Paolo Morello. Blown
Galleria Studio è orgogliosa di inaugurare la sua nuova sede con la mostra Blown, fotografie di Paolo Morello. La mostra sarà inaugurata sabato 4 ottobre 2014 alle 18,00 in via Bentivegna 11, Palermo e resterà aperta fino al 1o novembre 2014.
Visite solo su appuntamento: galleria@issf.it. - www.paolomorellostudio.com. L’ingresso è, come sempre, totalmente gratuito.
La mostra.
Blown è una riflessione sul vento. Un vento impetuoso, potente, che scuote fronde di querce e increspa la superficie del mare. Un vento teso, che muove le chiome di Uriel, l’angelo ‘luce di Dio’. Blown è una meditazione sulla coscienza, sul tempo, sulla fotografia.
«Ogni fotografia che scattiamo — spiega l’Autore — consapevolmente o meno ridefinisce una idea di fotografia. Non mi interessa un paesaggio in quanto rappresentazione di uno specifico luogo, ma per l’idea di fotografia che sottende, rinnova, sovverte, e talvolta addirittura sconvolge. Fotografare il vento appare un paradosso ai molti ancora legati all’idea che la fotografia serva a fissare un istante, a congelare un frammento di realtà. Mai frase fu più insulsa e perniciosa quanto ‘l’instant décisif’, la celebre espressione con la quale Henri Cartier-Bresson credeva di aver spiegato l’essenza della fotografia. Ho fotografato alberi scossi dal vento con tempi di posa di oltre venti minuti. Quale di questi venti minuti è ‘l’instant décisif’? Ciascuno di essi, o l’insieme, la somma, il fluire del tempo? L’idea che io ho della fotografia è che essa non serva a rappresentare l’istante, ma l’eternità. Volevo rappresentare l’eternità decisiva».
Gli alberi, i volti fotografati da Morello sembrano pervasi da una inquietudine; nascondono cifre simboliche della nostra contemporaneità travagliata, di questa ‘età dell’ansia’. «L’ansia non mi appartiene — dice ancora il fotografo —. Si arriva prima o poi a una età (la mia, non più giovane) nella quale anche i rovelli di una ricerca incessante, inevitabilmente destinata a rimanere inconclusa e irrisolta, non sono più figli dell’ansia. Invecchiando la coscienza si placa. Si accetta che la curiosità di vedere, di capire, e dunque di fotografare, possa essere una condizione dello spirito con la quale convivere, non più fare a cazzotti. Simboli, certo. È la sorte delle mie fotografie. Non sono bravo a rappresentare eventi, non mi interessa e non saprei come farlo. Ho sempre considerato le mie fotografie come meri strumenti, né belli né brutti, capaci di aiutare me e chi le guarda a far luce».
‘Far luce’ sembra essere un tema ricorrente nelle fotografie. In questa mostra, a questo motivo è dedicato il trittico di Uriel, l’arcangelo il cui nome significa appunto ‘luce di Dio’. «Non può esistere nome più dolce per un fotografo di Uriel, la fiammeggiante, Uriel ‘luce di Dio’. Degli attributi di Dio che la tradizione giudaico-cristiana ha affidato ai nomi degli angeli, Uriel mi pare contenga la sfida più intensa. Il punto è: finché continueremo a pensare alla luce come alla condizione grazie alla quale possiamo vedere, resteremo confinati a una idea bassamente referenziale, oggettiva di fotografia. Accendo un faro per vedere il volto che intendo fotografare. E con questo, se sono bravo a disporre le ombre, ottengo al più un buon ritratto. Ossia molto poco, ovvero niente. Una semplice fotografia. Se invece provo a pensare alla luce non più quale condizione, ma quale oggetto della mia stessa osservazione, il campo della mia consapevolezza improvvisamente si espande. Penso ed uso la fotografia come strumento di una rivelazione. Il secreto più inaccessibile per ogni fotografo è fotografare la luce. Il vento che scuote i capelli di Uriel la fiammeggiante tradisce proprio questo segreto, questa tensione».
