Paolo Peroni. So flat, so high
Un secolo e mezzo prima che Occupy riempisse le strade e le piazze del mondo, la città moderna era già fucina d’idee rivoluzionarie, e fu dallo spazio urbano che soffiarono i primi venti del cambiamento sociale e politico.
Da sempre le città sono teatri che mettono in scena il pensiero utopico, ma anche centri di accumulazione capitalistica, e quindi spazi di conflitto contro quei pochi che, controllando l'accesso alle risorse comuni, determinano la qualità della vita di molti. L'urbanizzazione ha giocato un ruolo primario nell'assorbimento del surplus di capitale, alimentando processi di "distruzione creatrice" con l’unico fine di creare profitto. Questo conflitto latente è esploso periodicamente in grandi rivolte popolari, come nella Comune di Parigi del 1871, a seguito della riconfigurazione urbanistica voluta da Napoleone III e realizzata da Haussmann, quando i cittadini espropriati si sollevarono per imporre il governo rivoluzionario sulla capitale. O come nel 1968, con i grandi movimenti sociali urbani che agitarono Chicago e Berlino, Praga e Città del Messico, o ancora, nell'estate 2011, con i riots che hanno bruciato le periferie di Londra e con l'ondata d’indignazione contro il potere finanziario che ha scosso America ed Europa.
Ed è proprio lo sviluppo urbano che induce Paolo Peroni a concepire i propri lavori. Il diritto dell’uomo a prendere parte all’urbe è il main topic del suo progetto espositivo che viene declinato in base alle diverse sfaccettature rappresentative di quelle norme fisiologiche insite nella collettività, assimilate nelle nostre vite in maniera non cosciente.
Nelle sue lastre di cemento - Untitled, l’artista pone l’accento sul costante moto di costruzione e demolizione, attività tipica del modello capitalistico: quando una lastra si rompe, genera la piantina di una città vista dall’alto e i frammenti che ne derivano sono accomunabili ai pattern di Turing, ossia a delle micro-strutture visibili, ordinate, spazialmente periodiche e temporalmente stazionarie.
Comprendendo che il sovrasviluppo urbano sia un problema a livello globale, Paolo Peroni con Aprivativo ci offre la sua intima denuncia di un fenomeno che non sembra arrestarsi: un calco di grattacielo in gomma siliconica appesa al contrario, avvolto dal ferro e ricoperto di bitume. Non più quindi una struttura che arriva a ‘grattare il cielo’ ma proprio la sua antitesi vestita di quel composto che altro non è se non che una miscela di residuati derivanti dalla distillazione del greggio.
L'opera di cemento e catrame – Senza Titolo - non lascia spazio a fraintendimenti ed è un derivato del paesaggio antropico che viviamo abitualmente: non aggiunge – e non toglie - niente al nostro quotidiano, si consuma lentamente fino a scomparire come le tante immagini che giorno dopo giorno compongono la nostra vita senza che nessuno le abbia richieste.
Quasi sé esemplifica la necessità dell’individuo di soddisfare il proprio desiderio di auto-soggettazione: è il risultato di un’esplosione di cui si raccoglie solo il vuoto lasciato dalla deflagrazione. Una violenta espansione di gas liberati durante una detonazione, un momento da poche frazioni di secondo, che innesca una serie di conseguenze sulle quali non si ha completa padronanza oltre alla precisa idea di ciò che diventeranno. Si sa solamente che avranno un effetto irreversibile.
L’uomo sceglie di vivere nel nucleo urbano per tutelare la propria libertà: essere parte di una pluralità significa avere maggiori possibilità di affermazione personale ma ha anche dei risvolti negativi. Tutti i lavori in esposizione sono rappresentativi di questa doppia valenza e frutto del percorso di ricerca dell’artista.
Da sempre le città sono teatri che mettono in scena il pensiero utopico, ma anche centri di accumulazione capitalistica, e quindi spazi di conflitto contro quei pochi che, controllando l'accesso alle risorse comuni, determinano la qualità della vita di molti. L'urbanizzazione ha giocato un ruolo primario nell'assorbimento del surplus di capitale, alimentando processi di "distruzione creatrice" con l’unico fine di creare profitto. Questo conflitto latente è esploso periodicamente in grandi rivolte popolari, come nella Comune di Parigi del 1871, a seguito della riconfigurazione urbanistica voluta da Napoleone III e realizzata da Haussmann, quando i cittadini espropriati si sollevarono per imporre il governo rivoluzionario sulla capitale. O come nel 1968, con i grandi movimenti sociali urbani che agitarono Chicago e Berlino, Praga e Città del Messico, o ancora, nell'estate 2011, con i riots che hanno bruciato le periferie di Londra e con l'ondata d’indignazione contro il potere finanziario che ha scosso America ed Europa.
Ed è proprio lo sviluppo urbano che induce Paolo Peroni a concepire i propri lavori. Il diritto dell’uomo a prendere parte all’urbe è il main topic del suo progetto espositivo che viene declinato in base alle diverse sfaccettature rappresentative di quelle norme fisiologiche insite nella collettività, assimilate nelle nostre vite in maniera non cosciente.
Nelle sue lastre di cemento - Untitled, l’artista pone l’accento sul costante moto di costruzione e demolizione, attività tipica del modello capitalistico: quando una lastra si rompe, genera la piantina di una città vista dall’alto e i frammenti che ne derivano sono accomunabili ai pattern di Turing, ossia a delle micro-strutture visibili, ordinate, spazialmente periodiche e temporalmente stazionarie.
Comprendendo che il sovrasviluppo urbano sia un problema a livello globale, Paolo Peroni con Aprivativo ci offre la sua intima denuncia di un fenomeno che non sembra arrestarsi: un calco di grattacielo in gomma siliconica appesa al contrario, avvolto dal ferro e ricoperto di bitume. Non più quindi una struttura che arriva a ‘grattare il cielo’ ma proprio la sua antitesi vestita di quel composto che altro non è se non che una miscela di residuati derivanti dalla distillazione del greggio.
L'opera di cemento e catrame – Senza Titolo - non lascia spazio a fraintendimenti ed è un derivato del paesaggio antropico che viviamo abitualmente: non aggiunge – e non toglie - niente al nostro quotidiano, si consuma lentamente fino a scomparire come le tante immagini che giorno dopo giorno compongono la nostra vita senza che nessuno le abbia richieste.
Quasi sé esemplifica la necessità dell’individuo di soddisfare il proprio desiderio di auto-soggettazione: è il risultato di un’esplosione di cui si raccoglie solo il vuoto lasciato dalla deflagrazione. Una violenta espansione di gas liberati durante una detonazione, un momento da poche frazioni di secondo, che innesca una serie di conseguenze sulle quali non si ha completa padronanza oltre alla precisa idea di ciò che diventeranno. Si sa solamente che avranno un effetto irreversibile.
L’uomo sceglie di vivere nel nucleo urbano per tutelare la propria libertà: essere parte di una pluralità significa avere maggiori possibilità di affermazione personale ma ha anche dei risvolti negativi. Tutti i lavori in esposizione sono rappresentativi di questa doppia valenza e frutto del percorso di ricerca dell’artista.
Luoghi
www.dechiricogalleriadarte.com 011 835357
Martedì-mercoledì: 14:00–19:00 - Giovedì, venerdì, sabato: 11:00–19:00 - In altri giorni e orari su appuntamento