Luigi Boille “Per incontrare luoghi di luce”
A cura di: Silvia Pegoraro
Retrospettiva 1953-2015
Luigi Boille - scomparso a Roma il 20 aprile di quest’anno, all’età di 89 anni - può certamente definirsi uno dei maggiori artisti italiani contemporanei . Ammirato e sostenuto da grandi critici e storici dell’arte, quali Lionello Venturi, Michel Tapié, Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Cesare Vivaldi o Pierre Restany, non è ancora sufficientemente noto al grande pubblico, nonostante l’eccezionale qualità e originalità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
La Galleria Marchetti di Roma gli rende omaggio con la prima mostra retrospettiva dopo la sua morte, organizzata con la preziosa collaborazione dell’Archivio Luigi Boille e curata da Silvia Pegoraro: un percorso che mette in evidenza l’evoluzione della sua ricerca sin dagli esordi, attraverso 25 opere selezionatissime, realizzate tra il 1953 e gli ultimi mesi di vita. La mostra – che inaugurerà giovedì 15 ottobre e resterà allestita fino al 5 dicembre 2015 - sarà documentata da una piccola monografia (dove saranno riprodotte anche molte opere non esposte, tra cui diversi inediti), con testi della curatrice e di Flaminio Gualdoni (Grafiche Turato Edizioni).
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I “favolosi” anni ’60, anche a chi non li abbia vissuti, evocano immediatamente l’immagine di una scintillante fucina d’idee, di un inesauribile repertorio di progetti, di creazioni, di manifestazioni… Proprio nel cuore di quel mitico decennio, nel 1964, si tenne a New York un’importante rassegna artistica internazionale, la Guggenheim International Award . A rappresentare l’Italia c’erano quattro artisti: Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani e Luigi Boille, giovane artista di origine friulana (nato a Pordenone nel 1926) che risiedeva già dal 1950 a Parigi, dove si era avvicinato alla Jeune Ecole de Paris, e dove aveva trovato il successo. A tutt’oggi la sua fama è assai più consolidata in Europa e nel mondo che in Italia, nonostante l’eccezionale qualità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma e laureato in architettura, Boille raggiunge già all’inizio degli anni ’50 una maturità creativa che lo porta a realizzare un’espressione pittorica nella quale è possibile ravvisare una delle più valide, stimolanti e originali manifestazioni dell’Informale. Il celebre critico Michel Tapié, leggendario teorico dell’Informale come “Art autre”, lo inserì nel gruppo dei suoi artisti prediletti e paragonò il suo lavoro a quello di grandi espressionisti astratti americani quali Mark Tobey e Clifford Still. Altri grandi critici, fra i più influenti della storia dell’arte del Novecento, hanno nel tempo sostenuto e amato Luigi Boille: Lionello Venturi, Guido Ballo, Cesare Vivaldi, Filiberto Menna, Giulio Carlo Argan… Proprio a quest’ultimo si deve un’altra affermazione-chiave per intendere l’opera del maestro friulano: “Boille, sapendo che la pittura è in crisi, si ostina a fare soltanto pittura, la pittura più pura possibile” (G.C. Argan, 1973). Pittura pura, pittura assoluta, quella di Boille, che sin dai suoi esordi, fino alle più attuali ricerche, si snoda in un labirinto infinito di colore e di luce, metafora del pulsare stesso dell’esistenza negli abissi del cosmo. Pittura ricca di “elementi barocchi” (Tapié), anche se nel lavoro di Boille il dinamismo e l’”irrazionalismo” riconducibili al barocco saranno sempre equilibrati da un senso “classico” di armonia e di nitore formale. Da quelle che Restany definisce le sue “hautes pâtes” informali (anni ’50), dalla disseminazione della materia-colore e dei segni, o dal loro assemblarsi fittamente nello spazio, in una sorta di “horror vacui” (anni ’60 -’70), così come lo ha definito Giorgio Di Genova, Boille si è mosso sempre di più verso la rarefazione, il libero fluttuare del segno nel colore, o nel bianco, o nel nero, senza tuttavia perdere mai la sua straordinaria ricchezza pittorica. Il segno, in Luigi Boille, è l’elemento di coesione tra pensiero e gesto, tra spazio e colore, e attraverso l’interazione di tutte queste componenti l’artista difende il ruolo centrale ed essenziale del linguaggio della pittura, come scriveva Argan nel 1973: il segno di Boille “svolgendosi e modulandosi come pura frase pittorica, realizza e comunica uno stato dell'essere, di immunità o distacco o contemplazione”, riuscendo davvero a realizzare quella “riconciliazione dell’intelligenza con il puro istinto” prefigurata da Restany nel ’58. La stessa passione per la simbiosi di poesia e pensiero che ha sempre portato Boille a dialogare con i poeti: come il poeta surrealista brasiliano Murilo Mendes che, insieme a Cesare Vivaldi, lo presentò alla Biennale di Venezia del 1966, o come Ezra Pound, con cui collaborò alla realizzazione di un libro d’artista con sette poesie di Pound e sette litografie di Boille (Omaggio a Ezra Pound, Rapallo, 1971). O ancora, come René Char: in due suoi versi Boille ha riconosciuto il senso di tutta la sua pittura: “Si nous habitons un éclair, / il est le coeur de l’éternel”.
