Maria Lai, opere dal 1942 al 2011
A cura di: Giuseppe Appella
Sabato 1 marzo 2014, alle ore 17.30, il MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera anticipa l’inizio della primavera con l’inaugurazione di “Maria Lai, opere dal 1942 al 2011”, la prima grande antologica, a cura di Giuseppe Appella, dedicata all’artista sarda a quasi un anno dalla sua scomparsa, avvenuta nell’aprile del 2013.
Trentasette sculture, quaranta tra disegni e collage, cinque telai, tre pani, sette libri in terracotta, sei libri cuciti, un grande Varano, una tovaglia e un cartiglio, racconteranno il mondo incantato e poetico dell’artista nata a Ulassai (OG) il 27 settembre del 1919. A questi si affiancheranno le quattro opere che dal 2006 fanno parte della collezione del Museo.
Influenzata fin dalle origini dalla poesia della sua terra, grazie soprattutto all’incontro con lo scrittore Salvatore Cambusu, suo professore alle scuole medie, il percorso espressivo di Maria Lai è tra i più affascinanti e originali del panorama artistico contemporaneo.
Nel 1940 la Lai lascia la Sardegna per trasferirsi prima a Roma, dove incontra Marino Mazzacurati, e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, unica allieva donna del grande maestro della scultura italiana: Arturo Martini. Sono gli anni della scultura figurativa, dalla quale l’artista presto si allontanerà, pur tenendo sempre a mente l’insegnamento di Martini: ”Le pietre sono le vere immagini del mondo. Lo scultore dovrebbe farle respirare come pane che lievita”. La pietra e il pane torneranno di continuo nelle sperimentazioni di Maria. Nelle sue opere ci sarà sempre un rimando alla storia e ai miti, altro retaggio della terra d’origine amplificato negli anni veneziani.
Dopo il disegno a matita, la scultura e la ceramica si dedica alla pittura e sperimenta i lavori in acrilico, mantenendosi, però, sempre al di fuori delle correnti artistiche di quegli anni, la figurazione neo-realista da un lato e l’astrazione informale dall’altro.
Nel 1945, alla fine della guerra, torna in Sardegna, dove ritrova Cambosu, con il quale consolida un’intensa collaborazione i cui risultati porteranno, negli anni ’80, alla rielaborazione figurata delle sue novelle: Cuore mio diventerà il libro di Maria Pietra e Il Pastorello diventerà Mattiniero con capretta. L’intreccio tra scultura e racconto popolare sardo si farà vera e propria metafora sul ruolo dell’artista.
Nel 1956, a Roma, rielabora il tema dei telai sino a farli diventare vere e proprie sculture, composizioni di legno e corda che alludono alla dimensione del tradizionale lavoro manuale e alla tessitura della vita. In questi nuovi anni romani i materiali, il simbolismo e l’universo semantico di Maria rimandano alle nascenti esperienze dell’Arte povera, alle sperimentazioni di Pascali, Kounellis, Pistoletto e Paolini, pur rimanendo legati ad un segno personalissimo e atemporale.
Dai telai il segno magico della Lai si trasforma in grovigli di fili nei misteriosi Libri Scalpo, nei libri di tela grezza che illustrano fiabe come Il Dio Distratto, tratto da un racconto dell’amico Giuseppe Dessì, o Tenendo per mano l’ombra, Tenendo per mano il Sole, Curiosape, Lucertolina. Non vi sono parole che illustrano i libri. L’interpretazione è lasciata all’intuizione e alla creatività del lettore.
Nelle opere della Lai i segni, i materiali dell’arte e la vita reale non possono prescindere gli uni dagli altri perché uno dei compiti dell’arte è quello di mettere ordine e rompere un ordine, in una alternanza continua, alla ricerca delle risposte alle domande che si affacciano ricorrenti alla nostra coscienza: “Credo che l’arte sia generata dalla paura, dalla coscienza di un abisso. È un segno del nostro tempo. Ma credo che in ogni tempo l’artista abbia sentito il bisogno di costruire un ponte attraverso il vuoto, per non caderci dentro”. I ponti che attraversano il vuoto sono i fili che si trasformano in telai, in cuciture di libri e spartiti, che si intrecciano su formelle di terracotta o si uniscono a formare nastri che attraversano e modificano il territorio.
È del 1981 il suo primo intervento ambientale ad Ulassai, con Legarsi alla montagna. In questa occasione il paese intero venne trasformato in un grande telaio, con ventisei chilometri di nastro azzurro che lega tutte le case, e le case alla montagna e alle rocce incombenti. Numerosi saranno gli interventi sul paesaggio negli anni successivi. Materiali inerti e muti, come i muraglioni di cemento che fiancheggiano una strada di montagna, verranno tramutati in materia pulsante, evocazione di riti e festività collettive e antiche. La fisicità dei luoghi, insieme ai miti e alle leggende popolari, diventa parte integrante di un’arte radicata nella contemporaneità.
