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03/02/2004 al 20/02/2004 FERNANDO REA: Lo sguardo di Medusa
La sperimentazione versatile e costantemente in itinere di Fernando Rea orienta il suo interesse verso soggetti mitologici perlomeno dall’inizio degli anni ’90. Già nel ’91 infatti con la mostra Il mito mitologico e la successiva teorizzazione della Mitarte nel manifesto del ’93, vengono da lui fissate fondanti poetiche e coordinate di riferimento per elaborare il mito in relazione all’arte – impegno che lo riguarda a tutt’oggi con la mostra Lo sguardo di Medusa –, di cui traccia le modalità necessarie a contestualizzarle nel presente. Dice infatti Rea nel citato manifesto ”La Mitarte si riappropria dei contenuti mitici-simbolici-ermetici della tradizione e li innesta nella modernità, in perfetto equilibrio tra passato e presente” (1). Se la rappresentazione del mito mediata dalle fonti letterarie e artistiche classiche orienta la narrazione verso una dimensione favolosa della pittura, necessariamente dimostrativa della sospensione temporale e della dimensione sovrastorica che gli sono proprie, il linguaggio pittorico puntualizzato dall’artista in questi anni gli conferma raggiunto il ricercato equilibrio tra passato e presente. I miti, le imprese eroiche, i cavalieri omerici pronti alla battaglia, le divinità olimpiche depositarie del destino degli uomini, da lui rappresentati con il dovuto corredo di attributi che spaziano dagli elmi agli scudi ai cocchi ai templi colonnati, sono pittoricamente risolti con tocchi velocizzati, compendiari e gestuali in una resa cromatica accesissima e brillante. Per la qualcosa risulterebbe logico riandare mentalmente alla cromia della statuaria arcaica o agli sfondi drammatizzati delle metope, od anche alla pittura vascolare. Così come sarebbe ancora del tutto coerente pensare, per il formato allungato in orizzontale di certi suoi acrilici – Amazzoni e guerrieri del ’98, Ippolita e le Amazzoni, L’offerta del fuoco, anch’essi dello stesso anno -, qui citati come esempi retrodatati, tuttavia preceduti da due consimili del ’94 (2), e seguiti dai più recenti Baccanale: la nascita del vino e L’ebbrezza di Dioniso, entrambi del 2000 (3); alle paratassi inscenate nei fregi ionici, alla loro narrazione continua, che a nastro, perimetrando templi e celle induceva alla lettura visiva di gesta eroiche e conflitti tra dei e uomini. Eppure il racconto mitico da Rea configurato come successione narrativa di episodi, spesso svolto in orizzontale e verticale oppure come serie di fotogrammi complementari laterali ad una azione principale centrale – è il caso di Crocifissione dionisiaca del ’92 (4) -, rivela consonanze, oltre che con la rappresentazione classica e preclassica anche con la comunicazione pubblicitaria odierna, che alle sue origini, non casualmente studiò e riprese la sintetizzazione della decorazione vascolare e potè trarre ispirazione dai motivi a fregio, proprio per lo studio lineare delle forme e la contrapposizione di figure a sfondi che ne deduceva. L’artista infatti in certe opere esposte a Boville Ernica nel 2001 e in Mediterraneo - un’altra sua mostra dello stesso anno - crea sequenze narrative come avviene con le strips dei fumetti, leggibili su strisce uniche orizzontali o verticali, o sovrapposte come si riscontra nelle pagine di questo specifico tipo di editoria. Il racconto mitico così sviluppato, relazionandosi con alcuni spunti suggeriti dal sistema divulgativo di comunicazione contemporanea, mostra alcune affinità con il linguaggio pubblicitario – affrontato da Rea più sistematicamente però solo a date successive -, seppure risulti ancora prevalentemente d’intonazione ironicamente teatrale, nell’avvalersi di gestualità e messe in posa eroiche intenzionalmente enfatiche. Amazzoni e guerrieri, le battaglie combattute rabbiosamente con furore di lance, dai rilievi antichi, passando per i bozzetti di David, geniale