi in cui la fine di una storia personale viene accennata attraverso l’efficacia del ricordo come qualcosa di più appagante del ricordato stesso. Una mancanza, in relazione a quella fine, che viene sottolineata nell’ultimo lavoro in mostra in cui alcuni spartiti sono completamente ricamati, lasciando visibili solo le pause musicali, sole le assenze, solo il vuoto che resta addosso.
Luoghi
http://www.prometeogallery.com/ +39 0226924450 +39 (0) 283538236
orario:dal Lunedì al Venerdì 11.00/19.00 - Sabato 14/18