Agli anni ’80 risalgono anche copertine di libri e scenografie per il teatro. “Fare arte oggi”, scrive Maria Lai, “significa riproporre, anche a chi per sua natura tende a difendere il proprio isolamento, il problema di comunicare in modo diretto con una collettività attraverso la propria opera”. Avvicinare l’arte a tutti, senza cedere ad atteggiamenti populisti, è sempre stato uno dei suoi obiettivi. Per i bambini crea il Gioco del volo dell’oca e le Fiabe cucite. Sono filastrocche e racconti incantati, carichi di metafore e fatata levità, capaci di emozionare anche gli adulti più restii che, del resto, cerca di impegnare nel “Gioco Delle Carte”.
Si accentua negli anni 80 l’impegno didattico e la sua ansia di rendere accessibile a tutti il linguaggio dell’arte, sino al 1996 quando esce l’opera-libro “La Barca di Carta”, tentativo di creare un vero e proprio manuale di lettura dell’arte.
Tra la metà degli anni ’80 e gli anni ’90 il suo segno passa a tracciare, su carta o stoffa, mappe terrestri e celesti. È il periodo delle Geografie, in cui i confini dei continenti e delle costellazioni si intrecciano e ci coinvolgono in un viaggio astrale che evoca un ritorno. I grovigli che legano le linee dritte, spezzate e riaffioranti rappresentano la difficile, intuitiva tensione umana verso l’infinito. Sempre negli anni ‘90 lievitano i suoi primi pani di terracotta. Pani, telai e libri sono il linguaggio della tradizione, della creatività femminile e della cultura.
L’arte di Maria Lai ha l’aspetto di un gioco, genera stupore, raccolta com’è in segni di un universo magico che nasce dall’incontro tra il visibile e l’invisibile, tra la sfera del quotidiano e l’astrazione. “L’arte ci prende per mano”, scrive l’artista isolana su una smisurata lavagna che dal
piazzale della scuola elementare guarda verso il mare, aldilà delle colline. .
La mostra, che rimarrà aperta fino al 26 giugno 2014, sarà affiancata, nella Biblioteca Scheiwiller, da una nutrita raccolta di immagini e documenti, tra i quali numerosi libri pubblicati negli ultimi decenni, utili per mettere in luce i momenti salienti del lungo viaggio di Maria Lai nella contemporaneità. A questo proposito, il Museo ha predisposto un importante e capillare lavoro didattico, rivolto alle scuole di ogni ordine e grado.
Tutti i materiali della mostra saranno raccolti nel n. 12 dei “quaderni della scultura contemporanea”, la rivista del MUSMA in uscita ogni anno a Natale.
Trentasette sculture, quaranta tra disegni e collage, cinque telai, tre pani, sette libri in terracotta, sei libri cuciti, un grande Varano, una tovaglia e un cartiglio, racconteranno il mondo incantato e poetico dell’artista nata a Ulassai (OG) il 27 settembre del 1919. A questi si affiancheranno le quattro opere che dal 2006 fanno parte della collezione del Museo.
Influenzata fin dalle origini dalla poesia della sua terra, grazie soprattutto all’incontro con lo scrittore Salvatore Cambusu, suo professore alle scuole medie, il percorso espressivo di Maria Lai è tra i più affascinanti e originali del panorama artistico contemporaneo.
Nel 1940 la Lai lascia la Sardegna per trasferirsi prima a Roma, dove incontra Marino Mazzacurati, e poi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, unica allieva donna del grande maestro della scultura italiana: Arturo Martini. Sono gli anni della scultura figurativa, dalla quale l’artista presto si allontanerà, pur tenendo sempre a mente l’insegnamento di Martini: ”Le pietre sono le vere immagini del mondo. Lo scultore dovrebbe farle respirare come pane che lievita”. La pietra e il pane torneranno di continuo nelle sperimentazioni di Maria. Nelle sue opere ci sarà sempre un rimando alla storia e ai miti, altro retaggio della terra d’origine amplificato negli anni veneziani.
Dopo il disegno a matita, la scultura e la ceramica si dedica alla pittura e sperimenta i lavori in acrilico, mantenendosi, però, sempre al di fuori delle correnti artistiche di quegli anni, la figurazione neo-realista da un lato e l’astrazione informale dall’altro.
Nel 1945, alla fine della guerra, torna in Sardegna, dove ritrova Cambosu, con il quale consolida un’intensa collaborazione i cui risultati porteranno, negli anni ’80, alla rielaborazione figurata delle sue novelle: Cuore mio diventerà il libro di Maria Pietra e Il Pastorello diventerà Mattiniero con capretta. L’intreccio tra scultura e racconto popolare sardo si farà vera e propria metafora sul ruolo dell’artista.
Nel 1956, a Roma, rielabora il tema dei telai sino a farli diventare vere e proprie sculture, composizioni di legno e corda che alludono alla dimensione del tradizionale lavoro manuale e alla tessitura della vita. In questi nuovi anni romani i materiali, il simbolismo e l’universo semantico di Maria rimandano alle nascenti esperienze dell’Arte povera, alle sperimentazioni di Pascali, Kounellis, Pistoletto e Paolini, pur rimanendo legati ad un segno personalissimo e atemporale.
