Pino Pascali. Avanguardia del 900
A cura di: Graziano Menolascina
Cortile Lagrange – Galleria delle arti inaugura, mercoledì 5 novembre alle ore 19.00, la mostra dedicata a Pino Pascali, figura centrale della scena artistica italiana e internazionale degli anni Sessanta. Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Roma, sotto la guida di Toti Scialoya, Pascali ha attraversato, nella sua breve ma intensa ed eclettica carriera, gli ambienti dello spettacolo, della pubblicità, del cinema e soprattutto dell’arte. È, infatti, a partire dal 1958, un anno prima del diploma all’Accademia, che l’artista pugliese inizia la sua collaborazione come creativo con Sandro Lodolo della casa di produzione pubblicitaria “Lodolo Film” e comincia la sua attività di aiuto-scenografo in RAI.
È però sui palcoscenici dell’arte che Pino Pascali si impone come protagonista quando inaugura nel gennaio del 1965 la sua prima mostra personale alla Galleria la Tartaruga di Plinio De Martiis esponendo i Nudi, Muro di pietra, Colosseo, Ruderi sul prato e Biancavvela. Una mostra che dichiara subito la sua posizione e la sua avventura nell'arte tesa tra gioco, infanzia, mito e nomadismo. In questo intenso viaggio Pascali percorre vorticosamente i territori del passato e le dinamiche del presente. Un pellegrinaggio che lo porta a frequentare in maniera trasversale gli ambienti delle Avanguardie e delle Neoavanguardie, dal Futurismo al Surrealismo al Dada, fino alle esperienze a lui contemporanee del New Dada, del Nouveau Réalisme, della Pop Art e dell'Arte Povera, trovandosi immerso in quel periodo storico della «crisi dell'arte come "scienza europea"», espressione con cui Giulio Carlo Argan ha definito quegli anni.
Proprio in questa situazione di cambiamento, di trasformazione epocale, culturale, sociale, politica, Pino Pascali utilizza il suo nomadismo concettuale per confrontarsi col suo tempo: entra nei linguaggi dei mass-media, prediligendo quelli della fiction, attingendo all'universo a lui familiare del fumetto, delle insegne pubblicitarie, dei cartoni animati, del kitsch, del caroselle per ricodificarli in strutture altre. Pascali gioca con le immagini, le decodifica per mostrarle sotto una nuova veste materica e concettuale. Cannoni, missili, mitragliatrici, dinosauri, delfini, balene, i bachi da setola, si presentano come “finte sculture”, così amava definirle l’artista, come “giocattoli” o “trofei di caccia” che creano un cortocircuito di senso e significato. Per Pascali lo spettacolo è invenzione, gioco improvvisato con tecniche volutamente primitive e con i materiali stessi di cui la gente normalmente si serve per fare altre cose: inventa e fabbrica oggetti e immagini di cui non dissimula l’effimera, superflua e splendente bellezza formale.
Gli anni Sessanta sono segnati fortemente dall’influsso della Pop Art che porta le immagini urbane e la produzione industriale nelle opere d’arte. Inoltre, il mito della metropoli americana con i suoi grattacieli altissimi e alienanti, questi luoghi artificiali per eccellenza, ricchi di vitalità e di tensioni esistenziali, il grande ossimoro della cultura statunitense di consumo collettivo e solitudine individuale, affascinò molto Pascali per la produzione di molti suoi lavori. Ma in quegli stessi anni l’artista deve confrontarsi con una realtà completamente differente, con la città di Roma, in cui vive e lavora, che è, come ha sottolineato Achille Bonito Oliva, «produttrice di ben altre immagini, di un passato divenuto paesaggio e storia ed innanzitutto storia dell’arte. Anche qui batte la vita moderna, ma filtrata da una condizione storica in cui i simboli e i miti non sono il grattacielo ma il Colosseo e i Fori romani».
