Landon Metz. personale
Le opere d’arte non si possono spiegare a parole.La parola serve a dare qualche debole traccia da seguire. Opere e linguaggio riposano su piani diversi che non si incontrano. Per entrare nell’opera bisogna spendere tempo in sua compagnia. Molto tempo, sedersi di fronte e guardarla. Lasciare che lei ci osservi e ci parli.
Recentemente sono tornato alla Galleria degli Uffizi e alla National Gallery, per l’ennesima volta, e credo di poter dire che solo ora comincio a capire l’arte antica. Ce n’é voluto di tempo…
Immagino che quando inizi a dipingere Landon abbia davanti sé una tela bianca che, come lui ricorda, viene dall’India. Quella tela, come diceva Rauschenberg, contiene tutte le immagini, e quindi nessuna. Lo pensava anche Ghirri. Un po’ come quando Armstrong mise piede sulla Luna: per la prima volta l’uomo vide la Terra da lassù.
Ebbene, quel tratto di spazio contiene tutte le immagini possibili. Un “intervallo”, come nell’opera omonima di Giulio Paolini, dove la distanza tra due sculture é il vero luogo dell’immagine.
La tela bianca é occupata da segni, serpenti piatti e larghi, o grosse note musicali. Tra una campitura e l’altra c’é un silenzio, come tra le note di John Cage. Le opere sono rarefatte ed anche le parole che tentano di spiegarle devono esserlo.
Landon disegna campiture sulla tela bianca, poi le riempie di colore come Wolfgang Laib riempie di latte le sue sculture. Fa muovere il colore fino ad esaurire la forma voluta. La sua pittura occupa lo spazio, come quella di Morris Louis o Helen Frankenthaler, il suo lavoro modifica il luogo come i lavori di Daniel Buren o Michael Asher. Ma mentre questi avevano un approccio ideologico e politico, Landon ne ha uno poetico-pittorico. Lo spazio viene modificato sì, ma decorato e ingentilito.
Recentemente sono tornato alla Galleria degli Uffizi e alla National Gallery, per l’ennesima volta, e credo di poter dire che solo ora comincio a capire l’arte antica. Ce n’é voluto di tempo…
Immagino che quando inizi a dipingere Landon abbia davanti sé una tela bianca che, come lui ricorda, viene dall’India. Quella tela, come diceva Rauschenberg, contiene tutte le immagini, e quindi nessuna. Lo pensava anche Ghirri. Un po’ come quando Armstrong mise piede sulla Luna: per la prima volta l’uomo vide la Terra da lassù.
Ebbene, quel tratto di spazio contiene tutte le immagini possibili. Un “intervallo”, come nell’opera omonima di Giulio Paolini, dove la distanza tra due sculture é il vero luogo dell’immagine.
La tela bianca é occupata da segni, serpenti piatti e larghi, o grosse note musicali. Tra una campitura e l’altra c’é un silenzio, come tra le note di John Cage. Le opere sono rarefatte ed anche le parole che tentano di spiegarle devono esserlo.
Landon disegna campiture sulla tela bianca, poi le riempie di colore come Wolfgang Laib riempie di latte le sue sculture. Fa muovere il colore fino ad esaurire la forma voluta. La sua pittura occupa lo spazio, come quella di Morris Louis o Helen Frankenthaler, il suo lavoro modifica il luogo come i lavori di Daniel Buren o Michael Asher. Ma mentre questi avevano un approccio ideologico e politico, Landon ne ha uno poetico-pittorico. Lo spazio viene modificato sì, ma decorato e ingentilito.
Luoghi
www.galleriaminini.it 030 383034 030 392446
orario: dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 19.30, sabato dalle 15.30 alle 19.30