Miriam Wuttke "Summit fever"
A cura di: Testo di Barbara Fragogna
La Fusion Art Gallery presenta SUMMIT FEVER, mostra personale di Miriam Wuttke in occasione della quale l’artista multidisciplinare berlinese presenterà un gruppo di lavori performativi, fotografici e installativi. Le opere in mostra sono il risultato della ricerca dell’artista sui temi della perdita: la solitudine, l'ansia, il silenzio, il superamento dei confini; l'abbraccio del decadimento fisico e dell'esperienza di pre-morte che si rivelano e svelano in alta quota. La mostra fa parte di COLLA la nuova piattaforma delle gallerie torinesi e rientra nel circuito di NEsxT Independent Art Network.
Push, go, rest. Return. / Spingi, vai, fermati Torna.
di Barbara Fragogna
“The emotional anxiety of everyday life is confusing, ambiguous and diffuse, and you don’t know the source of it. In the mountains, the emotion is fear, and the source is clear: if I fall, I die.” – Mattew Barlow
Summit Fever è il desiderio compulsivo di raggiungere la vetta della montagna ad ogni costo e, per estensione, l’ossessione del perseguimento di un fine.
PUSH.
Miriam Wuttke spinge in avanti forzando teoria, desiderio, necessità e stimolo in azione praticando il trekking in alta montagna: ciclicamente, ferocemente, avidamente, sensualmente, disperatamente. La spinta è reazione, carica, bomba. Il gesto del suo corpo performativo perfora il momento statico del pensiero tormentato fine-a-se-stesso che si forma-contorce-avviluppa nella mediocrità della routine quotidiana per prorompere, solidificandosi, in una monomania mitica, rocciosa e immobile: la vetta. La spinta è slancio ascendente, fuga necessaria per trovare la solitudine del pensiero originale, aspirazione. La spinta è già risoluzione.
GO.
L’artista va avanti, compie, consegue uno stato ascetico/materico/ferino che le permette di cercare, sondare, scandagliare il pensiero violento delle sue ansie e paure più intime, subconsce e vivide contrapponendole alla paura più tangibile e banale del “crepaccio/morte”. Per mezzo di espedienti counterfobici* stana le bestie minacciose dei suoi reconditi disagi per portarle alla luce e quindi affrontarle. L’isolamento, la rarefazione, la solitudine, la mancanza, il vuoto aspiratore delle valli, degli anfratti, dei crepacci, il vortice di neve secca, di nuvole basse, di sole bruciante, gli incontri fortuiti con elementi autoctoni, edifici deturpati, oggetti semi-estinti, tracce di altre identità di passaggio, il bosco irto-alto, onnisciente cattedrale di natura umana/specchio mirabile, alterazione e alter ego. Avanti per il contingente metafisico buio di sé, il pieno/vuoto sensoriale da tenere in equilibrio grazie alla forza di volontà, alla resistenza. Resistenza. L’esperienza dell’andare avanti in Miriam Wuttke è ostinazione, scelta consapevole, non è MAI inerzia. La sua forza è un borderline estremamente bilanciato. La tensione paradossale della sua pratica, essenzialmente performativa anche nell’utilizzo degli oggetti installati, nella fotografia e in qualsiasi mezzo decida di utilizzare all’occorrenza, trionfa in un climax culminante in un fiato di sospensione statica. Un passaggio. Il momento, quel momento in cui si arriva al punto. La linea del bordo.
REST.
Arriva, fermati, riposati, sparisci, guarda. La cima, la meta, il fine perseguito. Ecco il momento in cui il pensiero interiore ruminato si confonde con la crudele bellezza del circostante. In cui il self si riscopre chimico. Dopo che i limiti del corpo hanno costretto i limiti della psiche a scendere a patti col dissolvimento, con la scomparsa nell’immanente, con la trasparenza dell’ego. Miriam Wuttke combacia la performance atletica alla performance artistica costruendo passo dopo passo un’esperienza creativa, l’opera. Le fotografie, le impressioni, le forme rubate al paesaggio (o al simulacro del paesaggio). Gli stimoli marinano e si addensano in ciò che, in fase successiva, diverrà documento e rielaborazione. Sparire in cima. Coazione ottimizzata. Risoluzione.
RETURN.
Torna. E adesso? Sei un eroe, glorioso apice, successo infallibile. E dopo? Se l’andata ha nutrito e digerito un viluppo di pensieri autoanalitici, se la vetta è stata lo stallo, la sospensione risolutiva, un’effimera pace congelata, se il ritorno fosse la morte? Se il tornare rimanesse vuoto, vano, patetico, se nel ritorno al quotidiano ogni atto compiuto fosse riformattato, perso, disprezzato? Se non fossi tornato? Se fossi scomparso? Se fossi morto? Il ritorno di Miriam Wuttke è la sua unica e personale sintesi creativa, una dichiarazione d’intenti, il miglioramento dell’esperienza, l’installazione organica e la rielaborazione dell’atto pragmatico in azione simbolica, la condivisione con l’altro, la narrazione. Nel ritorno, morphing nell’esposizione, l’artista risponde alle domande specifiche della febbre post-epifanica con una produzione di opere che hanno lo scopo di ri-materializzane il ricordo. Rievocando un gesto di cui il pubblico ha solo una concezione letteraria e romantica, l’artista traduce l’intricato percorso svolto negli ultimi tre anni in un linguaggio condivisibile e usufruibile. L’intento è nel dialogo e nel confronto. Dal conseguimento di un risultato personale inseguito, stanato, ghermito grazie alla solitudine più totale, Miriam Wuttke non può fare a meno di tornare per raccontarcelo.