Dai telai il segno magico della Lai si trasforma in grovigli di fili nei misteriosi Libri Scalpo, nei libri di tela grezza che illustrano fiabe come Il Dio Distratto, tratto da un racconto dell’amico Giuseppe Dessì, o Tenendo per mano l’ombra, Tenendo per mano il Sole, Curiosape, Lucertolina. Non vi sono parole che illustrano i libri. L’interpretazione è lasciata all’intuizione e alla creatività del lettore.
Nelle opere della Lai i segni, i materiali dell’arte e la vita reale non possono prescindere gli uni dagli altri perché uno dei compiti dell’arte è quello di mettere ordine e rompere un ordine, in una alternanza continua, alla ricerca delle risposte alle domande che si affacciano ricorrenti alla nostra coscienza: “Credo che l’arte sia generata dalla paura, dalla coscienza di un abisso. È un segno del nostro tempo. Ma credo che in ogni tempo l’artista abbia sentito il bisogno di costruire un ponte attraverso il vuoto, per non caderci dentro”. I ponti che attraversano il vuoto sono i fili che si trasformano in telai, in cuciture di libri e spartiti, che si intrecciano su formelle di terracotta o si uniscono a formare nastri che attraversano e modificano il territorio.
È del 1981 il suo primo intervento ambientale ad Ulassai, con Legarsi alla montagna. In questa occasione il paese intero venne trasformato in un grande telaio, con ventisei chilometri di nastro azzurro che lega tutte le case, e le case alla montagna e alle rocce incombenti. Numerosi saranno gli interventi sul paesaggio negli anni successivi. Materiali inerti e muti, come i muraglioni di cemento che fiancheggiano una strada di montagna, verranno tramutati in materia pulsante, evocazione di riti e festività collettive e antiche. La fisicità dei luoghi, insieme ai miti e alle leggende popolari, diventa parte integrante di un’arte radicata nella contemporaneità.
Agli anni ’80 risalgono anche copertine di libri e scenografie per il teatro. “Fare arte oggi”, scrive Maria Lai, “significa riproporre, anche a chi per sua natura tende a difendere il proprio isolamento, il problema di comunicare in modo diretto con una collettività attraverso la propria opera”. Avvicinare l’arte a tutti, senza cedere ad atteggiamenti populisti, è sempre stato uno dei suoi obiettivi. Per i bambini crea il Gioco del volo dell’oca e le Fiabe cucite. Sono filastrocche e racconti incantati, carichi di metafore e fatata levità, capaci di emozionare anche gli adulti più restii che, del resto, cerca di impegnare nel “Gioco Delle Carte”.
Si accentua negli anni 80 l’impegno didattico e la sua ansia di rendere accessibile a tutti il linguaggio dell’arte, sino al 1996 quando esce l’opera-libro “La Barca di Carta”, tentativo di creare un vero e proprio manuale di lettura dell’arte.
Tra la metà degli anni ’80 e gli anni ’90 il suo segno passa a tracciare, su carta o stoffa, mappe terrestri e celesti. È il periodo delle Geografie, in cui i confini dei continenti e delle costellazioni si intrecciano e ci coinvolgono in un viaggio astrale che evoca un ritorno. I grovigli che legano le linee dritte, spezzate e riaffioranti rappresentano la difficile, intuitiva tensione umana verso l’infinito. Sempre negli anni ‘90 lievitano i suoi primi pani di terracotta. Pani, telai e libri sono il linguaggio della tradizione, della creatività femminile e della cultura.
L’arte di Maria Lai ha l’aspetto di un gioco, genera stupore, raccolta com’è in segni di un universo magico che nasce dall’incontro tra il visibile e l’invisibile, tra la sfera del quotidiano e l’astrazione. “L’arte ci prende per mano”, scrive l’artista isolana su una smisurata lavagna che dal
piazzale della scuola elementare guarda verso il mare, aldilà delle colline. .
La mostra, che rimarrà aperta fino al 26 giugno 2014, sarà affiancata, nella Biblioteca Scheiwiller, da una nutrita raccolta di immagini e documenti, tra i quali numerosi libri pubblicati negli ultimi decenni, utili per mettere in luce i momenti salienti del lungo viaggio di Maria Lai nella contemporaneità. A questo proposito, il Museo ha predisposto un importante e capillare lavoro didattico, rivolto alle scuole di ogni ordine e grado.
Tutti i materiali della mostra saranno raccolti nel n. 12 dei “quaderni della scultura contemporanea”, la rivista del MUSMA in uscita ogni anno a Natale.
Luoghi
http://www.musma.it 3669357768 3669357768
Giorni e orari di apertura: dal martedì alla domenica, ore 10-14 /16-20. Giorno di chiusura: lunedì.