Matteo Antonini - Phainesthai
A cura di: Andrea Lacarpia
L’avvento dell’era digitale ci ha resi più consapevoli del fondamentale ruolo che l’informazione assume nella creazione della struttura stessa della realtà. Come confermato dalla fisica quantistica, l’universo è composto da energia e informazioni che trasformano l’energia in materia. I corpi sono quindi il risultato dell’incontro tra un’energia illimitata e un’informazione, un codice genetico che genera forme definite. Tale concetto, oggi confermato dalla scienza, era già stato descritto dalla religione e dalla filosofia, come nel Verbo-informazione che si fa carne-materia della tradizione cristiana o nella dottrina del Logos spermatikòs, la ragione seminale, della filosofia greca stoica. Se la tradizione religiosa e filosofica vede nel verbo divino una legge morale basata sul logos come causa della creazione, l’orizzontalità della trasmissione del sapere in una civiltà che oggi dispone di una quantità di informazioni stratificate e largamente superiore alla necessità, rende sempre più ambigua la nozione di realtà confondendosi con quella di illusione.
La memoria, che la materia restituisce come informazione e testimonianza, è al centro dell’indagine che Matteo Antonini presenta in Dimora Artica. Diversi oggetti, rappresentati con un’accurata pittura ad olio, sono uniti in bizzarre composizioni in cui possono convivere masse irregolari di materiale naturale e poliuretano espanso, soprammobili contemporanei e souvenirs vintage, riproduzioni di quadri tradizionali e scomposti graffiti tratti dalla street art. La precisione della tecnica pittorica, prossima all’iperrealismo, rende verosimili anche gli accostamenti più arditi, in una messa in scena teatrale in cui l’archivio dei ricordi va a costituire una realtà parallela percepibile nella sua evidenza, una dimensione in cui diversi riferimenti temporali convivono apparendo plasticamente. All’interno dei dipinti Antonini spesso rappresenta delle mensole, sulle quali gli oggetti sono posti come fossero parole unite per formare frasi, poesie visive che sembrano voler proseguire oltre la tela tramite dei prolungamenti che invadono lo spazio circostante come fossero supporti per ulteriori oggetti e ricordi. All’abituale percezione dei sensi l’artista aggiunge ulteriori informazioni, tratte dall’immaginario personale e collettivo, creando una sottile ambiguità percettiva, in modo similare alle attuali forme di realtà aumentata che, prima di espandersi con la teconologia digitale, è sempre stata propria della pittura e delle arti visive in generale.
La volontà di far apparire forme insieme concrete ed evanescenti si unisce alla necessità di risalire all’unità originaria dalla quale le forme particolari si sono generate, un codice genetico dell’immagine che Matteo Antonini rappresenta con forme astratte che irrompono nei dipinti, composte da spettri cromatici formati dai colori presenti nel dipinto nella sua totalità e qui riprodotti con perizia analitica. L’immagine viene così ridotta ai suoi minimi termini, al puro colore che partendo dalla luce arriva ai nostri sensi che lo percepiscono e interpretano. La realtà phainesthai, il mondo delle apparizioni che è anche il mondo della stratificazione culturale, ritrova così la dimensione della physis, l’essenza ontologica che alberga nella natura primigenia.
La memoria, che la materia restituisce come informazione e testimonianza, è al centro dell’indagine che Matteo Antonini presenta in Dimora Artica. Diversi oggetti, rappresentati con un’accurata pittura ad olio, sono uniti in bizzarre composizioni in cui possono convivere masse irregolari di materiale naturale e poliuretano espanso, soprammobili contemporanei e souvenirs vintage, riproduzioni di quadri tradizionali e scomposti graffiti tratti dalla street art. La precisione della tecnica pittorica, prossima all’iperrealismo, rende verosimili anche gli accostamenti più arditi, in una messa in scena teatrale in cui l’archivio dei ricordi va a costituire una realtà parallela percepibile nella sua evidenza, una dimensione in cui diversi riferimenti temporali convivono apparendo plasticamente. All’interno dei dipinti Antonini spesso rappresenta delle mensole, sulle quali gli oggetti sono posti come fossero parole unite per formare frasi, poesie visive che sembrano voler proseguire oltre la tela tramite dei prolungamenti che invadono lo spazio circostante come fossero supporti per ulteriori oggetti e ricordi. All’abituale percezione dei sensi l’artista aggiunge ulteriori informazioni, tratte dall’immaginario personale e collettivo, creando una sottile ambiguità percettiva, in modo similare alle attuali forme di realtà aumentata che, prima di espandersi con la teconologia digitale, è sempre stata propria della pittura e delle arti visive in generale.
La volontà di far apparire forme insieme concrete ed evanescenti si unisce alla necessità di risalire all’unità originaria dalla quale le forme particolari si sono generate, un codice genetico dell’immagine che Matteo Antonini rappresenta con forme astratte che irrompono nei dipinti, composte da spettri cromatici formati dai colori presenti nel dipinto nella sua totalità e qui riprodotti con perizia analitica. L’immagine viene così ridotta ai suoi minimi termini, al puro colore che partendo dalla luce arriva ai nostri sensi che lo percepiscono e interpretano. La realtà phainesthai, il mondo delle apparizioni che è anche il mondo della stratificazione culturale, ritrova così la dimensione della physis, l’essenza ontologica che alberga nella natura primigenia.
Luoghi
www.dimoraartica.com 380 5245917
Orario: su appuntamento - Ingresso libero