Pascali non poteva prescindere da questa realtà, infatti, è riuscito ad amalgamare forme archetipiche e tradizionali della cultura italiana con le forme infantili del gioco e le icone e i feticci della cultura pop. Pascali ha saputo costruire un suo universo abitato dalla quotidianità e dalla società dei consumi di massa. «Col gesto dell’appropriazione», ha scritto Palma Bucarelli, «si afferma la assoluta arbitrarietà dell’agire dell’artista nei confronti di tutto un sistema economico-sociale, fondato sul possesso e l’accrescimento del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope o spazzoloni, ma bruchi giganteschi, significa ingannare contemporaneamente la natura con l’industria e l’industria con la natura. Il gesto di appropriazione è il gesto tipico del bambino-selvaggio, di colui che non conosce le regole. La poetica della materia (non della cosa) trovata, afferma il diritto che ciascuno ha di interpretare il mondo, di utilizzarlo come gli pare… Il momento successivo è quello della manipolazione, che non è affatto un processo di elaborazione perché non comporta, come nel lavoro dell’artigiano, un raffinamento della materia. Questa, infatti, non accresce il proprio valore, ma cambia di significato». Pascali intensifica questo cambiamento di significato dando alle sue realizzazioni atipiche una connotazione scenografica e performativa, una dimensione sensoriale e simbolica alterata.
Le opere di Pino Pascali sono “costruzioni” d’immagini, oggetti, forme, sostanze, che raccontano, attraverso una figuratività ironica, teatrale e giocosa, un mondo in continua trasformazione, un sistema economico, sociale, politico e culturale che modifica la vita e il comportamento dell’essere umano. La materia, allora, frutto della produzione industriale standardizzata e delle dinamiche del consumo, l’idea del materiale comune, la pratica artigianale e l’universo tecnologico, diventano gli strumenti per costruire e dare una nuova struttura all’opera d’arte. L’opera diventa un manufatto elaborato con la febbrilità del costruttore che però non usa materiali pertinenti, ma si serve come un bricoleur di elementi spuri piegati ad un altro uso. L’immagine fa tutt’uno con il materiale adoperato e il materiale diventa esso stesso immagine, in quanto invade e pervade l’opera del suo spessore, che a sua volta asseconda la rappresentazione.
Così, i metalli, il legno, la carta, la tela, il sughero, le corde, le plastiche, in generale i materiali che l’industria produce, diventano elementi e strutture di sperimentazione per una dimensione diversa dello spazio dell’opera. Pascali naviga, così, sui confini incerti di una continua tensione tra reale e immaginario, tra realtà e finzione, diventando, parafrasando Baudrillard, “il perfetto impostore e simulatore che parte dal vero e arriva al falso, all’artificiale, all’iperreale”. Una storia breve ma fondamentale quella di Pino Pascali che Cortile Lagrange – Galleria delle arti vuole ricordare attraverso una cinquantina di opere - dipinti, collage, disegni e tecniche miste - creando un “teatro iconico” che ripercorre alcuni aspetti della sua “fantasia esplosiva”, le tappe e le figure fondamentali del suo lavoro.
È però sui palcoscenici dell’arte che Pino Pascali si impone come protagonista quando inaugura nel gennaio del 1965 la sua prima mostra personale alla Galleria la Tartaruga di Plinio De Martiis esponendo i Nudi, Muro di pietra, Colosseo, Ruderi sul prato e Biancavvela. Una mostra che dichiara subito la sua posizione e la sua avventura nell'arte tesa tra gioco, infanzia, mito e nomadismo. In questo intenso viaggio Pascali percorre vorticosamente i territori del passato e le dinamiche del presente. Un pellegrinaggio che lo porta a frequentare in maniera trasversale gli ambienti delle Avanguardie e delle Neoavanguardie, dal Futurismo al Surrealismo al Dada, fino alle esperienze a lui contemporanee del New Dada, del Nouveau Réalisme, della Pop Art e dell'Arte Povera, trovandosi immerso in quel periodo storico della «crisi dell'arte come "scienza europea"», espressione con cui Giulio Carlo Argan ha definito quegli anni.
Proprio in questa situazione di cambiamento, di trasformazione epocale, culturale, sociale, politica, Pino Pascali utilizza il suo nomadismo concettuale per confrontarsi col suo tempo: entra nei linguaggi dei mass-media, prediligendo quelli della fiction, attingendo all'universo a lui familiare del fumetto, delle insegne pubblicitarie, dei cartoni animati, del kitsch, del caroselle per ricodificarli in strutture altre. Pascali gioca con le immagini, le decodifica per mostrarle sotto una nuova veste materica e concettuale. Cannoni, missili, mitragliatrici, dinosauri, delfini, balene, i bachi da setola, si presentano come “finte sculture”, così amava definirle l’artista, come “giocattoli” o “trofei di caccia” che creano un cortocircuito di senso e significato. Per Pascali lo spettacolo è invenzione, gioco improvvisato con tecniche volutamente primitive e con i materiali stessi di cui la gente normalmente si serve per fare altre cose: inventa e fabbrica oggetti e immagini di cui non dissimula l’effimera, superflua e splendente bellezza formale.
