Mauro Maurizio Palumbo / Lucia Schettino
Mauro Maurizio Palumbo “Io sono stanco” Performance
Mauro Maurizio Palumbo è probabilmente da tempo lì nella sala, quasi immobile sul pavimento. Senza visibili reazioni vede entrare il pubblico. Accanto a lui, oltre al piccolo cartello che dichiara “Io sono stanco”, pochi oggetti: alcuni necessari per sopravvivere (acqua, pane, sigarette, una coperta); altri legati ad attività che sembrano essersi allontanate. Tre sedie sono schierate per fare accomodare chi voglia fermarsi a guardare. Un pannello con diverse immagini annuncia le tre repliche della sua performance, già proposta al Museo Archeologico di Napoli ai piedi dell’Ercole Farnese e prevista per marzo al CAMUSAC Cassino Museo di Arte Contemporanea. Il pubblico, attraverso le immagini stampate sul pannello, entra in possesso di altri dati per farsi un’idea di quel che accade. Il sassofono di Antonio Raia, improvvisando, accompagna Palumbo nel suo star fermo, oppure si rivolge agli oggetti che lo circondano o alle immagini del pannello. Alcuni dei presenti immancabilmente fotografano. Luisa Terminiello documenta la scena con istantanee: quattro, come nelle altre due tappe della performance. Una di queste prende posto sul pannello, le restanti sono appunti visivi.
[Con la collaborazione di Salvatore Camerlingo. La grafica del pannello è di Marica Amendola e Giuseppina Elefante]
Lucia Schettino "Osservatori"
Il sassofono cambia registro: ora mette in movimento Lucia Schettino, che efficientemente appende su due pareti i suoi lavori. Sulla prima, a pochi centimetri l’uno dall’altro, in tre file sovrapposte ciascuna di cinque quadri, finiscono quindici fogli in cornice della rivista “Rinascita” del Partito Comunista dipinti dall’artista. L’ordinatissima disposizione voluta dal progetto precede l’intervento sulle carte: ci chiama a guardare i singoli elementi come cellule vivaci di un unico organismo e contraddice i gesti rapidissimi che hanno dato forma in un paio di mesi alle opere, che vanno a comporre come un grande quadro in pezzi dinamicamente percorso da rimandi interni di colori e segni che da pagina a pagina si scambiano battute. Sulla parete di fronte Lucia sistema, all’altezza dei propri, l’ “Occhio” che dà alla mostra il titolo “Osservatori”, serigrafato in dieci copie su tela che formano una fila orizzontale, al centro della quale lei, terminato l’allestimento, prende posto aggiungendo i suoi agli occhi che guardano i fogli di “Rinascita”.
Si può pensare alle quindici carte come a frammenti di trascrizione di una materia interiore. Ce la possiamo figurare musicale, o anche fatta delle parole di quei velocissimi pensieri che si rincorrono senza una precisa destinazione e accavallandosi: dove chiasso e silenzio, più che confliggere, si passano repentinamente il testimone. Perciò non può esserci quasi mai in questi lavori troppo spazio per la geometria oltre quello che risiede nella disciplina dell’installazione e nella composizione tipografica dei supporti: pagine di giornale coi loro titoli e foto e brevi e fitti righi guardati dall’artista probabilmente durante il farsi stesso di quella trascrizione. La contesa interiore sarà precipitata nella mano per trasferirsi immediatamente sulla carta: dove i due – baccano e quiete, o voce alta e voce sommessa – può accadere che si dividano elavoro (Facebook ci mostra che opera in piano, e ci mette a disposizione qualche breve video di Lucia al lavoro, che lei ha voluto accelerato a riprova di quanto la velocità le appartenga). Comunque il silenzio non sarà mai assenza, non tanto perché il supporto usato è in ogni sua parte affollato di parole e immagini, ma perché la relazione stessa fra il rumore dell’addensarsi di segni e il silenzio del loro rarefarsi è ciò che produce quel suono di quell’opera.
La carta troppo assorbente di questi fogli di giornale non consente un altro suo ricorrente modo di procedere: in cui lei, versando sulla superficie e poi muovendo colore o inchiostro molto liquidi e acqua, come per esempio in “Occhio”, quasi sollecita il caso ad agire e a condividere la responsabilità del risultato.