regista, oltre che pittore, di spettacolari cortei rivoluzionari, e attraverso scelte di trovarobato di costumi e di attrezzeria scenica indicativamente epocali, giungono al presente. Un presente che rilegge la straordinarietà degli eventi mitici filtrandola attraverso l’occhio disincantato di questi dei-eroi-cantanti-attori disposti di proscenio, sullo sfondo di fondalini dipinti. Il mito così messo in scena da Rea fino al 2001 è un mito tutto interno alla pittura, seppure si mostri dotato di una sua attitudine giocosamente teatrale. Un mito, dunque, rappresentato per immagini o come si direbbe teatralmente, per quadri successivi, realizzato con colori brillantissimi, in parte cancellati per non indulgere nel descrivere troppo, per suggerire più che rappresentare spazi, che soltanto unidirezionali, sono attraversati dagli eventi terreni e ultramondani di dei ed eroi. Ma anche da segni traiettanti, sciabolati come indicazioni guida di entrate e uscite per gli dei-cantanti di questo melodramma mitico, di cui il regista Rea orchestra i movimenti, ora solenni, a volte concitati stagliati su scenari rigorosamente olimpici. Con le opere realizzate appositamente per la mostra Lo sguardo di Medusa , l’artista, pur nel solco dell’indagine sul mito che sperimenta omai da lungo tempo inserisce nuovi dati interpretativi e di ricerca – malgrado le avvisaglie, come si è detto, si retrodatino perlomeno al ’94 -, tali, a mio avviso, da consentire ai rivisitati miti olimpici, e non solo, di trasmutare nella quotidianità delle nuove mitologie urbane costantemente sotto i nostri occhi. Con ciò realizzando la compiuta adesione ai principi della Mitarte teorizzati già dal ’93 – peraltro dati come premessa di questa intera trattazione -, che pur appropiandosi della tradizione intendevano stabilire avvenuto l’equilibrio tra passato e presente. C’è da dire che la continuità tra passato e presente, vista anche come sottesa coerenza all’intera produzione artistica di Rea, è da lui stesso enunciata nei passi successivi del manifesto citato, con cui egli suffraga la Mitarte della tradizione ermetica, dei miti naturistici, dell’alchimia esoterica, della realtà metafisica (mitologica) che definisce la “distanza” storica dalla “realtà” quotidiana (5). Di questa continuità, sostenuta costantemente dal paradosso, dall’ironia, dalla messa in scena, e in sostanza giocata su alcuni nodi contenutistici fondamentali caratterizzanti il suo intero operato ormai cinquantennale, parla anche lo stesso Perna nel suo articolato testo del ’90 La pittura come cerchio sacrale(6). Ma chi già dal ’78, oltre a vedere l’indissolubilità, anche se cronologicamente sfalsata, tra la pittura, scultura ed esperienza teatrale dell’artista, ha percepito anche nelle sue giungle mediterranee un sentore di cartellone, per via dell’artificiosità di quella natura macroscopica, questo è stato solo Crispolti(7). E quel sentore di cartellone pubblicitario, negli anni 70 da Rea realizzato ingigantendo pittoricamente oltre ogni scala dimensionale possibile piante di fagioli, salamandre e rane negli acquitrini, attraverso un suo modo estetico e non descrittivo di vedere, come ebbe a dire a Micacchi(8), ma che certamente in parte era di derivazione post pop, è oggi da lui risolto piuttosto con campionature di immagini prelevate direttamente da riviste e quotidiani di grande divulgazione. La messa in scena pittorica ludicamente teatrale precedente, cede ora il passo, in questa mostra Lo sguardo di Medusa - le cui opere sono il risultato degli ultimi tre anni di ricerca dell’artista, in nuce già presenti in alcune tecniche miste presentate nella citata mostra di Boville Ernica(9) - alle complesse trasmutazioni che trasformano banali immagini quotidiane in mitografie da rotocalco. L’innafferrabile strada del sogno alchemico; dell’ambiguità narcisistica del doppio speculare; del negativo e del positivo; della natura ingigantita