Gli anni Sessanta sono segnati fortemente dall’influsso della Pop Art che porta le immagini urbane e la produzione industriale nelle opere d’arte. Inoltre, il mito della metropoli americana con i suoi grattacieli altissimi e alienanti, questi luoghi artificiali per eccellenza, ricchi di vitalità e di tensioni esistenziali, il grande ossimoro della cultura statunitense di consumo collettivo e solitudine individuale, affascinò molto Pascali per la produzione di molti suoi lavori. Ma in quegli stessi anni l’artista deve confrontarsi con una realtà completamente differente, con la città di Roma, in cui vive e lavora, che è, come ha sottolineato Achille Bonito Oliva, «produttrice di ben altre immagini, di un passato divenuto paesaggio e storia ed innanzitutto storia dell’arte. Anche qui batte la vita moderna, ma filtrata da una condizione storica in cui i simboli e i miti non sono il grattacielo ma il Colosseo e i Fori romani».
Pascali non poteva prescindere da questa realtà, infatti, è riuscito ad amalgamare forme archetipiche e tradizionali della cultura italiana con le forme infantili del gioco e le icone e i feticci della cultura pop. Pascali ha saputo costruire un suo universo abitato dalla quotidianità e dalla società dei consumi di massa. «Col gesto dell’appropriazione», ha scritto Palma Bucarelli, «si afferma la assoluta arbitrarietà dell’agire dell’artista nei confronti di tutto un sistema economico-sociale, fondato sul possesso e l’accrescimento del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope o spazzoloni, ma bruchi giganteschi, significa ingannare contemporaneamente la natura con l’industria e l’industria con la natura. Il gesto di appropriazione è il gesto tipico del bambino-selvaggio, di colui che non conosce le regole. La poetica della materia (non della cosa) trovata, afferma il diritto che ciascuno ha di interpretare il mondo, di utilizzarlo come gli pare… Il momento successivo è quello della manipolazione, che non è affatto un processo di elaborazione perché non comporta, come nel lavoro dell’artigiano, un raffinamento della materia. Questa, infatti, non accresce il proprio valore, ma cambia di significato». Pascali intensifica questo cambiamento di significato dando alle sue realizzazioni atipiche una connotazione scenografica e performativa, una dimensione sensoriale e simbolica alterata.
Le opere di Pino Pascali sono “costruzioni” d’immagini, oggetti, forme, sostanze, che raccontano, attraverso una figuratività ironica, teatrale e giocosa, un mondo in continua trasformazione, un sistema economico, sociale, politico e culturale che modifica la vita e il comportamento dell’essere umano. La materia, allora, frutto della produzione industriale standardizzata e delle dinamiche del consumo, l’idea del materiale comune, la pratica artigianale e l’universo tecnologico, diventano gli strumenti per costruire e dare una nuova struttura all’opera d’arte. L’opera diventa un manufatto elaborato con la febbrilità del costruttore che però non usa materiali pertinenti, ma si serve come un bricoleur di elementi spuri piegati ad un altro uso. L’immagine fa tutt’uno con il materiale adoperato e il materiale diventa esso stesso immagine, in quanto invade e pervade l’opera del suo spessore, che a sua volta asseconda la rappresentazione.
Così, i metalli, il legno, la carta, la tela, il sughero, le corde, le plastiche, in generale i materiali che l’industria produce, diventano elementi e strutture di sperimentazione per una dimensione diversa dello spazio dell’opera. Pascali naviga, così, sui confini incerti di una continua tensione tra reale e immaginario, tra realtà e finzione, diventando, parafrasando Baudrillard, “il perfetto impostore e simulatore che parte dal vero e arriva al falso, all’artificiale, all’iperreale”. Una storia breve ma fondamentale quella di Pino Pascali che Cortile Lagrange – Galleria delle arti vuole ricordare attraverso una cinquantina di opere - dipinti, collage, disegni e tecniche miste - creando un “teatro iconico” che ripercorre alcuni aspetti della sua “fantasia esplosiva”, le tappe e le figure fondamentali del suo lavoro.
Luoghi
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