Questa ipotesi di lettura non si cura del fatto che il rapido gesto abbia o meno ‘incontrato’ oggetti: che in disegno e collage e pittura siano finite cose riconoscibili o, piuttosto, linee curve sottili, densi grumi, concitate spirali, ritagli, capelli o altri segni che non si riferiscono a nulla che sia possibile identificare con certezza
Mauro Maurizio Palumbo è probabilmente da tempo lì nella sala, quasi immobile sul pavimento. Senza visibili reazioni vede entrare il pubblico. Accanto a lui, oltre al piccolo cartello che dichiara “Io sono stanco”, pochi oggetti: alcuni necessari per sopravvivere (acqua, pane, sigarette, una coperta); altri legati ad attività che sembrano essersi allontanate. Tre sedie sono schierate per fare accomodare chi voglia fermarsi a guardare. Un pannello con diverse immagini annuncia le tre repliche della sua performance, già proposta al Museo Archeologico di Napoli ai piedi dell’Ercole Farnese e prevista per marzo al CAMUSAC Cassino Museo di Arte Contemporanea. Il pubblico, attraverso le immagini stampate sul pannello, entra in possesso di altri dati per farsi un’idea di quel che accade. Il sassofono di Antonio Raia, improvvisando, accompagna Palumbo nel suo star fermo, oppure si rivolge agli oggetti che lo circondano o alle immagini del pannello. Alcuni dei presenti immancabilmente fotografano. Luisa Terminiello documenta la scena con istantanee: quattro, come nelle altre due tappe della performance. Una di queste prende posto sul pannello, le restanti sono appunti visivi.
[Con la collaborazione di Salvatore Camerlingo. La grafica del pannello è di Marica Amendola e Giuseppina Elefante]
Lucia Schettino "Osservatori"
Il sassofono cambia registro: ora mette in movimento Lucia Schettino, che efficientemente appende su due pareti i suoi lavori. Sulla prima, a pochi centimetri l’uno dall’altro, in tre file sovrapposte ciascuna di cinque quadri, finiscono quindici fogli in cornice della rivista “Rinascita” del Partito Comunista dipinti dall’artista. L’ordinatissima disposizione voluta dal progetto precede l’intervento sulle carte: ci chiama a guardare i singoli elementi come cellule vivaci di un unico organismo e contraddice i gesti rapidissimi che hanno dato forma in un paio di mesi alle opere, che vanno a comporre come un grande quadro in pezzi dinamicamente percorso da rimandi interni di colori e segni che da pagina a pagina si scambiano battute. Sulla parete di fronte Lucia sistema, all’altezza dei propri, l’ “Occhio” che dà alla mostra il titolo “Osservatori”, serigrafato in dieci copie su tela che formano una fila orizzontale, al centro della quale lei, terminato l’allestimento, prende posto aggiungendo i suoi agli occhi che guardano i fogli di “Rinascita”.
Si può pensare alle quindici carte come a frammenti di trascrizione di una materia interiore. Ce la possiamo figurare musicale, o anche fatta delle parole di quei velocissimi pensieri che si rincorrono senza una precisa destinazione e accavallandosi: dove chiasso e silenzio, più che confliggere, si passano repentinamente il testimone. Perciò non può esserci quasi mai in questi lavori troppo spazio per la geometria oltre quello che risiede nella disciplina dell’installazione e nella composizione tipografica dei supporti: pagine di giornale coi loro titoli e foto e brevi e fitti righi guardati dall’artista probabilmente durante il farsi stesso di quella trascrizione. La contesa interiore sarà precipitata nella mano per trasferirsi immediatamente sulla carta: dove i due – baccano e quiete, o voce alta e voce sommessa – può accadere che si dividano elavoro (Facebook ci mostra che opera in piano, e ci mette a disposizione qualche breve video di Lucia al lavoro, che lei ha voluto accelerato a riprova di quanto la velocità le appartenga). Comunque il silenzio non sarà mai assenza, non tanto perché il supporto usato è in ogni sua parte affollato di parole e immagini, ma perché la relazione stessa fra il rumore dell’addensarsi di segni e il silenzio del loro rarefarsi è ciò che produce quel suono di quell’opera.
La carta troppo assorbente di questi fogli di giornale non consente un altro suo ricorrente modo di procedere: in cui lei, versando sulla superficie e poi muovendo colore o inchiostro molto liquidi e acqua, come per esempio in “Occhio”, quasi sollecita il caso ad agire e a condividere la responsabilità del risultato.
Questa ipotesi di lettura non si cura del fatto che il rapido gesto abbia o meno ‘incontrato’ oggetti: che in disegno e collage e pittura siano finite cose riconoscibili o, piuttosto, linee curve sottili, densi grumi, concitate spirali, ritagli, capelli o altri segni che non si riferiscono a nulla che sia possibile identificare con certezza
Luoghi
3332229274
orari: Mercoledì e Venerdì, ore 17:00 – 19:00, giovedì ore 10.30-12.30 e su appuntamento