29/04/2003  al 16/05/2003

ROBERTO ROCCHI: Equilibri

ROBERTO ROCCHI: Equilibri Da oltre un decennio, a partire dalla prima metà degli anni novanta, la ricerca di Roberto Rocchi si articola con lucida coerenza intorno ad un’unica specifica problematica, il raggiungimento di complessi equilibri tra differenti e antitetiche proposizioni: plasticità e levità, astrazione e concretezza, resistenza e fragilità, rigidità e morbidezza, stasi e movimento, memoria e immanenza. Ad interessare l’artista è l’inconciliabile congiunzione degli opposti. Per questo nelle sue opere tutto ciò che ad un primo impatto potrebbe sembrare contraddittorio diventa possibile: la cristallina durezza della pietra si trasforma in impalpabile superficie che la luce accarezza e scava dolcemente, la geometria sottesa alle forme si scioglie nel ricercato gioco dei concavi e dei convessi, la plastica densa eppure sorprendentemente appiattita evoca una profondità e una massa momentaneamente fagocitate entro i limiti di un piano infinito, la solennità delle immagini sapientemente evocate si stempera nella morbidezza di un ritmo lieve a smagliare il rigido ordito della rigorosa composizione, mentre l’antico concetto del fare scultura si coniuga con il desiderio mai sopito di una costruzione astratta per rinnovare sapientemente la necessità di raggiungere l’armonia. L’intento programmatico di Rocchi è, infatti, quello di creare con gli strumenti offerti dal linguaggio dell’arte una tangibile armonia tra la materia e la forma, tra lo spazio e il tempo, coordinate entro cui da sempre la scultura si dibatte dialogicamente. Per Rocchi la questione fondamentale di tutta la scultura moderna, il rapporto materia-forma-spazio-tempo, non si pone, quindi, in termini di antitesi né di sintesi, quanto piuttosto nella reciproca interazione dell’uno con l’altro. La materia è quella tradizionale: il marmo, che lo scultore lavora con la maestria di chi conosce ogni segreto della tecnica e, soprattutto, le caratteristiche intrinseche della pietra, per assoggettarla ad una progettualità raffinata che mira a cavare dalla durezza della massa forme sorprendentemente morbide, aeree quasi. È come se originariamente la forma fosse soltanto una superficie, tesa nello spazio come un diaframma, una membrana sottile eppure estremamente resistente, che sottoposta alla pressione di forze differenti si modificasse con leggere ondulazioni, inaspettati rigonfiamenti pronti a sparire se non fossero intrappolati nella materia cristallina. Il risultato è quello di un coerente tentativo di integrare la forma e lo spazio dando vita ad un rilievo schiacciato in cui le forme perdono la concretezza della mimesi per acquistare in forza poetica, in capacità evocativa. D’altra parte lo spazio non è un’entità astratta indefinibile, ma entità reale, concreta, luogo dell’esistenza vissuta, nel quale le forme prendono vita diventando immagini, simulacri, statue a preservare la memoria del già vissuto per poter poi continuare. Il tempo, invece, agisce sullo spazio e, di conseguenza, sulle forme modificandole, le scava mostrando ciò che normalmente in scultura non è visibile, la parte interna, alimentando il continuo slittamento di piani tra interiore ed esteriore. Nascono così le opere realizzate in questi ultimi anni in cui l’invenzione lascia lontano il modello per risolvere la composizione in una plastica conclusa nella sua perentoria misura, mentre la luce rifrangendosi e vibrando crea un illusorio movimento, un impercettibile battito di ali, un palpito tenue che scivola veloce sulle superfici. Opere in cui il marmo sembra perdere la sua connaturata pesantezza per librarsi nell’aria come stoffa sottile, mentre il ferro per contrapposto sembra ristabilire una calibrata solidità, impedendo alla pietra di allargarsi nello spazio per poi sparire in esso. Sono sculture che si nutrono di una solennità antica, rigorose ed austere nella continua tensione verso una elementarità assoluta, primordiale, potente a voler dimostrare che il lavoro di Rocchi si svolge in stretta connessione dialettica con una linea tematica inequivocabilmente storica, perché nulla è più lontano dalle sue intenzioni che una tensione inquietantemente utopistica verso una sperimentazione del nuovo ad ogni costo. Anzi, la sua ricerca tende inequivocabilmente a preservare il concetto tradizionale di scultura, inteso come evento titanico, monumentale sia pure per confrontarsi costruttivamente con la molteplicità spaesante della realtà contemporanea.

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