Visite solo su appuntamento: galleria@issf.it. - www.paolomorellostudio.com. L’ingresso è, come sempre, totalmente gratuito.
La mostra.
Blown è una riflessione sul vento. Un vento impetuoso, potente, che scuote fronde di querce e increspa la superficie del mare. Un vento teso, che muove le chiome di Uriel, l’angelo ‘luce di Dio’. Blown è una meditazione sulla coscienza, sul tempo, sulla fotografia.
«Ogni fotografia che scattiamo — spiega l’Autore — consapevolmente o meno ridefinisce una idea di fotografia. Non mi interessa un paesaggio in quanto rappresentazione di uno specifico luogo, ma per l’idea di fotografia che sottende, rinnova, sovverte, e talvolta addirittura sconvolge. Fotografare il vento appare un paradosso ai molti ancora legati all’idea che la fotografia serva a fissare un istante, a congelare un frammento di realtà. Mai frase fu più insulsa e perniciosa quanto ‘l’instant décisif’, la celebre espressione con la quale Henri Cartier-Bresson credeva di aver spiegato l’essenza della fotografia. Ho fotografato alberi scossi dal vento con tempi di posa di oltre venti minuti. Quale di questi venti minuti è ‘l’instant décisif’? Ciascuno di essi, o l’insieme, la somma, il fluire del tempo? L’idea che io ho della fotografia è che essa non serva a rappresentare l’istante, ma l’eternità. Volevo rappresentare l’eternità decisiva».
Gli alberi, i volti fotografati da Morello sembrano pervasi da una inquietudine; nascondono cifre simboliche della nostra contemporaneità travagliata, di questa ‘età dell’ansia’. «L’ansia non mi appartiene — dice ancora il fotografo —. Si arriva prima o poi a una età (la mia, non più giovane) nella quale anche i rovelli di una ricerca incessante, inevitabilmente destinata a rimanere inconclusa e irrisolta, non sono più figli dell’ansia. Invecchiando la coscienza si placa. Si accetta che la curiosità di vedere, di capire, e dunque di fotografare, possa essere una condizione dello spirito con la quale convivere, non più fare a cazzotti. Simboli, certo. È la sorte delle mie fotografie. Non sono bravo a rappresentare eventi, non mi interessa e non saprei come farlo. Ho sempre considerato le mie fotografie come meri strumenti, né belli né brutti, capaci di aiutare me e chi le guarda a far luce».
‘Far luce’ sembra essere un tema ricorrente nelle fotografie. In questa mostra, a questo motivo è dedicato il trittico di Uriel, l’arcangelo il cui nome significa appunto ‘luce di Dio’. «Non può esistere nome più dolce per un fotografo di Uriel, la fiammeggiante, Uriel ‘luce di Dio’. Degli attributi di Dio che la tradizione giudaico-cristiana ha affidato ai nomi degli angeli, Uriel mi pare contenga la sfida più intensa. Il punto è: finché continueremo a pensare alla luce come alla condizione grazie alla quale possiamo vedere, resteremo confinati a una idea bassamente referenziale, oggettiva di fotografia. Accendo un faro per vedere il volto che intendo fotografare. E con questo, se sono bravo a disporre le ombre, ottengo al più un buon ritratto. Ossia molto poco, ovvero niente. Una semplice fotografia. Se invece provo a pensare alla luce non più quale condizione, ma quale oggetto della mia stessa osservazione, il campo della mia consapevolezza improvvisamente si espande. Penso ed uso la fotografia come strumento di una rivelazione. Il secreto più inaccessibile per ogni fotografo è fotografare la luce. Il vento che scuote i capelli di Uriel la fiammeggiante tradisce proprio questo segreto, questa tensione».
Luoghi
www.paolomorellostudio.com 091583893
palazzo Moncada - Visite solo su appuntamento