Lucia Pescador e Oki Izumi. Vasi Tsubo - Forme del silenzio
A cura di: Matteo Galbiati e Raffella Nobili
“… facile è vedere il vuoto del vaso, difficile è ammettere che tale vuoto costituisca il vaso al pari del pieno…”
G. Pasqualotto, Estetica del vuoto
La Galleria PARAVENTI GIAPPONESI – GALLERIA NOBILI ha il piacere di invitarVi alla mostra di Lucia Pescador e Oki Izumi.
Dopo le collettive su temi della cultura giapponese (Iki e Kage) in cui sono state messe a confronto una selezione di opere di artisti giapponesi e italiani è intenzione della Galleria approfondire tale rapporto presentando ora e in future occasioni un’interazione più serrata tra le due culture. Il Vaso (Tsubo, 壺) come tema trasversale è stato scelto, quindi, per dare modo alle rispettive ricerche artistiche di scandagliare la rappresentazione di un oggetto di uso quotidiano con un’alta densità simbolica e una tradizione millenaria alle spalle. Tali ricerche o visioni, apparentemente inconciliabili, sondano la diversità e la reciproca complementarietà tra lo sguardo orientale e quello occidentale.
Nel caso di Oki Izumi l’artista ha scelto di presentare un nucleo di cinque sculture inedite in cui il soggetto principale, il vaso come contenitore, reagisce alla luce attraverso la composizione, meditata e mediata, di lastre di vetro stratificate o, come le definisce Oki stessa, accumulate.
La rifrazione crea effetti ottici perturbanti aprendo alla dimensione dell’insolito e del sorprendente grazie al bilanciamento di pieni e vuoti che citano, nell’aspetto formale, i vasi-volti di Edgar Rubin: la coesistenza di presenza e assenza, di realtà visibile e non, è un tema caro all’estetica orientale e declinato in svariati aspetti che comprendono, architettura, pittura scultura e, non in modo secondario, anche composizione musicale e poesia.
Il senso della mostra sembra richiamare profondamente quei valori filosofici tradizionali sottesi e riferibili all’intima visione orientale del mondo. In questo caso, infatti, pare che il vaso non sia da intendersi puramente come involucro funzionale alla raccolta, ma vada compreso nella sua essenza totalizzante che non può prescindere dallo spazio interno e da quello esterno che circonda la nuda materia, in poche parole dal vuoto. Nella lingua giapponese il termine vuoto, al contrario di quella italiana è traducibile in diversi modi e con molteplici sfumature: Ku, Kyo e Mu. Proprio quest’ultima definizione sembra suggerire, nell’assenza, la predisposizione a una dimensione di accoglimento del sacro, a uno spazio silenzioso carico di possibili melodie diverse. Per i giapponesi dunque Mu non è negazione e non ha accezione positiva o negativa; esso è da intendersi, filosoficamente, fisicamente e metafisicamente, più come esperienza che non come concetto o idea teorica.
Completano l’allestimento di Izumi una serie di carte che ritraggono le opere scultoree dalle vivide sfumature verdi-azzurre, in cui la dimensione bidimensionale del disegno richiama prepotentemente la dualità ombra-luce.
Apparentemente in contrasto con il rigore matematico e razionale dell’opera scultorea di Izumi si pone l’allestimento pensato a parete dell’artista milanese Lucia Pescador. Si tratta di composizioni di disegni di vasi di diversa dimensione e colori, organizzati in un corpus che segue nelle scelte contigue il criterio dell’associazione inconscia. Il lavoro prende le mosse dal fortuito reperimento di un vecchio libro di disegni di vasellame e utensilerie giapponesi. Lo stesso tema del vaso è stato più volte frequentato da Pescador nel corso degli anni come indagine sulle forme e i volumi primordiali. La dimensione a parete è volta all’accoglimento e al raccoglimento dell’osservatore. A seconda della distanza si può cogliere il singolo disegno su carta, la frazione, l’elemento indivisibile o la composizione intera, assumendo e ri-componendo con lo sguardo i diversi tasselli del mosaico, ai quli corrispondono generalmente ricordi o dimenticanze (apparenti). Il lavoro di Pescador si pone nell’ottica del recupero del ricordo vivido o che sta sbiadendo: si cala, quindi, nella parte dell’ambulante o del nomade che, raccolti i pochi averi-ricordi in un fagotto, misura con l’erranza le distanze temporali, culturali e spaziali tra Est e Ovest. Egli non disegna ciò che vede, ma solo ciò che ricorda. I supporti utilizzati sono molto spesso carte o materiali di recupero, la cui povertà, o imperfezione, riporta alla dimensione umana. E c’è, in questo aspetto, un’eco di Wabi-Sabi caro al modo di percepire e alla sensibilità giapponesi.
