La tela violata
A cura di: Maurizio Vanni
LA TELA VIOLATA.Fontana, Castellani, Bonalumi, Burri, Scheggi, Simeti, Amadio
L’indagine fisica della terza dimensione
L’esposizione prende in considerazione quegli artisti che, tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Sessanta, hanno lavorato sul “superamento” del concetto di tela, non più intesa come spazio di rappresentazione, a vantaggio di un approccio più fisico, diretto, concettuale in grado di trasformare il palinsesto in oggetto artistico autosignificante che avrebbe dovuto dialogare in modo assolutamente soggettivo con il pubblico. Ne sono scaturiti lavori che annullano l'influenza emotiva del gesto istintivo per riconnettersi al mondo e alla vita vera.
Tutto ha inizio dai buchi e dai tagli di Lucio Fontana e dai Gobbi di Alberto Burri. Con il primo Manifesto dello Spazialismo (1946), Fontana propone una nuova arte che avrebbe dovuto essere caratterizzata dallo studio fisico della materia, del colore e del suono in movimento, del ritmo che poteva scaturire da un lavoro nuovo con il palinsesto pittorico. L’obiettivo era quello di superare i limiti bidimensionali della tela per creare uno spazio che fosse, al tempo stesso, fisico e concettuale. Tra il dicembre 1959 e il luglio 1960, Enrico Castellani (superfici estroflesse e introflesse) e Piero Manzoni (Achrome) danno vita a Milano alla Galleria Azimut, seguita di lì a poco dalla rivista Azimuth in collaborazione con Agostino Bonalumi (tele imbottite). Azimut e Azimuth hanno avuto una eco e un effetto domino quasi inimmaginabile per mezzo di una dirompente sperimentazione e una dissacrazione degli strumenti del fare arte che propone allo spettatore un ruolo del tutto inedito: quello di completare il lavoro dell’artista che viola, concettualmente, simbolicamente e fisicamente, la tela. In quegli stessi anni, anche Paolo Scheggi giunge a esiti artistici analoghi esponendo a Firenze le sue Intersuperfici. Nel 1965, sarà lo stesso Fontana a coinvolgere Turi Simeti nella mostra Zero Avangarde organizzata nel suo studio di Milano, dimostrando che anche l’artista siciliano non era rimasto indifferente alle sollecitazioni dello Spazialismo.
La mostra, in linea con i presupposti di Azimut/h, vuole indagare quegli artisti – di cui Giuseppe Amadio è l’originale erede naturale – che hanno avuto il coraggio di violare la tela per riscrivere la storia, costruendo su di essa qualcosa di inatteso e rivoluzionario basato sull’utilizzo reale dello spazio, sull’indagine del tempo e sull’analisi del ritmo delle strutture.
Luoghi
www.luccamuseum.com/it 0583 571712 0583 950499
Orario:: Dal martedì alla domenica 10/19 - Chiuso il lunedì