Lawrence Carroll. Ghost House
A cura di: Testi di Gianfranco Maraniello e Angela Vettese
Lawrence Carroll, uno dei maggiori rappresentanti della pittura contemporanea, è protagonista al MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna di una mostra dal titolo Ghost House, che apre al pubblico il 12 dicembre 2014 e racconta un percorso artistico di oltre trent'anni grazie a una sessantina di opere prodotte dalla metà degli anni Ottanta a oggi, in molti casi mai esposte in precedenza e in alcuni realizzate per l'occasione. Riveste particolare rilevanza la contiguità con il Museo Morandi, la più ampia collezione pubblica di opere di Giorgio Morandi, tra i modelli dichiarati di Carroll, oltre che maestro della pittura del Novecento.
Ghost House si dispiega nell'area dedicata alle mostre temporanee senza seguire un criterio cronologico ma creando degli ambienti che l'artista stesso definisce come “costruiti sulla memoria”, nei quali opere di diversi periodi sono messe in dialogo tra loro e con il contesto espositivo, nella convinzione che un senso possa essere ricercato non solo nei singoli lavori ma anche nelle relazioni tra di essi, considerati collettivamente e attraverso il tempo, come gli intrecci narrativi di una storia.
Lawrence Carroll sfugge alle categorie critiche e interpretative legate al concetto di “avanguardia”, ma lavora sui modi e sui tempi della percezione, ponendo l'opera e lo spettatore in una costante interrogazione sul senso del comporre e lasciare apparire un'immagine pittorica. Diversi sono gli artisti dai quali dichiara di aver tratto ispirazione: tra questi Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Marc Rothko, Carl Andre, Donald Judd, Cy Twombly, Sean Scully, ma tra tutti prevale Giorgio Morandi, con il quale condivide l'amore per una dimensione intima, privata, così come la costante ricerca finalizzata ad assumere la complessità del reale attraverso l'epifania di oggetti quotidiani, solo apparentemente semplici, permeati di inesauribili possibilità interpretative nelle loro molteplici combinazioni.
Carroll, come usava fare con i suoi oggetti Giorgio Morandi, fin dall'inizio della sua carriera artistica studia minuziosamente le diverse possibilità di posizionamento nello spazio delle proprie tele, che diventano non più superfici ma “corpi” del dipinto, dotati di più facce. I telai assumono dunque forme e volumi diversi, concavi o convessi, elementi ed oggetti di vario genere vengono assemblati e aggiunti: il dipinto assume caratteristiche scultoree e si fa corpo, la tela si fa pelle, la cera è unguento, i tagli sono linee disegnate ma anche aperture su una dimensione ulteriore – e interiore – del dipinto stesso.
L'uso del colore da parte di Carroll è apparentemente monocromo: prevale una particolare tonalità di bianco ottenuto tramite strati successivi di pittura che lasciano trasparire imperfezioni, trame, tracce di interventi precedenti, un non-colore portatore di memorie, neutro, che Carroll definisce “off white color”. Si tratta di un bianco che vuole essere quanto più possibile vicino a quello della tela, che spesso ricopre una pittura precedente, che dà la possibilità all'artista di azzerare tutto e di ricominciare daccapo. Carroll lo sceglie agli esordi senza sapere che diventerà una costante per i successivi trent'anni e a tutt'oggi non ne ha ancora esaurito le possibilità.
La mostra al MAMbo si apre con una sala che riunisce un piccolo gruppo di lavori degli esordi che hanno valore seminale per gli sviluppi successivi della ricerca dell'artista e che indirizzeranno i visitatori verso differenti tematiche che sono esplorate lungo il percorso espositivo con opere di periodi diversi. Tra i lavori introduttivi: un dipinto sul tema del respiro; uno incentrato sul tema fondamentale del “cambiare pelle” per dar vita a un nuovo inizio; un “cut painting”, in cui attraverso tagli sovrapposti e ricomposti l'artista introduce il disegno nel dipinto e al contempo ne rende visibile la storia, che anticipa lavori di una ventina di anni dopo, i “table paintings”, strutture aeree in legno e carta di giornale o cartone, di cui qui è mostrato un esemplare; un esempio di “stacked paintings”, che vedono la sovrapposizione di legno e tele dipinte.
Proseguendo dopo la prima sala, oltre a successivi sviluppi di quanto visto all'inizio, si incontrano altre tipologie di lavori: i “box paintings”che, come un corpo, esplicitano l'interno oltre che l'esterno del dipinto, con la tela che è come pelle; i “page paintings”, appesi perpendicolarmente alla parete, per renderli non inglobabili da un unico punto di vista; i “calendar paintings” che riprendono la stratificazione degli stacked paintings; gli “slip paintings”, costituiti da due forme solide rientranti l'una nell'altra; i “light paintings”, nei quali sono inglobate una o più sorgenti luminose; gli “erasure paintings”, che traggono spunto dall'esperienza di Carroll come illustratore e dalla sua volontà di superare questa fase e di andare oltre, inserendo nei dipinti illustrazioni per poi cancellarle quasi a voler cancellare se stesso; fino al suggestivo “freezing painting”, in cui creatività artistica e tecnica ingegneristica si incontrano per generare il senso di sospensione di una materia - 900 litri d'acqua ghiacciata - , che può in qualunque momento ritornare allo stato precedente. Il lavoro trae suggestione dal ciclo delle stagioni, con l'inverno rigido che ricopre tutto di ghiaccio, ma sotto questo strato la vita è sospesa per poi riprendere nel divenire della primavera. Tale ciclo, nella visione di Carroll è assimilabile alla pratica artistica che, in maniera ciclica, prendere qualcosa da chi precede e lo trasmette a chi verrà dopo. L'opera è stata esposta alla Biennale di Venezia 2013 nel padiglione della Santa Sede.