Push, go, rest. Return. / Spingi, vai, fermati Torna.
di Barbara Fragogna
“The emotional anxiety of everyday life is confusing, ambiguous and diffuse, and you don’t know the source of it. In the mountains, the emotion is fear, and the source is clear: if I fall, I die.” – Mattew Barlow
Summit Fever è il desiderio compulsivo di raggiungere la vetta della montagna ad ogni costo e, per estensione, l’ossessione del perseguimento di un fine.
PUSH.
Miriam Wuttke spinge in avanti forzando teoria, desiderio, necessità e stimolo in azione praticando il trekking in alta montagna: ciclicamente, ferocemente, avidamente, sensualmente, disperatamente. La spinta è reazione, carica, bomba. Il gesto del suo corpo performativo perfora il momento statico del pensiero tormentato fine-a-se-stesso che si forma-contorce-avviluppa nella mediocrità della routine quotidiana per prorompere, solidificandosi, in una monomania mitica, rocciosa e immobile: la vetta. La spinta è slancio ascendente, fuga necessaria per trovare la solitudine del pensiero originale, aspirazione. La spinta è già risoluzione.
GO.
L’artista va avanti, compie, consegue uno stato ascetico/materico/ferino che le permette di cercare, sondare, scandagliare il pensiero violento delle sue ansie e paure più intime, subconsce e vivide contrapponendole alla paura più tangibile e banale del “crepaccio/morte”. Per mezzo di espedienti counterfobici* stana le bestie minacciose dei suoi reconditi disagi per portarle alla luce e quindi affrontarle. L’isolamento, la rarefazione, la solitudine, la mancanza, il vuoto aspiratore delle valli, degli anfratti, dei crepacci, il vortice di neve secca, di nuvole basse, di sole bruciante, gli incontri fortuiti con elementi autoctoni, edifici deturpati, oggetti semi-estinti, tracce di altre identità di passaggio, il bosco irto-alto, onnisciente cattedrale di natura umana/specchio mirabile, alterazione e alter ego. Avanti per il contingente metafisico buio di sé, il pieno/vuoto sensoriale da tenere in equilibrio grazie alla forza di volontà, alla resistenza. Resistenza. L’esperienza dell’andare avanti in Miriam Wuttke è ostinazione, scelta consapevole, non è MAI inerzia. La sua forza è un borderline estremamente bilanciato. La tensione paradossale della sua pratica, essenzialmente performativa anche nell’utilizzo degli oggetti installati, nella fotografia e in qualsiasi mezzo decida di utilizzare all’occorrenza, trionfa in un climax culminante in un fiato di sospensione statica. Un passaggio. Il momento, quel momento in cui si arriva al punto. La linea del bordo.
REST.
Arriva, fermati, riposati, sparisci, guarda. La cima, la meta, il fine perseguito. Ecco il momento in cui il pensiero interiore ruminato si confonde con la crudele bellezza del circostante. In cui il self si riscopre chimico. Dopo che i limiti del corpo hanno costretto i limiti della psiche a scendere a patti col dissolvimento, con la scomparsa nell’immanente, con la trasparenza dell’ego. Miriam Wuttke combacia la performance atletica alla performance artistica costruendo passo dopo passo un’esperienza creativa, l’opera. Le fotografie, le impressioni, le forme rubate al paesaggio (o al simulacro del paesaggio). Gli stimoli marinano e si addensano in ciò che, in fase successiva, diverrà documento e rielaborazione. Sparire in cima. Coazione ottimizzata. Risoluzione.
RETURN.
Torna. E adesso? Sei un eroe, glorioso apice, successo infallibile. E dopo? Se l’andata ha nutrito e digerito un viluppo di pensieri autoanalitici, se la vetta è stata lo stallo, la sospensione risolutiva, un’effimera pace congelata, se il ritorno fosse la morte? Se il tornare rimanesse vuoto, vano, patetico, se nel ritorno al quotidiano ogni atto compiuto fosse riformattato, perso, disprezzato? Se non fossi tornato? Se fossi scomparso? Se fossi morto? Il ritorno di Miriam Wuttke è la sua unica e personale sintesi creativa, una dichiarazione d’intenti, il miglioramento dell’esperienza, l’installazione organica e la rielaborazione dell’atto pragmatico in azione simbolica, la condivisione con l’altro, la narrazione. Nel ritorno, morphing nell’esposizione, l’artista risponde alle domande specifiche della febbre post-epifanica con una produzione di opere che hanno lo scopo di ri-materializzane il ricordo. Rievocando un gesto di cui il pubblico ha solo una concezione letteraria e romantica, l’artista traduce l’intricato percorso svolto negli ultimi tre anni in un linguaggio condivisibile e usufruibile. L’intento è nel dialogo e nel confronto. Dal conseguimento di un risultato personale inseguito, stanato, ghermito grazie alla solitudine più totale, Miriam Wuttke non può fare a meno di tornare per raccontarcelo.
Luoghi
http://www.fusionartgallery.net +39 3493644287