Margherita Levo Rosenberg. Il gioco dell’eco
A cura di: Testo di Maria Grazia Melandri
Il gioco dell’eco è il titolo della mostra che Margherita Levo Rosenberg ha scelto di esporre nella galleria Quadro 0,96 di Fiesole; uno studio d’architettura magistralmente recuperato da una vecchia bottega di scalpellini, in una splendida città toscana che domina dall’alto i tetti fiorentini e la cupola maestosa di Santa Maria del Fiore. Una città dove ogni passo potrebbe coincidere con l’orma del Beato Angelico come del Dannunzio; dove la storia e la memoria si respirano, non solo nei suoi cinque musei ma in ogni piccolo, singolo anfratto. In mostra un’installazione del 2011, composta di 12 pezzi, variamente assemblabili tra loro, a seconda dello spazio e della sua conformazione; .una peculiarità dell’opera di Levo Rosenberg degli ultimi anni, la flessibilità ambientale site specific .
I singoli pezzi hanno l’aspetto di corpi bozzoluti, coperti da una fitta vegetazione. Sono ricavati da uno scheletro di rete metallica sul quale l’artista ha assemblato del materiale plastico – essenzialmente pellicole radiografiche vergini ed impressionate
di corpi - sminuzzato in una miriade di frammenti tra i quali compaiono formazioni coniche colorate, immagini su acetato, protuberanze floreali, frammenti circolari di fotografie plastificate, ritratti di politici e personaggi più o meno conosciuti, frammenti di depliants pubblicitari, immagini di oggetti, paesaggi, versi della commedia dantesca, ready made che spaziano dai dischetti dei cd rom a pezzi di legno, bustine di thè... Le strutture tridimensionali sono attraversate da lunghi vitigni, che rimandano alla natura e ai ricordi dell’ infanzia della Levo Rosenberg, “cresciuta tra cielo e terra”, come lei stessa afferma, nella langa piemontese. Gli elementi, colorati nell’insieme dell’azzurro al verde al viola, cangianti e trasparenti delle pellicole radiografiche vergini, appaiono come vegetazioni improbabili, estetiche, dialoganti in un gioco di rimandi delle complessità del quotidiano, come racconta l’artista, in prima persona: “ ci sono mattine, quando esco dal lavoro di pronto soccorso” - è psichiatra in un grande ospedale metropolitano - “faccio la spesa al supermercato, ripenso ai casi, ai volti, alle storie della notte, salgo in auto, ascolto il notiziario in radio, mi fermo al semaforo, osservo un cartellone pubblicitario, e mi sembra di non sentire più la terra sotto i piedi, immersa in un mondo spezzettato e cangiante che mi dà le vertigini… forse per la stanchezza”. “E’ in questi momenti che prendono forma le mie opere, nello smarrimento, come quando, da bambina, facevo il gioco dell’eco e la voce che si propagava ripetutamente nell’etere, ad un certo punto non si comprendeva più da dove fosse partita”
Dalla perdita di contatto della voce con la sua origine, dei piedi con la terra, del fare con il suo significare, dalla frequentazione quotidiana con quelle che l’artista definisce “periferie della mente”, in un mondo che corre a velocità eccessiva, accompagnato da fosche premonizioni di catastrofi imminenti, dal viaggio straniante nei territori di una complessità che ha contagiato l’umano e perduto di vista l’umanesimo, sembra aver preso avvio il suo paziente e minuzioso lavoro di decostruzione e ricostruzione, integrazione di elementi dissonanti, che ha dato origine a queste opere nelle quali gli elementi naturali e culturali possono trovare una ricomposizione armonica, permettendo a Levo Rosenberg di convivere con le sue “incompossibilità”, termine utilizzato da Viana Conti, in un testo di presentazione dell’artista, già nel 1994.
Niente di strano quindi che l’artista associ alle sue installazioni - ai suoi cicli di produzione - brani poetici che ne dilatano il senso. Perché “per descrivere il mondo l’opera non basta, tanto meno le parole!
La strada all’imbocco è foresta incolta degli anni d’infanzia. M’inonda il profondo del bosco nel ciliegio sgomento a sesto acuto sul rovere della sponda opposta. L’avanzare violenta formiche scoiattoli impauriti e daini Piegano i ranuncoli gialli
al roteare della gomma nera. L’aia petrosa vinta spinge avanti le lance d’un cedro fantasma Piantati negli occhi del viso commosso gli spettri dei rami dagli aghi di foglie .Qui sono nata nel biondo del grano Tra lampi e papaveri rossi nel blu di fiordalisi e nuvole di lucciole. Conosco ogni dosso ogni fenditura di pietra di terra, ogni acre lamento. Per prima cosa sono andata a cercare le rondini. Non ci sono più a rincorrere gli autunni delle partenze. Aspetteremo soli il numero imprecisato di stagioni che ci separano dal cielo.
(“Il ritorno” Margherita Levo Rosenberg Ponti, 2011)