Alcuni lavori nuovi, per la prima volta visibili e realizzati da Lawrence Carroll appositamente per la mostra, si incontrano lungo il percorso. Tra questi, due dipinti di grandi dimensioni in cui predomina il giallo e altri che incorporano una fonte luminosa. Ad accomunarli è il tema della luce, che, nelle sue diverse sfaccettature ha caratterizzato il lavoro di Carrol fin dagli inizi. Con la metafora della luce che si spegne e poi si riaccende Carroll spiega anche il rapporto con gli artisti che ama: portare lo spirito di Giorgio Morandi in un lavoro attuale contribuisce a riaccendere la luce sulla ricerca del maestro – anche a beneficio del pubblico – dalla prospettiva contemporanea di un artista del 2014. Un'altra riflessione dell'artista sulla luce riguarda il suo studio e come questa ne modifichi gli equilibri: la luce naturale che arriva la mattina, l'illuminazione artificiale, il buio della notte, che avvolge i dipinti lasciandoli in uno stato sospeso, dormiente.
I due dipinti gialli trovano corrispondenza in alcuni lavori degli anni '90, in cui Carroll usa una tela per ricoprire quasi completamente un dipinto sottostante, come un velo, azione che ha ancora una volta a che fare con l'idea di cancellarsi per poi andare oltre, trasferirsi in un nuovo spazio fisico, psicologico, metaforico, darsi il permesso di lasciare se stessi per ripartire.
Il titolo della mostra, Ghost House, trae spunto dall'omonimo scritto poetico di Robert Frost: è lo stesso Carroll a dichiarare come la poesia accompagni il suo lavoro in studio, a volte influenzandolo. Ghost House è sembrata subito adatta a fornire un titolo a un'esposizione che riporta alla luce i lavori degli esordi, sorta di “fantasmi” positivi della ricerca di Carroll, che si riverberano sulle opere che li hanno seguiti e su quelle future.
In concomitanza con Arte Fiera e ART CITY Bologna 2015 sarà pubblicato un catalogo con testi di Gianfranco Maraniello e Angela Vettese e un'ampia documentazione fotografica della mostra.
Ghost House si dispiega nell'area dedicata alle mostre temporanee senza seguire un criterio cronologico ma creando degli ambienti che l'artista stesso definisce come “costruiti sulla memoria”, nei quali opere di diversi periodi sono messe in dialogo tra loro e con il contesto espositivo, nella convinzione che un senso possa essere ricercato non solo nei singoli lavori ma anche nelle relazioni tra di essi, considerati collettivamente e attraverso il tempo, come gli intrecci narrativi di una storia.
Lawrence Carroll sfugge alle categorie critiche e interpretative legate al concetto di “avanguardia”, ma lavora sui modi e sui tempi della percezione, ponendo l'opera e lo spettatore in una costante interrogazione sul senso del comporre e lasciare apparire un'immagine pittorica. Diversi sono gli artisti dai quali dichiara di aver tratto ispirazione: tra questi Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Marc Rothko, Carl Andre, Donald Judd, Cy Twombly, Sean Scully, ma tra tutti prevale Giorgio Morandi, con il quale condivide l'amore per una dimensione intima, privata, così come la costante ricerca finalizzata ad assumere la complessità del reale attraverso l'epifania di oggetti quotidiani, solo apparentemente semplici, permeati di inesauribili possibilità interpretative nelle loro molteplici combinazioni.
Carroll, come usava fare con i suoi oggetti Giorgio Morandi, fin dall'inizio della sua carriera artistica studia minuziosamente le diverse possibilità di posizionamento nello spazio delle proprie tele, che diventano non più superfici ma “corpi” del dipinto, dotati di più facce. I telai assumono dunque forme e volumi diversi, concavi o convessi, elementi ed oggetti di vario genere vengono assemblati e aggiunti: il dipinto assume caratteristiche scultoree e si fa corpo, la tela si fa pelle, la cera è unguento, i tagli sono linee disegnate ma anche aperture su una dimensione ulteriore – e interiore – del dipinto stesso.
L'uso del colore da parte di Carroll è apparentemente monocromo: prevale una particolare tonalità di bianco ottenuto tramite strati successivi di pittura che lasciano trasparire imperfezioni, trame, tracce di interventi precedenti, un non-colore portatore di memorie, neutro, che Carroll definisce “off white color”. Si tratta di un bianco che vuole essere quanto più possibile vicino a quello della tela, che spesso ricopre una pittura precedente, che dà la possibilità all'artista di azzerare tutto e di ricominciare daccapo. Carroll lo sceglie agli esordi senza sapere che diventerà una costante per i successivi trent'anni e a tutt'oggi non ne ha ancora esaurito le possibilità.
