Prisco de Vivo "E l o i s a"
A cura di: Francesco Gallo Mazzeo - Testo di Nino Velotti
SignumUn'opera unica di Prisco de Vivo
Nome è l’impronta maggiore che si possa dare ad ogni giusta, vera,
persona, per portarla fuori dalla negatività, dalla assenza,intesa
come dispersione, dissolvimento, dovuto alla mancata nascita o
alla morte, della leva vocativa capace di sollevare caos in mondo e
nel caso specifico di suscitare, la quiddità, la personalità, la spiritualità,
che sta sul verbo, senza di cui non è possibile la parola, il lievito
di un pensiero, l’innalzarsi metafisico, astrattivo, sulla folla visibile.
Un assolvimento cronologico, storico, necessario, per dare fondazione
per dare alimento ad ogni furore, che possa essere profetico, che
possa essere rituale, che possa essere poetico, che possa essere passionale,
permettendo quella generazione di idee e di forme, che possano essere
atto di nascita di invisibile che diventa visibile, di potenza che si fa atto.
Stile come cultura che è conoscenza e comprensione, come lo
sono storia e filosofia, unite insieme in una tensione asimmetrica,
a dare profondità nello stesso momento in cui s’aspira all’atto,
alla vocazione al gesto orientato, come premessa e conseguenza di
una conoscenza, che è confidenza verso l’ignoto, che continua ad
essere tale, anzi prosegue la sua distinzione in lungo e in largo,
tanto più, quanto più s’allunga un raggio di luce e il suo diametro.
Una conferma vale una lievitazione, che è una conseguenza della
vita e quindi della vitalità, che non cessa mai di dare segni, miti,
di quanto sia necessario avere radici, per innalzamento e per un
cammino, che deve diventare mappa, perché tutto ciò che è vuoto
deve sempre confrontare il noto con l’ignoto, perché poggia su entrambi
l’alternarsi di luce ed ombra, come essenzialità di ogni codice
che esige la forza tetragona dell’esegesi e la leggerezza dell’allegoria.
Poetica è affiancamento dell’effimero al sostanziale, lingua e parola,
più che mai essenziale, appartenente ad una metafisica delle conoscenze
che permette al contenitore spirituale di essere tale, diventando laboratorio
ideale e reale della fantasia, nelle sue oscillazioni sul bello che
è misura e simmetria, sul sublime che è infinitudine e ineffabilità,
ma che hanno in comune il tessuto stellare dell’armonia, che
permette al piccolo di stare col grande e allo sconfinato di colloquiare
con l’infinitesimale, in una misturazione alchemica e sapienziale.
Attualità come scorrimento, come temporalità, che per quanto
abbia virgole e punti e cronologia discontinua e non sistematica,
ha una sua propria scivolosità che fa percepire più come concettualità
che non come effettività, perché nel momento dell’accadimento non
è coscienza e quando diventa coscienza appartiene ad un passato,
appena accennato, ma ciò nonostante, inesorabile, all’imprescindibile.
Scoperta è la ribalta dell’inattesa, una illuminazione magica, altra,
nella misura temporale dell’ordinanza, originarietà di un cammino di idee
e continuità che sono coperte da polvere, da caligine, da colpe e chimere,
come le idee platoniche, vengono musicate, significate, visibilizzate,
tattilizzate, ammesse nel circolo delle virtù, che sono cardini per stare
nel mondo, da sole, nella verticalità della mistica e della leggerezza
come itineraria, nella orizzontalità, come salire montagne, andare
per stelle e incontrare se stessi in forma difforme, d’uno e di tutti.
E Pluribus unum, nel segno di una ricerca continua, di una scalare
immensa fede nell’universo, che contiene tutto e che muoviamo in
via psicologica, per aggiungerci ed affermare certezze, dell’hic et nunc,
mentre l’ignoto è in mezzo a noi, motore immobile, altro, oltre, di vita.
Nella confidenza che il tempo dei cicli stia concludendo, la rivoluzione
e alla fase di discente di Kali yuga nel segno dell’acquario e subentri
quello ascendente, verso l’intelligenza, la grazia, nel cuore del sapere.
Specchio, non significa immobilità, tutt’altro, vuol dire sguardo mobile,
magico, sulla transizione, sulla velocità di porta e trasporta, carro con
una carica di attualità, che spesso non permette una vera conoscenza,
ma una presentazione a mezzo ludico e tragico, in forma tremolante
di schemi che si affollano da tutte le parti, esaltando e deprimendo,
in forma plastica che non prevede assestamenti, perché lo spettacolo
continua, ma non è sempre lo stesso, non è più quello, uno qualsiasi.
L’unica cosa che sappiamo è appunto, che l’ignoto si espande, è grande,
sempre più grande e lo stesso concetto di perimetro diventa insignificante,
macinando teorie su teorie, metafore su metafore, annunciandoci
territorialità “assurde” energie oscure, rispetto a cui I tempi del cielo, della
volta celeste, del firmamento erano risposte a domande e non domande (…).
Enigma come universo sconosciuto che contiene imprevisti, forme e
contenuti instabili, di cui non conosciamo l’origine, né il destino,
lo vediamo solo un tratto di percorso, troppo breve per conoscerlo,
ammesso che ci convenga farlo nostro e non averlo sempre come
fascinoso orizzonte in grado di scatenare la nostra fantasia e
non farla rinchiudere in una monade, senza più porte, né finestre.
É stato oro, è stato argento, è stato bronzo, continua ad
essere ferro, anche se lo chiamiamo in modi diversi, perché tratta
sempre dello smarrimento, in un sublime che si espande, si espande
e ci lascia con sempre nuovi interrogativi, perché tutto tende a
scivolare, ma verrà un giorno, un mese, un anno, per alzare lo sguardo .
Verranno un giorno pensieri e forme, perfettamente espresse, come
la verità prima che le oscurità e le profondità la coprissero e
riprenderanno, in eterna primavera, con radici profonde di terra
e terra, fronde e fronde, fiori e fiori, imperturbabili come firmamenti.
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