18/04/2015  al 19/07/2015

Marco Di Giovanni. Una fine

A cura di: Maria Katia Tufano - testo di Cristiana Curti

Marco Di Giovanni. Una fine
Le due mostre, allestite al Museo di San Domenico e da BeCube, illustrano due fasi distinte della ricerca creativa dell’artista e sono intimamente collegate.
Al Museo di San Domenico viene presentata una piccola antologica, Una fine, che raccoglie i lavori che hanno segnato la ricerca dell’artista degli ultimi anni. Da una riflessione e un percorso maturato a partire da quel nucleo di lavori, Di Giovanni è arrivato a concepire e realizzare la nuova grande mostra che aprirà presso l’associazione BeCube, L’infinito commestibile, un’installazione complessa, composta da un video con sonoro, una scultura in ferro, dei tavoli da birreria e una serie di opere su carta che rappresentano, sotto forma di diario visivo, un’annotazione meticolosa di tutto ciò che l’artista ha ingerito in forma solida o liquida negli ultimi undici mesi.
Per capire il percorso di Di Giovanni e la nuova mostra da BeCube è necessario partire dai lavori presentati al Museo di San Domenico, in parte esposti alla mostra itinerante del Premio VAF nel 2014 che, sebbene realizzati negli ultimi 5 anni, riassumono in maniera pregnante la poetica cara all’artista fin dagli esordi. In queste opere l’indagine sul reale, il quotidiano e il suo pensiero, si focalizzava su una combinazione sincretica tra letteratura norrena e l’approccio della meccanica quantistica, sull’individuazione di ciò che è materia e reale.
Lo spazio del museo deputato alla mostra (in totale 3 stanze) in occasione dell'inaugurazione verrà diviso in due da un’opera emblematica, Le porte di Solarolo. L’opera (un’accumulazione di vecchie porte), è collocata sulla soglia tra due sale (di fatto ostruendo l’accesso tra la prima sala e la terza), una delle quali accoglie la seconda parte dell’esposizione, e che può essere fruita, nelle intenzioni dell’artista, solo percorrendo prima le sale espositive del museo che ospitano le collezioni di arte antica e moderna, fino all’arte del ‘900. Un sistema ottico di lenti d'ingrandimento è incastonato tra le feritoie delle vecchie porte dismesse che costituiscono l’opera (e che ostruiscono il passaggio), restituendo allo spettatore che si avvicina con l’intento di guardarvi attraverso, una visione tridimensionale – ma ribaltata – dell'ambiente al di là, al quale non si può accedere varcando la soglia.
Nella stanza successiva il cassone rugginoso Heavy pod, imita con le sue grate tonde tipo woofer un amplificatore rudimentale; l'oggetto stesso "suona" e risuona, in maniera assordante, della sua stessa materia (ferro), che vibra scossa dai bassi profondi dell'amplificazione interna; la traccia sonora è ottenuta esclusivamente usando i suoni prodotti durante la fabbricazione dell'oggetto stesso, registrati nella carpenteria metallica. “Un oggetto che urla fragoroso sempre e solo la sua origine e la sua materia”, spiega l’artista parlando di quest’opera. Nella stessa stanza, una delle pareti è rivestita da un'accumulazione di agendine Moleskine: l’opera è intitolata Gran Sasso. Trentotto agende annuali, una per ogni anno di vita dell’artista, sono installate aperte su un disegno tracciato a matita che costruisce, nell’insieme, una leggerissima rappresentazione dello skyline del Gran Sasso visto da Teramo, città natale di Marco Di Giovanni. “Per ogni anno della mia vita confondo a matita i contorni del mondo intero e la sua suddivisione in fusi orari per ottenere l'unico luogo a me originario e quindi senza tempo”, dichiara l’artista.