La mostra al MAMbo si apre con una sala che riunisce un piccolo gruppo di lavori degli esordi che hanno valore seminale per gli sviluppi successivi della ricerca dell'artista e che indirizzeranno i visitatori verso differenti tematiche che sono esplorate lungo il percorso espositivo con opere di periodi diversi. Tra i lavori introduttivi: un dipinto sul tema del respiro; uno incentrato sul tema fondamentale del “cambiare pelle” per dar vita a un nuovo inizio; un “cut painting”, in cui attraverso tagli sovrapposti e ricomposti l'artista introduce il disegno nel dipinto e al contempo ne rende visibile la storia, che anticipa lavori di una ventina di anni dopo, i “table paintings”, strutture aeree in legno e carta di giornale o cartone, di cui qui è mostrato un esemplare; un esempio di “stacked paintings”, che vedono la sovrapposizione di legno e tele dipinte.
Proseguendo dopo la prima sala, oltre a successivi sviluppi di quanto visto all'inizio, si incontrano altre tipologie di lavori: i “box paintings”che, come un corpo, esplicitano l'interno oltre che l'esterno del dipinto, con la tela che è come pelle; i “page paintings”, appesi perpendicolarmente alla parete, per renderli non inglobabili da un unico punto di vista; i “calendar paintings” che riprendono la stratificazione degli stacked paintings; gli “slip paintings”, costituiti da due forme solide rientranti l'una nell'altra; i “light paintings”, nei quali sono inglobate una o più sorgenti luminose; gli “erasure paintings”, che traggono spunto dall'esperienza di Carroll come illustratore e dalla sua volontà di superare questa fase e di andare oltre, inserendo nei dipinti illustrazioni per poi cancellarle quasi a voler cancellare se stesso; fino al suggestivo “freezing painting”, in cui creatività artistica e tecnica ingegneristica si incontrano per generare il senso di sospensione di una materia - 900 litri d'acqua ghiacciata - , che può in qualunque momento ritornare allo stato precedente. Il lavoro trae suggestione dal ciclo delle stagioni, con l'inverno rigido che ricopre tutto di ghiaccio, ma sotto questo strato la vita è sospesa per poi riprendere nel divenire della primavera. Tale ciclo, nella visione di Carroll è assimilabile alla pratica artistica che, in maniera ciclica, prendere qualcosa da chi precede e lo trasmette a chi verrà dopo. L'opera è stata esposta alla Biennale di Venezia 2013 nel padiglione della Santa Sede.
Alcuni lavori nuovi, per la prima volta visibili e realizzati da Lawrence Carroll appositamente per la mostra, si incontrano lungo il percorso. Tra questi, due dipinti di grandi dimensioni in cui predomina il giallo e altri che incorporano una fonte luminosa. Ad accomunarli è il tema della luce, che, nelle sue diverse sfaccettature ha caratterizzato il lavoro di Carrol fin dagli inizi. Con la metafora della luce che si spegne e poi si riaccende Carroll spiega anche il rapporto con gli artisti che ama: portare lo spirito di Giorgio Morandi in un lavoro attuale contribuisce a riaccendere la luce sulla ricerca del maestro – anche a beneficio del pubblico – dalla prospettiva contemporanea di un artista del 2014. Un'altra riflessione dell'artista sulla luce riguarda il suo studio e come questa ne modifichi gli equilibri: la luce naturale che arriva la mattina, l'illuminazione artificiale, il buio della notte, che avvolge i dipinti lasciandoli in uno stato sospeso, dormiente.
I due dipinti gialli trovano corrispondenza in alcuni lavori degli anni '90, in cui Carroll usa una tela per ricoprire quasi completamente un dipinto sottostante, come un velo, azione che ha ancora una volta a che fare con l'idea di cancellarsi per poi andare oltre, trasferirsi in un nuovo spazio fisico, psicologico, metaforico, darsi il permesso di lasciare se stessi per ripartire.
Il titolo della mostra, Ghost House, trae spunto dall'omonimo scritto poetico di Robert Frost: è lo stesso Carroll a dichiarare come la poesia accompagni il suo lavoro in studio, a volte influenzandolo. Ghost House è sembrata subito adatta a fornire un titolo a un'esposizione che riporta alla luce i lavori degli esordi, sorta di “fantasmi” positivi della ricerca di Carroll, che si riverberano sulle opere che li hanno seguiti e su quelle future.
In concomitanza con Arte Fiera e ART CITY Bologna 2015 sarà pubblicato un catalogo con testi di Gianfranco Maraniello e Angela Vettese e un'ampia documentazione fotografica della mostra.
Luoghi
www.mambo-bologna.org 051 6496611 051 6496600
orario: mar, merc e ven 12-18, gio, sab, dom e festivi 12-20, 26 dicembre 12-20, 1 e 6 gennaio 12-20, lunedi' e 25 dicembre chiuso