Jonathan Di Furia "Space Bound"
A cura di: Italo Bergantini e Gianluca Marziani
UOMO… verticale, plastico, circondato da un denso spazio gravitazionaleSPAZIO… orizzontale, silenzioso, concatenato attorno al corpo in equilibrio
Jonathan Di Furia gioca su un principio prospettico essenziale, qui ricreato nella relazione pittorica tra un singolo uomo e uno spazio delimitato. Un incastro tra l’impianto verticale del corpo e l’apertura avvolgente del paesaggio orizzontale: ogni personaggio ha così il suo luogo elettivo, come fosse un abito su misura, un palcoscenico silente senza artifici scenici. L’artista delinea una narrazione per atti autonomi, dove le azioni fisiche corrispondono al tema della singola storia. Una sorta di metafisica postmediale, figlia di Carlo Carrà e Giorgio Morandi, attualizzata nel margine del bianconero filmico ma anche nei codici digitali della fotografia da banco ottico.
Gesti di bizzarra semplicità galleggiano tra vuoti panoramici, architetture alienanti, modernismi metafisici e rovine archeologiche… in campo ci sono solo maschi adulti, ben vestiti, figli di una cultura urbana che privilegia il rigore beckettiano delle apparenze… “la solitudine dei maschi primi” verrebbe da dire, parafrasando un romanzo che toccava le sottili differenze tra solitudine e vita solitaria. Non esiste un sentimento univoco che spieghi il singolo quadro, semmai una catena instabile di sensazioni più o meno cupe, più o meno ironiche, più o meno drammaturgiche… Il quadro diventa lo specchio di una realtà come quella odierna, dove le apparenze muovono le relazioni, dove il futile vince sull’essenziale, dove la dispersione supera la conservazione, dove la bellezza è spesso un facile malinteso per ascoltatori superficiali.
L’artista abbassa la temperatura cromatica e amalgama l’incrocio tra figura e ambiente. Crea varianti morbide di scale sul grigio, usando il colore in maniera tematicamente solida e concettualmente stabile. Space Bound è un contenitore di storie, luoghi e personaggi in apparenza distanti fra loro. Fatti comuni tra pathos metafisico e ironia sottile, storie che parlano di personaggi bizzarri e stravaganti, proprio come nella vita quotidiana: dal ragazzo che osserva il vuoto a quello che ci si tuffa dentro, dall’uomo d’affari in equilibrio precario al musicista senza strumento… sono le nostre storie, storie appunto assurde, grottesche, paradossali, ma non più di quanto lo sia la realtà che ci circonda.
Jonathan Di Furia: “Uomo e spazio circostante, un’inestricabile combinazione, una fragile interdipendenza. Mi interessano le dinamiche comportamentali dentro determinati contesti. Mi interessa come i fenomeni esterni possano cambiare la condizione di fattori interni: profilo, emozioni, inclinazioni, generando un costante processo di identificazione. Focalizzo la mia attenzione sulla condizione di vuoto esistenziale, per poi congelarla all’interno della pittura… una pittura usata solo come pretesto per sottolineare Il senso di precarietà che caratterizza l’esistenza”.
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