macroscopicamente; delle composizioni di grandi immagini aprospettiche come grandi puzzle leggibili per parti perché volutamente prive di unità: tutto questo, le sue esperienze passate e presenti proiettate nel futuro, sono da Rea manipolate e trasmutate con sapienza negromantica nelle storie dei suoi nuovi miti metropolitani. I bozzetti dei vari Mercurio, Il giudizio di Paride, Amazzoni, sono ora realizzati con foto ritagliate dai giornali, assemblate e ritoccate pittoricamente. Matrici potenzialmente duplicabili all’infinito in copie ingrandibili o riducibili per intero o per parti, falsate nei colori resi più squillanti e saturi dalle riproduzioni fotomeccaniche a cui sono sottoposte. Miti seriali, dunque, mutanti tra manualità e tecnologia, riprodotti in immagini rese ancor più artificiali dalle superfici laccate. Tra i temi nodali trattati da Rea tornano in gioco gli elementi acqua e terra con Il mito di Orfeo e di Flora, l’antica divinità italica preposta alla fioritura e dall’immortale giovinezza, qui divenuta una teenager sovrastata dagli attributi di macroscopiche rose rosse. Le opere di questa mostra, orchestrate tutte tra il macro e il micro, tra la pittura e la riproduzione fotomeccanica, ottenute con ingrandimenti di particolari e ripetizioni differenti, rimettono in gioco le costanti della ricerca di questo artista, oggi accresciute dalle informazioni massificate della carta stampata. La trasmutazione si dilata allora oltre il confine dei metalli e delle materie elementali dell’alchimia esoterica. E le top model di oggi rigenerano più antichi miti classici aggiornandoli sulle pettinature rasta della moderna Pentesilea dell’Amazzone, o con la bellezza da copertina della Dea Fortuna in posa accattivante. Cosi, sulla linea di attualizzazione mitografica al corrente dei nuovi desiderata imposti alle immagini richieste dai nuovi media, i lavori di Rea per la mostra Lo sguardo di Medusa, disposti a parete come encausti di un’ideale camera picta – come lui stesso mi dice – sono percepibili anche come grandi manifesti dispiegati lungo i muri della metropolitana, in parte cancellati e per questo leggibili per strati successivi sovrapposti. Quasi delle affiches plastificate e duplicate in negativo e positivo come immagini riflesse ottenute con procedure parzialmente tradizionali riprodotte ingrandite con più nuove tecnologie. Antiche e più recenti iconografie si confrontano così sulle pareti sottoponendo il mito a sempre nuove e spaesanti trasmutazioni. Seppure le farfalle coloratissime che compaiono tra i capelli delle Ninfe dell’aria ricordino in qualche modo le Naturae dell’84(10; e Lo sguardo di Medusa pronto a pietrificare chi la guardi senza avvalersi dello specchio, sia incorniciato da intrecciati e guizzanti serpenti, che alla lontana rammentano quelli coloratissimi delle nature snaturalizzate delle giungle mediterranee. Note 1- Il manifesto della Mitarte fu lanciato da Fernando Rea in occasione della personale al Centro Documentazione Artepoesia Contemporanea Angelus Novus, L’Aquila, 20 aprile 1993 2- le opere citate sono documentate in : Fernando Rea. Viaggio nel mito 1989-2001 (catalogo della mostra con testo critico di M. Carlino), Boville Ernica, tip. Bianchini, Frosinone 2001, pp. 48-48; pp. 78-79 3- entrambe le opere sono fotografate in: Mediterraneo (catalogo della mostra con testo critico di M. Teresa Valeri), Ferentino, tip. Bianchini, Frosinone 2001, pp.12-13 4- Fernando Rea, Viaggio nel mito 1989-2001, op. cit., p. 42 5- vedi nota n. 1 6- La pittura come cerchio sacrale (catalogo della mostra con testi di V. Perna, P. Broussard, A. Cardamone), Frosinone 1990 7- E. Crispolti, Fernando Rea, Carte Segrete edit., Roma 1978, p. 8 8- D. Micacchi, F. Gismondi, F. Rea, Galleria Ciak, Roma 1973 9- Fernando Rea. Viaggio nel mito 1989-2001, op. cit., pp. 84-89 10- Fernando Rea. Naturae (testi di M. Teresa Safarano e S. Caligini Di Domenico), Frosinone 1984.