Luigi Boille - scomparso a Roma il 20 aprile di quest’anno, all’età di 89 anni - può certamente definirsi uno dei maggiori artisti italiani contemporanei . Ammirato e sostenuto da grandi critici e storici dell’arte, quali Lionello Venturi, Michel Tapié, Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Cesare Vivaldi o Pierre Restany, non è ancora sufficientemente noto al grande pubblico, nonostante l’eccezionale qualità e originalità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
La Galleria Marchetti di Roma gli rende omaggio con la prima mostra retrospettiva dopo la sua morte, organizzata con la preziosa collaborazione dell’Archivio Luigi Boille e curata da Silvia Pegoraro: un percorso che mette in evidenza l’evoluzione della sua ricerca sin dagli esordi, attraverso 25 opere selezionatissime, realizzate tra il 1953 e gli ultimi mesi di vita. La mostra – che inaugurerà giovedì 15 ottobre e resterà allestita fino al 5 dicembre 2015 - sarà documentata da una piccola monografia (dove saranno riprodotte anche molte opere non esposte, tra cui diversi inediti), con testi della curatrice e di Flaminio Gualdoni (Grafiche Turato Edizioni).
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I “favolosi” anni ’60, anche a chi non li abbia vissuti, evocano immediatamente l’immagine di una scintillante fucina d’idee, di un inesauribile repertorio di progetti, di creazioni, di manifestazioni… Proprio nel cuore di quel mitico decennio, nel 1964, si tenne a New York un’importante rassegna artistica internazionale, la Guggenheim International Award . A rappresentare l’Italia c’erano quattro artisti: Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani e Luigi Boille, giovane artista di origine friulana (nato a Pordenone nel 1926) che risiedeva già dal 1950 a Parigi, dove si era avvicinato alla Jeune Ecole de Paris, e dove aveva trovato il successo. A tutt’oggi la sua fama è assai più consolidata in Europa e nel mondo che in Italia, nonostante l’eccezionale qualità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma e laureato in architettura, Boille raggiunge già all’inizio degli anni ’50 una maturità creativa che lo porta a realizzare un’espressione pittorica nella quale è possibile ravvisare una delle più valide, stimolanti e originali manifestazioni dell’Informale. Il celebre critico Michel Tapié, leggendario teorico dell’Informale come “Art autre”, lo inserì nel gruppo dei suoi artisti prediletti e paragonò il suo lavoro a quello di grandi espressionisti astratti americani quali Mark Tobey e Clifford Still. Altri grandi critici, fra i più influenti della storia dell’arte del Novecento, hanno nel tempo sostenuto e amato Luigi Boille: Lionello Venturi, Guido Ballo, Cesare Vivaldi, Filiberto Menna, Giulio Carlo Argan… Proprio a quest’ultimo si deve un’altra affermazione-chiave per intendere l’opera del maestro friulano: “Boille, sapendo che la pittura è in crisi, si ostina a fare soltanto pittura, la pittura più pura possibile” (G.C. Argan, 1973). Pittura pura, pittura assoluta, quella di Boille, che sin dai suoi esordi, fino alle più attuali ricerche, si snoda in un labirinto infinito di colore e di luce, metafora del pulsare stesso dell’esistenza negli abissi del cosmo. Pittura ricca di “elementi barocchi” (Tapié), anche se nel lavoro di Boille il dinamismo e l’”irrazionalismo” riconducibili al barocco saranno sempre equilibrati da un senso “classico” di armonia e di nitore formale. Da quelle che Restany definisce le sue “hautes pâtes” informali (anni ’50), dalla disseminazione della materia-colore e dei segni, o dal loro assemblarsi fittamente nello spazio, in una sorta di “horror vacui” (anni ’60 -’70), così come lo ha definito Giorgio Di Genova, Boille si è mosso sempre di più verso la rarefazione, il libero fluttuare del segno nel colore, o nel bianco, o nel nero, senza tuttavia perdere mai la sua straordinaria ricchezza pittorica. Il segno, in Luigi Boille, è l’elemento di coesione tra pensiero e gesto, tra spazio e colore, e attraverso l’interazione di tutte queste componenti l’artista difende il ruolo centrale ed essenziale del linguaggio della pittura, come scriveva Argan nel 1973: il segno di Boille “svolgendosi e modulandosi come pura frase pittorica, realizza e comunica uno stato dell'essere, di immunità o distacco o contemplazione”, riuscendo davvero a realizzare quella “riconciliazione dell’intelligenza con il puro istinto” prefigurata da Restany nel ’58. La stessa passione per la simbiosi di poesia e pensiero che ha sempre portato Boille a dialogare con i poeti: come il poeta surrealista brasiliano Murilo Mendes che, insieme a Cesare Vivaldi, lo presentò alla Biennale di Venezia del 1966, o come Ezra Pound, con cui collaborò alla realizzazione di un libro d’artista con sette poesie di Pound e sette litografie di Boille (Omaggio a Ezra Pound, Rapallo, 1971). O ancora, come René Char: in due suoi versi Boille ha riconosciuto il senso di tutta la sua pittura: “Si nous habitons un éclair, / il est le coeur de l’éternel”.
Luoghi
http://www.artemarchetti.it 06 3204863 06 3204863
orario:lun 16.30-19.30; mar-sab 10.30-13 e 16.30-19.30