Marco Tirelli. Fondazione Pastificio Cerere
A cura di: Marcello Smarrelli
A dieci anni dalla sua nascita la Fondazione rende omaggio - con un ciclo di sei mostre - ai protagonisti di quel fermento artistico e creativo che ancora anima la vita culturale dell’ex Pastificio: Ceccobelli, Dessì, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella e Tirelli. Questi sei artisti, noti anche come “Gruppo di San Lorenzo”, per primi hanno riconosciuto le potenzialità di questo spazio industriale dismesso, decidendo di trasferirvi i propri studi fin dagli anni Settanta. Grazie a loro il Pastificio Cerere è diventato un luogo di produzione e diffusione dell’arte contemporanea a livello internazionale, contribuendo ancora oggi alla formazione di nuove generazioni di artisti.
Nella progettazione delle mostre non è stata indicata alcuna traccia precisa, si è preferito lasciare ad ognuno la libertà di inventare e costruire un percorso all’interno della propria storia, delle personali fonti di ispirazione e del proprio universo di segni.
Per raccontare la sua poetica, Marco Tirelli spesso richiama l’immagine dello Studiolo rinascimentale di Federico Da Montefeltro. Qui la raccolta di oggetti che abitano la piccola stanza è un pretesto per dare corpo al mondo interiore del duca di Urbino. Sulle pareti trovano posto elementi del suo universo culturale, della sua memoria. Ciascun oggetto è parte di un sistema simbolico per cui la realtà fisica attiva rimandi ed echi immaginifici.
La mostra pensata da Tirelli per gli spazi della Fondazione Pastificio Cerere evoca concettualmente lo Studiolo. L’ex edificio industriale è per l’artista luogo della memoria personale e collettiva, in cui dare vita, attraverso il dialogo con lo spazio, a un complesso territorio dell’immaginario. Un territorio composto da elementi materiali capaci di superare la dimensione fisica delle pareti. Nello spazio si materializzano forme eterogenee che rimandano a un gioco di specchi tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, tra luce e buio, visibile e invisibile, invitandoci a guardare al di là del confine delle cose. Pensando al concetto di ‘perspicere’ invocato da Durer, per cui la pittura è uno strumento per guardare oltre la realtà, lo spazio espositivo diventa spazio mentale per mezzo di immagini che sono soglie aperte verso il possibile. Un Teatro della memoria, come Tirelli ama definire il suo lavoro, che è un esercizio della visione con cui annullare le coordinate spazio-temporali. L’artista dialoga con lo spazio con singoli elementi idealmente connessi per raggiungere la dimensione ambientale di un’opera che guarda in tutte le direzioni. Il muro ospita una collezione di squarci verso dimensioni ulteriori, la realtà corporea diviene immateriale e psichica. Come ha osservato lo scrittore Valerio Magrelli, le opere di Tirelli sono “macchine ottiche concepite per imparare a vedere.” E la mostra è la messa in scena ideale del suo attraversare il mondo.
Nella progettazione delle mostre non è stata indicata alcuna traccia precisa, si è preferito lasciare ad ognuno la libertà di inventare e costruire un percorso all’interno della propria storia, delle personali fonti di ispirazione e del proprio universo di segni.
Per raccontare la sua poetica, Marco Tirelli spesso richiama l’immagine dello Studiolo rinascimentale di Federico Da Montefeltro. Qui la raccolta di oggetti che abitano la piccola stanza è un pretesto per dare corpo al mondo interiore del duca di Urbino. Sulle pareti trovano posto elementi del suo universo culturale, della sua memoria. Ciascun oggetto è parte di un sistema simbolico per cui la realtà fisica attiva rimandi ed echi immaginifici.
La mostra pensata da Tirelli per gli spazi della Fondazione Pastificio Cerere evoca concettualmente lo Studiolo. L’ex edificio industriale è per l’artista luogo della memoria personale e collettiva, in cui dare vita, attraverso il dialogo con lo spazio, a un complesso territorio dell’immaginario. Un territorio composto da elementi materiali capaci di superare la dimensione fisica delle pareti. Nello spazio si materializzano forme eterogenee che rimandano a un gioco di specchi tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, tra luce e buio, visibile e invisibile, invitandoci a guardare al di là del confine delle cose. Pensando al concetto di ‘perspicere’ invocato da Durer, per cui la pittura è uno strumento per guardare oltre la realtà, lo spazio espositivo diventa spazio mentale per mezzo di immagini che sono soglie aperte verso il possibile. Un Teatro della memoria, come Tirelli ama definire il suo lavoro, che è un esercizio della visione con cui annullare le coordinate spazio-temporali. L’artista dialoga con lo spazio con singoli elementi idealmente connessi per raggiungere la dimensione ambientale di un’opera che guarda in tutte le direzioni. Il muro ospita una collezione di squarci verso dimensioni ulteriori, la realtà corporea diviene immateriale e psichica. Come ha osservato lo scrittore Valerio Magrelli, le opere di Tirelli sono “macchine ottiche concepite per imparare a vedere.” E la mostra è la messa in scena ideale del suo attraversare il mondo.
Luoghi
www.pastificiocerere.it 06 45422960
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 15.00 alle 19.00