Testi di riferimento: Marco Filippucci, In viaggio verso la bellezza. L’esperienza del vuoto nell’architettura giapponese
Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto, 1992, Marsilio Editore
G. Pasqualotto, Estetica del vuoto
La Galleria PARAVENTI GIAPPONESI – GALLERIA NOBILI ha il piacere di invitarVi alla mostra di Lucia Pescador e Oki Izumi.
Dopo le collettive su temi della cultura giapponese (Iki e Kage) in cui sono state messe a confronto una selezione di opere di artisti giapponesi e italiani è intenzione della Galleria approfondire tale rapporto presentando ora e in future occasioni un’interazione più serrata tra le due culture. Il Vaso (Tsubo, 壺) come tema trasversale è stato scelto, quindi, per dare modo alle rispettive ricerche artistiche di scandagliare la rappresentazione di un oggetto di uso quotidiano con un’alta densità simbolica e una tradizione millenaria alle spalle. Tali ricerche o visioni, apparentemente inconciliabili, sondano la diversità e la reciproca complementarietà tra lo sguardo orientale e quello occidentale.
Nel caso di Oki Izumi l’artista ha scelto di presentare un nucleo di cinque sculture inedite in cui il soggetto principale, il vaso come contenitore, reagisce alla luce attraverso la composizione, meditata e mediata, di lastre di vetro stratificate o, come le definisce Oki stessa, accumulate.
La rifrazione crea effetti ottici perturbanti aprendo alla dimensione dell’insolito e del sorprendente grazie al bilanciamento di pieni e vuoti che citano, nell’aspetto formale, i vasi-volti di Edgar Rubin: la coesistenza di presenza e assenza, di realtà visibile e non, è un tema caro all’estetica orientale e declinato in svariati aspetti che comprendono, architettura, pittura scultura e, non in modo secondario, anche composizione musicale e poesia.
Il senso della mostra sembra richiamare profondamente quei valori filosofici tradizionali sottesi e riferibili all’intima visione orientale del mondo. In questo caso, infatti, pare che il vaso non sia da intendersi puramente come involucro funzionale alla raccolta, ma vada compreso nella sua essenza totalizzante che non può prescindere dallo spazio interno e da quello esterno che circonda la nuda materia, in poche parole dal vuoto. Nella lingua giapponese il termine vuoto, al contrario di quella italiana è traducibile in diversi modi e con molteplici sfumature: Ku, Kyo e Mu. Proprio quest’ultima definizione sembra suggerire, nell’assenza, la predisposizione a una dimensione di accoglimento del sacro, a uno spazio silenzioso carico di possibili melodie diverse. Per i giapponesi dunque Mu non è negazione e non ha accezione positiva o negativa; esso è da intendersi, filosoficamente, fisicamente e metafisicamente, più come esperienza che non come concetto o idea teorica.
Completano l’allestimento di Izumi una serie di carte che ritraggono le opere scultoree dalle vivide sfumature verdi-azzurre, in cui la dimensione bidimensionale del disegno richiama prepotentemente la dualità ombra-luce.
Apparentemente in contrasto con il rigore matematico e razionale dell’opera scultorea di Izumi si pone l’allestimento pensato a parete dell’artista milanese Lucia Pescador. Si tratta di composizioni di disegni di vasi di diversa dimensione e colori, organizzati in un corpus che segue nelle scelte contigue il criterio dell’associazione inconscia. Il lavoro prende le mosse dal fortuito reperimento di un vecchio libro di disegni di vasellame e utensilerie giapponesi. Lo stesso tema del vaso è stato più volte frequentato da Pescador nel corso degli anni come indagine sulle forme e i volumi primordiali. La dimensione a parete è volta all’accoglimento e al raccoglimento dell’osservatore. A seconda della distanza si può cogliere il singolo disegno su carta, la frazione, l’elemento indivisibile o la composizione intera, assumendo e ri-componendo con lo sguardo i diversi tasselli del mosaico, ai quli corrispondono generalmente ricordi o dimenticanze (apparenti). Il lavoro di Pescador si pone nell’ottica del recupero del ricordo vivido o che sta sbiadendo: si cala, quindi, nella parte dell’ambulante o del nomade che, raccolti i pochi averi-ricordi in un fagotto, misura con l’erranza le distanze temporali, culturali e spaziali tra Est e Ovest. Egli non disegna ciò che vede, ma solo ciò che ricorda. I supporti utilizzati sono molto spesso carte o materiali di recupero, la cui povertà, o imperfezione, riporta alla dimensione umana. E c’è, in questo aspetto, un’eco di Wabi-Sabi caro al modo di percepire e alla sensibilità giapponesi.
Testi di riferimento: Marco Filippucci, In viaggio verso la bellezza. L’esperienza del vuoto nell’architettura giapponese
Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto, 1992, Marsilio Editore
Luoghi
www.paraventigiapponesi.it 02 6551681 393396008358 - 393480687073
Orari: lunedì 15.00-19.00; da martedì a sabato 11.00-13.00 e 14.00-19.00 ingresso libero