Narciso Bresciani. Orizzonti
A cura di: Flaminio Gualdoni
Michel Butor svolge a proposito di Pablo Picasso una riflessione fondamentale: “La nozione di un’opera come gruppo di opere, di una tela come implicazione di altre tele intorno a essa, è diventata così fondamentale per l’artista che perfino un quadro isolato diventa un caso particolare d’insieme”.
Tale suggestione diventa essenziale di fronte alla serie degli Orizzonti di Narciso Bresciani, frutto maturo e alto della sua ricerca d’un fare scultura in cui conti solo l’intensità, la qualità poetica. E serie specifica, fitta e tesa, in seno all’esplorazione radiante di possibili plastici che lo contraddistingue.
Da gran tempo egli ha deciso di affrontare la pratica della terra, ma sottraendosi e sottraendola all’apparato retorico della disciplina del ceramista. Non palcoscenico di tecnicismi, la ceramica è per lui lavorare, in concretissimo far di mano, nelle misure della materia primaria, dell’auscultarla nel suo volersi far forma a partire dall’indistinto: ma un indistinto pieno di echi, e di presagi.
La terra implica in se stessa il valore d’orizzonte, confine e cesura ma insieme ragion d’essere dello stare e del decidersi della forma, della sua vocazione alla verticalità, alla continuità e alla frattura significativa, all’impuro e a un valore alto d’intima geometria.
Di opera in opera Bresciani, in complicità amorevole, lascia che la terra si declini assettandosi ben oltre la filigrana del naturale e si nutra d’umori che son già simbolo, trascorrimento a una dimensione che, pur fisicissimamente radicata, riverberi processi di pensiero e flussi affettivi.
Per questo egli sceglie anche di sottrarre queste opere all’aspettativa pienamente scultorea che se ne potrebbe avere, riportandole a una dimensione di rilievo che implica coerentemente anche la suggestione – per convenzione e, per più d’un aspetto, d’apparenza – del pittorico. Anche il colorire è coinvolto in questo processo, dunque: ma è, la sua, matière couleur, sostanza e non tegumento illusionistico, congenere e non altra rispetto alle superfici su cui si stende.
Bresciani agisce dunque in un ambito di contaminazione consapevole tra retaggi di codice – la ceramica, lo scultoreo, il pittorico – di tutti consapevole ma di nessuno adepto e men che meno sacerdote.
Non s’avverte, in queste opere, il retrogusto della liturgia fabrile, l’offerta all’apprezzamento estetico. Son lavori, i suoi, che nascono nel lungo, concentrato, intenso, a volte digrignante ma mai fittizio, tempo d’anima dello studio: e nei suoi silenzi. Ed è un tempo tutto introverso, esclusivo, di pienezza interrogativa di sé.
Sono opere che Bresciani non esibisce all’ammirazione. Altro è il suo orgoglio. Egli le pone tra se stesso e lo spettatore come un segnale e un invito pudico. E chiede di guardarle, davvero guardarle.
Flaminio Gualdoni
Tale suggestione diventa essenziale di fronte alla serie degli Orizzonti di Narciso Bresciani, frutto maturo e alto della sua ricerca d’un fare scultura in cui conti solo l’intensità, la qualità poetica. E serie specifica, fitta e tesa, in seno all’esplorazione radiante di possibili plastici che lo contraddistingue.
Da gran tempo egli ha deciso di affrontare la pratica della terra, ma sottraendosi e sottraendola all’apparato retorico della disciplina del ceramista. Non palcoscenico di tecnicismi, la ceramica è per lui lavorare, in concretissimo far di mano, nelle misure della materia primaria, dell’auscultarla nel suo volersi far forma a partire dall’indistinto: ma un indistinto pieno di echi, e di presagi.
La terra implica in se stessa il valore d’orizzonte, confine e cesura ma insieme ragion d’essere dello stare e del decidersi della forma, della sua vocazione alla verticalità, alla continuità e alla frattura significativa, all’impuro e a un valore alto d’intima geometria.
Di opera in opera Bresciani, in complicità amorevole, lascia che la terra si declini assettandosi ben oltre la filigrana del naturale e si nutra d’umori che son già simbolo, trascorrimento a una dimensione che, pur fisicissimamente radicata, riverberi processi di pensiero e flussi affettivi.
Per questo egli sceglie anche di sottrarre queste opere all’aspettativa pienamente scultorea che se ne potrebbe avere, riportandole a una dimensione di rilievo che implica coerentemente anche la suggestione – per convenzione e, per più d’un aspetto, d’apparenza – del pittorico. Anche il colorire è coinvolto in questo processo, dunque: ma è, la sua, matière couleur, sostanza e non tegumento illusionistico, congenere e non altra rispetto alle superfici su cui si stende.
Bresciani agisce dunque in un ambito di contaminazione consapevole tra retaggi di codice – la ceramica, lo scultoreo, il pittorico – di tutti consapevole ma di nessuno adepto e men che meno sacerdote.
Non s’avverte, in queste opere, il retrogusto della liturgia fabrile, l’offerta all’apprezzamento estetico. Son lavori, i suoi, che nascono nel lungo, concentrato, intenso, a volte digrignante ma mai fittizio, tempo d’anima dello studio: e nei suoi silenzi. Ed è un tempo tutto introverso, esclusivo, di pienezza interrogativa di sé.
Sono opere che Bresciani non esibisce all’ammirazione. Altro è il suo orgoglio. Egli le pone tra se stesso e lo spettatore come un segnale e un invito pudico. E chiede di guardarle, davvero guardarle.
Flaminio Gualdoni
Luoghi
www.cityart.it 02 87167065
orario:Aperto da merc. a sab. 15,00 – 19,00 - Ingresso libero