Nella seconda parte della mostra (ovvero le opere radunate nella terza stanza), appunto raggiungibile solo dopo aver percorso interamente la collezione del museo, si trova un gruppo di lavori diversi per concezione e materiali, ma tutti caratterizzati da un’idea di “circolarità”. Al Museo di San Domenico, Marco Di Giovanni vuole deliberatamente “costringere” lo spettatore a visitare le collezioni d’arte prima di poter fruire della sua mostra in tutta la sua interezza, come nel tentativo di percorrere la traiettoria di un cerchio, metaforicamente diremmo “il cerchio della storia”, per poi chiuderlo. L’artista vuole quindi obbligare lo spettatore a guardarsi intorno, ad analizzare quel che vede o incontra in un percorso alternativo.
Alla chiusura metaforica “del cerchio”, che rappresenta per l’artista appunto “una fine” (da qui il titolo della mostra), corrisponde un nuovo inizio, un ritorno alla realtà a partire dalle basi elementari dell’esistenza umana: ovvero la necessità di nutrirsi, su cui si innesta una nuova riflessione. In questo nuovo contesto si inserisce così il progetto L'Infinito Commestibile, esposto negli spazi di BeCube.
Dal 18 maggio 2014 (stesso giorno di nascita dell’artista) Marco Di Giovanni ha cominciato a disegnare tutto quello che ha ingerito nel corso di quest’ultimo anno e continuerà tale processo fino al prossimo 18 maggio. Il risultato di questa performance dilatata nel tempo è una grande quantità di disegni a china su carta gialla alimentare (principalmente tovagliette da trattoria). Presso gli spazi di BeCube verranno inoltre allestiti dei tavoli da birreria fino a riempire l’intero spazio espositivo sui quali verranno collocati i disegni. Tazzine, bicchieri, ossa, piatti elaborati o più semplicemente patatine da bancone dei bar, caffè e cornetto sono esibiti in coro, protagonisti di una specie di sagra di paese. Un video mostrerà in una lunga carrellata i disegni disposti in ordine cronologico, mentre l’audio, realizzato in collaborazione con Gianluca Favaron “artigiano digitale del suono”, rimanderà, rielaborati al computer, suoni ottenuti registrando la masticazione, la deglutizione e la digestione dell'artista.
Se i lavori precedenti erano pregni di suggestioni derivanti dalla fisica teorica, soprattutto la meccanica quantistica, che definisce ormai il visibile e le nostre percezioni come “limiti” per una conoscenza più approfondita della realtà, il corpo, diversamente, vero protagonista di questa nuova installazione presso gli spazi di BeCube, ci costringe a  vivere una realtà fattuale sì, ma allo stesso tempo illusoria (in quanto unica percepibile), imponendoci la sua sopravvivenza e costringendoci ad impiegare gran parte delle nostre energie a soddisfare i suoi bisogni – se non addirittura le sue voglie.
La fatica odierna si riassume quindi in questo necessario nutrimento del corpo congiunto all’ossessione generata dal cibo stesso: pubblicazioni di riviste sul tema, programmi televisivi in cui lo chef diventa il capo assoluto e supremo, fino ai cliccatissimi food bloggers di Instagram. Il cibo è diventato ossessione, è esulato da ciò che è nutrimento del corpo, attuando così uno spostamento in rapporto alla ricerca e all’indagine della realtà.
All'ingresso dell'associazione BeCube vedremo installata anche una grande scultura in ferro ottenuta segando per il lungo una grossa cisterna arrugginita, dove le due metà sono saldate insieme ma ribaltate, in modo da mostrare l'interno invece che l'esterno. Una sorta di “autoritratto esploso” dell'artista, dove i segni della “deflagrazione” sono visibili, per traslazione, nei disegni a china “apparecchiati”, come elementi di un’enorme matrice che restituisce un altro autoritratto, visto che in fondo siamo ciò che mangiamo.

Luoghi

  • Museo di San Domenico - Via Sacchi, 4 - Imola - Bologna
             tel. 0542 602609

    orario:da martedì a venerdì, 9.00-13.00, sabato, 15.00-19.00, domenica, 10.00-13.00, 15.00-19.00 - per scolaresche e gruppi aperto tutti i giorni su prenotazione

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